Guarda stupito se stesso, se ne resta immobile e fisso sul suo volto, come una statua scolpita nel marmo pario. Steso a terra contempla due stelle, i suoi occhi, e i capelli degni di Bacco e di Apollo […] il collo d’avorio e la bellezza del viso e il roseo colore misto al suo candore.

Questo è il ritratto ovidiano che ha eternato la figura di Narciso, mitico giovinetto della Beozia, la cui storia, già nota in epoca ellenistica, ci è pervenuta per iscritto tramite le fonti di età imperiale in diverse varianti, tra cui quelle di Conone e di Pausania, poi riprese da altri autori come Luciano e Plotino. Nelle Metamorfosi si narra che questo ragazzo di indescrivibile bellezza, macchiatosi di superbia, la greca Hýbris, per aver sempre respinto tutti i suoi pretendenti, venne punito dalla dea Ramnusia che lo condannò ad innamorarsi della sua immagine riflessa in una fonte; consunto, anch’egli come i suoi spasimanti, da un amore irrealizzabile, e totalmente incapace di distinguere il vero dall’illusione, Narciso si lasciò morire, pianto dalle Naiadi e dalle Driadi, le Ninfe delle acque e delle piante, le quali, però, una volta pronte a tributargli gli onori funebri, ritrovarono sulla pira da ardere solo un fiore giallo cinto da petali bianchi: il giovane si era tramutato in un narciso.

Questa storia, insieme alle sue varianti, è una delle più affascinanti della mitologia e, per questo, è stata ripresa in moltissime opere, sia antiche che contemporanee: ad esempio, è impossibile non pensare al celebre dipinto di Michelangelo Merisi, che raffigura un Narciso in abiti di fine ‘500, totalmente assorto dal sé riflesso nell’acqua, suo doppio e sua metà insostituibile, l’unica sua fonte di luce nel buio che lo circonda e dal quale emerge, come ogni personaggio caravaggesco; punto focale del quadro e fulcro della narrazione: il centro del mondo di Narciso, immortalato, qui, un istante prima del bacio fatale. Questa celebre vicenda è raccontata anche nel libro di Giuseppe Squillace, Nel regno di Narciso, saggio eclettico e poliedrico in cui è snocciolato, non solo l’intero percorso storico del mito, dalle fonti letterarie classiche fino alla moderna psicoterapia, ma anche la genesi del suo legame con la pianta, e l’evoluzione fino ad oggi degli utilizzi di questa nella medicina, nella farmacologia e nella profumeria: un intenso viaggio permeato da un’atmosfera onirica ed esotica, a metà tra l’antico e il moderno.

Andando nuovamente a ritroso, invece, possiamo ritrovare il racconto di Narciso distillato, ancora una volta, in gocce di pittura nella storia dell’arte: indimenticabile il giovinetto efebico con la pelle scolpita nel marmo di William Waterhouse, piegato e anelante sulla fonte-specchio, suo veleno e suo antidoto, incurante della bella Ninfa Eco che sta ferma a guardarlo: lei che, come riportato da Ovidio, era stata condannata da Era a ripetere in eterno le parole finali dette dal suo interlocutore, un giorno, avendo visto Narciso girovagare per le campagne, se n’era innamorata perdutamente. Ovviamente fu respinta e, sopraffatta dalla vergogna, si rifugiò nelle selve a consumarsi d’amore, dimagrendo e sfiorendo ogni giorno di più. Di Eco restarono solo la voce e le ossa, queste ultime poi ridotte in pietra, quasi poste a monito per chiunque osasse cedere agli strali di Eros.

Nella versione ovidiana, inoltre, si narra che l’imago vocis imbattutasi in Narciso, mentre ascoltava i suoi lamenti angoscianti, non poteva evitare di ripeterne il suono finale, contribuendo, così, seppure a malincuore, ad amplificare lo strazio del giovane. Entrambi, dunque, sia Eco che Narciso, furono giovinetti mitici estremamente traviati dalla sorte, periti anzi tempo a causa di amori infelici e soggetti, per volontà degli dei, ad una metamorfosi; non erano assolutamente infrequenti storie del genere nella mitologia, soprattutto se pensiamo, ad esempio, a Leucotoe, Mirra, Adone, Ciparisso, tutti trasformatisi in piante aromatiche o fiori odorosi. Questo perché, per gli antichi, nel loro profumo risiedeva l’immortalità.

Amore e morte, dunque, sono eternamente legati nel mito di Narciso, così come lo sono nel destino dell’omonimo fiore: l’etimologia stessa del nome nárkissos è da ricollegare a narkόō, ‘rendere insensibile’, o ad altri termini dal significato analogo, perché i Greci, come attestato dalle fonti, avevano già scoperto l’effetto ‘narcotico’ del fiore, ancora prima che esso fosse associato al personaggio mitico.

Nell’Inno omerico a Demetra (VII sec. a.C.) si narra, infatti, che Kore/Persefone, intenta a raccogliere fiori, fu rapita da Ade, dio dell’oltretomba, perché distratta e stordita dalla bellezza e dal profumo inebriante del narciso. Questo, anche indicato nei testi antichi con léirion, termine solitamente riferito al giglio, veniva usato anche in medicina: l’olio essenziale estratto dal fiore, narkίssinon, era impiegato nella cura dei disturbi uterini e delle orecchie, mentre il bulbo per le proprietà coagulanti, emetiche ed essicanti; risultava, però, tossico, se assunto in dosi massicce, provocando mal di stomaco, vertigini, vomito, convulsioni e, a volte, la morte. Non è un caso se, nei testi greci, con pharmaka si intendessero tanto i preparati curativi, quanto le pozioni velenose.

