Esistono infinite storie accadute in Oriente, in quel lembo a levante nell’immenso Impero Romano, ormai dal VII secolo greco di cultura e di lingua, e cristiano ortodosso di religione, in cui Costantinopoli, “l’occhio dell’ecumene”, “la nuova Roma”, era un caleidoscopio di oro e di sete pregiate, di porpora e di mosaici: scrigno aureo della corte imperiale, a sua volta culla dell’unico vero sovrano, il solo rappresentante dell’autorità divina sulla Terra e cuore pulsante del mondo. Nonostante, infatti, l’Impero Romano d’Oriente fosse esteriormente mutato nei secoli, era comunque cristallizzato nella sua essenza, così altera e pregiata, a causa della quale continuò, fino alla fine, a osservare con superiorità distaccata ogni popolo ‘barbaro’ e a intabarrarsi nella sua torre eburnea di tradizioni antiche, rituali e cerimonie sfarzose.

Tra le sue mura e le sue mille storie, ce n’è una incredibilmente attuale ed eloquente: quella di Anna Comnena, primogenita dell’imperatore Alessio I, considerata la prima storica donna della nostra civiltà. Venuta alla luce il 2 dicembre 1083, era una principessa ben diversa da quelle che siamo abituati a immaginare perché, di fatto, si mostrò presto disubbidiente e oltremodo ambiziosa: essendo nata nella Sala della Porpora, ossia nella stanza del palazzo imperiale di Costantinopoli interamente rivestita di porfido in cui, secondo la tradizione, avevano il privilegio di nascere solamente i legittimi eredi al trono, era stata fin dall’infanzia abituata ad un futuro da basilissa dei Romei, del quale rimase schiava, anche dopo che si rivelò solo una mera illusione. Non appena nacque il fratello minore Giovanni, infatti, suo padre Alessio lo preferì come successore al trono, deludendo fortemente le ambizioni della figlia maggiore. Così Anna, alcuni mesi dopo la morte del padre, volle ordire una congiura ai danni del fratello, ormai diventato imperatore: fu coadiuvata in questa impresa da sua madre Irene e dal marito, il cesare Niceforo Briennio, il quale avrebbe dovuto compiere il gesto decisivo per spodestare e sostituire il basileus. Briennio, però, non ne ebbe il coraggio o la volontà, mentre Giovanni che, una volta scoperta la congiura, avrebbe potuto punire la sorella con la mutilazione o la morte, non fece niente, emergendo per la sua clementia e lasciando Anna bruciare in una tremenda umiliazione. Da questa sua rabbia nacque l’Alessiade, l’eredità culturale di questa donna e del suo impero, che resterà lì sempre a ricordarci che è dalle crepe che entra la luce.

Nonostante si sia diffusa tra alcuni studiosi la tesi secondo cui Anna, dopo gli eventi narrati, avrebbe subito la reclusione o la monacazione forzata per volontà di Giovanni, nessuna forma di prigionia in realtà l’afflisse e divenne suora solo in punto di morte: avendo, infatti, preso l’abitudine di ritirarsi spesso in preghiera nel convento della Theotόkos Kecharitomène, che sua madre aveva fatto costruire, in quanto principessa di sangue reale e responsabile del monastero, le fu concesso di vivere liberamente negli appartamenti privati annessi al convento. Qui poté mantenere comunque la possibilità di uscire, ricevere ospiti e, soprattutto, dedicarsi alla lettura e allo studio, alla vita culturale del circolo filosofico che nel frattempo aveva creato, e alla scrittura. Fu così che diede alla luce la sua opera letteraria, in prosa in stile attico composta di XV libri, riguardante le gesta dell’imperatore Alessio I e gli eventi accaduti lungo l’impero nell’arco cronologico compreso tra il 1069, l’inizio della scalata al potere del Comneno, e il 1118, anno della sua morte. Il suo lavoro non è considerato solo un’opera di alto livello letterario e storiografico, ma rappresenta anche la fonte principale per conoscere il periodo storico del regno di Alessio I: la donna scelse di raccontare questo tempo, in cui era stata giovane e felice, per esaltarlo, e per screditare i governi successivi di suo fratello Giovanni II e del nipote Manuele I, ma anche, probabilmente, per sfogare a livello letterario quella sua ambizione spezzata a livello politico.

