Diario di bordo. Anno zero. Giorno undici.

Una storia non passata in secondo piano. Se l’epidemia è la frana in paradiso.

Voglio profondamente dissociarmi da me e me spinta dalla necessità di vita per farne scaturire bellezza vivente. Nessuna fragilità verso gli aspetti decadenti, la frana ci parla, chiede di rispondere. Intervenite, spedite un telegramma per raggiungere il teatro in camera dell’esistenza. Non dimenticate che l’ingresso potrebbe costare la ragione. Ma anche la mancata stimolazione sensoriale e cognitiva.

Uno specchio in mano vale di più che due alla parete. AH AH AH – ancora la sua risata bella e paurosa. Ecco, adesso ci rimane anche una piccola allegra cerimonia. Ora hai buttato via le lenti della tua personalità e puoi venire a guardare in uno specchio! Vieni, ti divertirai.

(Herman Hesse, Il lupo della steppa)

A proposito di varianti che iniziano per la P. Pandemia. Paradosso. Personalità. Politica. Parabola. Predominio. Pseudomotivazioni (patriottiche).

Mi piace il paradosso, mi è sempre piaciuto. Alla voce paradosso, al punto primo si legge che: proposizione formulata in apparente contraddizione con l'esperienza comune o con i principi elementari della logica, ma che all'esame critico si dimostra valida.

Il compianto Franco Maria Ricci, grande precursore dell’editoria italiana, pubblica nel 1980 una monografia Numero uno, Androidi, le meraviglie meccaniche, qualche copia è ancora reperibile (grazie) ad Amazon, Ibs and Co. Si legge: “reperibile con cofanetto un po’ sgualcito, ma di sgualcito non c’è proprio niente”.

Né carne né ossa. Qualcuno o qualcosa?

Il paradosso si addice alle macchine. Mirabolanti, in varie forme, evidenziate dal vorticismo del progresso tecnologico. Se progresso fa rima con economia, già Marx ne aveva colto le ragioni profonde concludendo un analisi che più o meno diceva così:

Il mezzo più potente per l’accorciamento del tempo di lavoro si trasforma nel mezzo più infallibile per trasformare tutto il tempo di una vita di un operaio e della sua famiglia in tempo disponibile per la valorizzazione del capitale.

Già, ma da questo paradosso (Chi è l’operaio? Di chi è il capitale?) basale ne sorgono altri, di carattere interno, diciamo: sono le macchine inutili, la cui ideazione ‘gioca’ proprio sull’inversione utilità-inutilità, che porta inevitabilmente e non tanto di profonda ‘concettualità’, a essere corrosivi. Nel 1769 il consigliere aulico di meccanica di Maria Teresa D’Austria realizza il primo automa giocatore di scacchi, il barone ‘Wolf’ si inventa il ‘Turco giocatore di scacchi’. Ma è un imbroglio. Gli ingranaggi fanno finta di fare, all’interno della super macchina si cela un uomo vero e abile giocatore. Ma poi Wolfgang Von Kempelen costruisce una vera macchina parlante che raccoglie anche le lodi di Goethe (Harry Heller nei suoi sogni allucinogeni incontra Goethe di sovente, e ci parla, ci parla tantissimo).

HAL: Questa conversazione non ha più scopo. Addio.

Il tentativo del Turco (prima di Kasparov) animato rappresenta un presupposto impossibile da immaginare: giocare a scacchi necessita una complessa capacità di scelta e decisionale, e fino a poco tempo fa, pareva impossibile divenisse una possibilità della macchina, in quanto meccanica. L’utilizzo dell’elettronica e del computer (che non è altro che una super calcolatrice programmata) hanno risolto il problema, simulando i processi mentali dell’uomo, calcolando le strategie basate sulle probabilità matematiche. Quindi i programmati si trovano oramai ovunque, le macchine a forza di giocare, si sostituiscono all’avversario. Il Turco insomma, c’è da chiedersi se è tornato alle origini o se per caso, non sia diventato il nostro compagno di giochi, il nostro caro amico immaginario. Per fortuna adesso c’è Chatterbot.

Vidi solo per un istante quell’Harry che conoscevo salvo che aveva il viso chiaro e ridente, di buon umore. Ma appena l’ebbi conosciuto si divise, una seconda persona si staccò da lui e una terza, una decima, una ventesima, e tutto l’enorme specchio fu pieno di Harry e pezzi di Harry, di infiniti Harry, ognuno dei quali mi appariva della durata di un baleno.

Piccole precisazioni: androide viene dal greco, l’androide imita l’apparenza della forma e dell’azione. Esempio: la Bambola di Philadelphia dei Maillardet.

Automa: sempre dal greco, si muove da solo, una volta messo in moto insomma, compie azioni involontarie, perché privo di intelligenza attiva. Esiste un esempio di automa già nel 62 dopo Cristo: è il cervo che beve alla fontana costruito da Erone d’Alessandria. Il robot appare per la prima volta come neologismo nel dramma russo di Čapek scritto nel 1921 (quest’anno se ne festeggia il centenario) speriamo che il robot non venga mai a sapere il significato del suo nome. Raccoglie l’eredità del Golem ebraico della Bibbia (il Golem è una sorta di stato incompleto, prima del concepimento divino) e ne realizza le ‘aspettative’ mitiche, vedi Maria nel film Metropolis di Fritz Lang, film che ispirò molto tempo dopo Blade Runner. Il robot impara. ‘Cosa’ è la domanda.

E se il nostro compagno di giochi - un po’ narciso - ma narcisisti anche noi che proiettiamo sulla cosa le nostre caratteristiche psicologiche e perfino la coscienza della quale sappiamo ben poco - da avversario, divenisse invincibile?

A tal proposito consiglio di osservare le espressioni da Santo Graal dal soddisfatto concepimento d’autostima dei vari intervistatori, se ancora si potranno definire così non lo so, che si succedono a chatbottare con la replicante di Audrey, Sophia, dove presumibilmente nel calcolo delle stringhe sono inseriti, batterie incluse, numeri che corrispondono a feel, heart, love, think, artist, human, happy, alive, head in my cloud, relation-ship, supreme being, emotions, humans are my best friends a cestate piene, rivestita di fiorito anni ’50 nell’orario da casalinga e sportivo nei programmi young e da sera quando ‘si deve’ e sopra a tutto per la nota cittadinanza o per la chatbottata con Will Smith. “Do you think we are friends?” Ne siamo certi, ha il suffisso social prima del nome di serie, forse ispirato al fatto che Sophia è il primo nome utilizzato dagli umani dal 2014 per i nascituri in almeno 10 Stati.

Qualcuno ha ascoltato Stephen Hawking? Almeno si salvino le apparenze.

Attingendo alla valenza storica, la ricetta infallibile. Un etto di fantascienza, 50 grammi di fantasy, mescolare con lo spirito cavalleresco che invoca il salvataggio, quel q.b. che sottolinea il Quattrocento di Leonardo e il Cinquecento come teatro di macchine, sogni dedalei, salvataggi di principesse, saperi tecnici dai panorami dalle tinte forti, punte erotiche comprese.

Amalgamare bene con cura e avremo una persistenza di valenza umana che funge da tappeto rosso al nostro Turco compagno di giuochi armato di spada e pugnale ed empatia, giusto quel tanto per ricordare a chi di noi ha il neurone attivo, che la destinazione principe della macchina è la guerra.

Consiglio per le letture: Ernest T.A. Hofmann, L’uomo della sabbia e altri racconti.