Nella medicina moderna, invece, da alcune specie di narciso, Narcissus poeticus, Narcissus tazetta, Pseudonarcissus, Narcissus serotinus e Narcissus jonquilla, si isolano gli alcaloidi, usati nella composizione di farmaci antitumorali e antivirali. Addentrandoci nel misterioso e suadente campo della profumeria antica, invece, vediamo che secondo Plinio il Vecchio (I sec. d.C.), il narcissinum, profumo/olio di narciso, già al suo tempo non si produceva più: dal momento che nel mondo classico, durante i banchetti, si usava ungersi la testa con oli profumati per evitare che i fumi dell’alcol la appesantissero, venne rilevato che il narciso, per il suo potere ‘narcotico’, non potesse essere impiegato a tale scopo; ma lo si usava per realizzare variegate corone, insieme ad altri fiori. Di solito le corone venivano usate anche durante i giochi, i sacrifici agli dèi e i funerali: non è casuale, infatti, che il termine ‘profumo’ derivi dal latino pro fumo o per fumum, il fumo delle offerte votive che saliva al cielo: era un tramite tra l’uomo e il dio.

Nella profumeria moderna, invece, l’olio essenziale di narciso si utilizza molto come ingrediente: coltivati all’inizio del ‘900 soprattutto in Provenza e distillati a Grasse, i narcisi sono oggi maggiormente prodotti nella regione di Aubrac. Una volta raccolti, essi sono velocemente trasportati nelle aziende, dove vengono trattati con solventi volatili per ottenere l’Assoluta, dall’odore in parte erbaceo e in parte floreale, vicino alle note di tuberosa e garofano, ma anche a quelle del tabacco. Essa viene impiegata molto nella creazione di diversi profumi, come Narcisse Noir di Caron, dal 1911 a oggi.

Come non citare, infine, l’aspetto psicologico del mito di Narciso? Tanto profondo e radicato nella nostra moderna società da aver dato il nome ad un disturbo della personalità: da Havelock Ellis e Freud, i primi ad aver individuato questa forma di psicosi, a Nancy McWilliams, gli studi a riguardo sono stati tanti e sono riusciti a spiegare che il narcisista, solitamente, tende a compensare la sua mancanza di autostima, dovuta a diversi traumi infantili, presentando agli altri non la sua vera natura, ma una sorta di specchio utopistico capace di riflettere solo successi, traguardi raggiunti, bellezza e prosperità, tanto da generare spesso invidia negli altri: come Dorian Gray, che mostrava a tutti solo la sua floridezza estetica, per poi marcire segretamente sul dipinto nascosto in soffitta, anche il narcisista tiene segreto il suo lato oscuro, fatto di dipendenza totale dal consenso altrui, unica bevanda capace di placare la sua insicurezza.

Il narcisista è, da solo, il centro del suo mondo, usa gli altri solo come mezzi attraverso cui soddisfare i suoi bisogni, è privo di empatia, ma tanto ricco di manie di grandezza e arroganza; spesso invidia o si sente inspiegabilmente invidiato, tende a sottomettere gli altri, sui quali scarica ogni sua colpa, ed è continuamente dilaniato dal conflitto interiore tra la vergogna e il disprezzo di sé. Nei rapporti affettivi, spesso, questa sua estrema fragilità sfocia in comportamenti possessivi, vittimistici, soffocanti e improntati sul ricatto psicologico, volti ad ottenere l’annullamento totale e la consunzione interiore dell’altra persona. Una patologia, dunque, subdola e fortemente dannosa, tipica del nostro tempo, fatto di idoli di plastica e sciocchi sogni patinati.

Com’è stato possibile evidenziare, dunque, il mito di questo giovinetto della Beozia, nato nell’antichità, è giunto fino a noi attraverso “gli oceani del tempo”, realizzando infiniti giri, acrobatiche piroette, saltando leggero da un ambito all’altro, seducendo profumieri, scienziati, medici e classicisti. Non ha risparmiato, ovviamente, nemmeno i più cedevoli al fascino sinistro della perfezione: i poeti e gli artisti. Sarà un caso che Herman Hesse in Narciso e Boccadoro abbia scelto proprio questo nome per identificare il pensatore, il saggio, il solitario, il maestro intabarrato di cultura nella sua torre eburnea di virtù tra i muri di pietra del monastero di Mariabronn?

E voi, amati lettori, vi siete immersi e specchiati nella fonte di Narciso? Vi siete lasciati trasportare e inebriare dal moto ondoso delle sue dolci acque? Avete scandagliato l’oblio della sua sciagura, della condanna ad essere inutilmente, e con strazio, infatuati solo di una pura illusione, di un alter ego apparentemente perfetto da cui “né vasto tratto di mare, né lungo cammino, né monti, né mura di città con porte sbarrate ci separano”, se non soltanto poca, pochissima, acqua.

Bibliografia

G. Squillace, I Balsami di Afrodite. Medici, malattie e farmaci nel mondo antico, Aboca, Sansepolcro 2015.
G. Squillace, Il profumo nel mondo antico, Firenze 2010, nuova edizione Olschki 2020.
G. Squillace, Le Lacrime di Mirra. Miti e luoghi dei profumi nel mondo antico, Il Mulino, Bologna 2015.
G. Squillace, Nel regno di Narciso. Fiore, profumo e pianta di un mito antico, Carocci editore, Roma 2020.
Ovidio, Metamorfosi, Einaudi, Torino 2015.