Continuando il nostro approfondimento in occasione dei settecento anni dalla morte di Dante e della conclusione della Divina Commedia, vediamo com’è stata costruita una delle opere più alte dell’umanità. Il poema, scritto in volgare italiano anziché in latino come si usava allora per le opere letterarie importanti, si divide in tre cantiche, una per ogni regno dell’oltretomba composto da Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ogni cantica è composta a sua volta da trentatré canti, più uno di introduzione. Quindi cento canti di valore altissimo, scritti in poesia in versi endecasillabi (in tutto sono 14.233) raggruppati tre a tre, in strofe dette per questo terzine. Nella terzina dantesca le strofe hanno uno schema fisso per rime incatenate secondo lo schema ABABCB eccetera. Si tratta di un’allegoria, cioè fatti e personaggi dei racconti intendono altro oltre a quello che appare, sono simbolici di qualcosa di più profondo.

Dante si immagina nei suoi reali trentacinque anni, circa metà della vita media umana del tempo, perso in una selva oscura: è la notte tra il 7 e l’8 aprile 1300. La selva oscura sono i peccati, i suoi sbagli, che lo hanno condotto per una via errata. Il suo cammino deve riportarlo sulla retta via, ma per farlo, lui peccatore, non può essere da solo. Ha bisogno di guide che gli indichino qual è la strada corretta. La prima guida è Virgilio, sommo poeta anch’egli, simbolo della ragione umana, personaggio che lo condurrà tra gli inferi perché lui, nato prima della venuta di Cristo, non potrà mai godere appieno della gloria di Dio. Virgilio, autore dell’Eneide e forse annunciatore ne Le Bucoliche della venuta di Gesù, era molto amato nel Medioevo e lo stesso Dante lo riconosceva come suo maestro.

Lasciato Virgilio, un’altra guida per Dante sarà la sua amata Beatrice, simbolo della Teologia, cioè dello studio per arrivare a Dio, senso stesso dell’opera dantesca, ma anche simbolo laico di rinascita e riscatto, per non lasciare vincere la parte avversa, fuori di noi e dentro di noi. Quindi viene preso come simbolo l’oltretomba cristiano e l’Inferno, la prima cantica, è visto da Dante come un cono rovesciato nelle viscere della Terra, sotto la città eterna e santa di Gerusalemme. Ad esso si accede attraversando l’Acheronte, un fiume sul quale opera il traghettatore di anime Caronte, dopo avere attraversato l’area occupata dagli ignavi, cioè coloro che, per vigliaccheria, non avevano compiuto in vita né il bene né il male.

A sua volta il cono è diviso in nove cerchi, ognuno per punire una categoria di peccatori che vengono sottoposti a un particolare supplizio, che ricordi la loro colpa per sempre. Più si scende verso la punta del cono, più i peccati sono gravi e, quindi, più dure le pene. Nel primo cerchio si trova invece il Limbo, cioè la zona in cui ci sono le anime dei giusti che, tuttavia, non potranno godere della vista di Dio perché non battezzati, proprio come Virgilio, e non per causa loro.

I peccati puniti nell’Inferno sono divisi in tre categorie. Gli incontinenti, puniti nei cerchi dal II al V; nel VI ci sono gli eretici. Poi ci sono i violenti, puniti nel cerchio VII che è diviso a sua volta in tre gironi a seconda che la violenza compiuta sia stata contro Dio, il prossimo o se stessi. Infine i fraudolenti puniti nel cerchio VIII e i traditori puniti nel IX, diviso in quattro zone. Il cerchio VIII è a sua volta diviso in dieci bolge, una sorta di valli circolari concentriche.

Si arriva poi al centro della Terra controllato da Lucifero nel punto più stretto, cioè il passaggio dall’Inferno al Purgatorio. Le pene inflitte ai condannati all’Inferno rispettano la legge del contrappasso, cioè sono commisurate al peccato commesso, secondo la legge del taglione: il colpevole doveva subire lo stesso danno che aveva arrecato alla sua vittima.