Inoltre, è doveroso ricordare anche che Anna fu una donna estremamente colta: ce n’erano state altre alla corte, come la famosa Kassia e Atenaide Eudocia, ma nessuna prima della Comnena aveva osato scrivere di storia, materia che fino ad allora era rimasta prerogativa degli uomini. Oltre a ciò, come scritto nel prologo dell’Alessiade, e confermato dagli autori a lei contemporanei, Anna ebbe un’educazione completissima, alimentata dalla conoscenza delle arti del Trivio, del Quadrivio e di tante altre discipline, come la medicina1, la letteratura greca, eredità culturale dei Greci lasciata ai Bizantini, e il latino; quest’ultimo sconosciuto, non solo alle donne, ma anche a molti uomini del XII secolo nell’Impero d’Oriente. Ciò che colpisce maggiormente è il fatto che, mentre le fanciulle facoltose della sua epoca venivano educate esclusivamente in materia religiosa e filosofica (in realtà un tipo di filosofia filtrata e improntata solo sulla morale) dalle donne della famiglia e non da maestri, Anna aveva deciso, invece, per innata curiositas e ambizione, di prendere lezioni da eunuchi di palazzo in ogni campo del sapere e di nascosto dai suoi genitori: superò così in cultura molte donne del suo tempo.

Nonostante la critica consolidata l’abbia dipinta, oltre che come un’ambiziosa, anche come un’arrogante, un filone storiografico moderno che rientra nei gender studies ha tentato di riscattare la sua figura, depurandola dai suoi difetti, e rileggendola in chiave femminista: Barbara Hill, ad esempio, l’ha descritta come emancipata, perché, a suo dire, conscia delle capacità di ogni donna di governare, grazie ai diversi elogi presenti nell’Alessiade di importanti donne come la madre Irene, la nonna Anna Dalassena e la seconda moglie di Roberto il Guiscardo, Sichelgaita; mentre Leonora Neville, nel 2016, l’ha definita come depositaria di tutte le doti della perfetta donna bizantina: religiosa, devota al padre e al marito, umile e capace di esternare i propri sentimenti.

Queste tesi, di fatto, non sono molto solide: Anna, essendo cresciuta in una società patriarcale, aveva inevitabilmente ereditato una mentalità profondamente maschilista, come si può evincere anche dalle pagine dell’Alessiade e come ha confermato con un colorito aneddoto Niceta Coniata, storico bizantino autore delle Chronike Diegesis. Nella sua opera la Comnena ha dichiarato, infatti, di meravigliarsi del contegno e della freddezza mostrati da sua madre in situazioni angoscianti, dal momento che le apparivano abilità tipicamente maschili, mentre Coniata ha riportato che Anna, dopo il fallimento della congiura, presa dall’ira, avrebbe urlato al marito che a lei sola fra i due sarebbe toccato esser uomo, per la sua forza d’animo, opposta alla irrisolutezza del Briennio.

Inoltre, per quanto concerne le teorie della Neville, è chiaro che siano sorrette solo dalla lettura dell’Alessiade, in cui è intenzionalmente taciuto l’evento della congiura, e dall’oratoria celebrativa di età comnena, come quella di Tornice e di Prodromo, palesemente di parte perché realizzata da autori che vivevano del loro mestiere alla corte e, dunque, al servizio dei sovrani; le fonti di Coniata e di Giovanni Zonara, le uniche a menzionare l’evento della congiura e delle liti familiari per la successione, vengono dalla Neville totalmente rigettate. Ne emerge un dipinto parziale e fuorviante, che non rende giustizia al fascino, seppur dannato, del personaggio di Anna Comnena.

Concludendo, è opportuno lasciarvi, cari lettori, con uno dei ritratti più particolari e vibranti della nostra scrittrice: quello del condottiero normanno Boemondo d’Altavilla. Questa descrizione, emotiva e sensuale, ha lasciato addirittura immaginare che la quattordicenne Anna, che questa età aveva quando vide Boemondo per la prima volta, fosse in qualche modo infatuata dell’ormai adulto e brillante condottiero normanno, sia per la dovizia di particolari, che per i toni altisonanti impiegati nel racconto; perché di lui ha enfatizzato la statura che, quasi come quella di un dio pagano, era superiore a quella di ogni barbaro o greco conosciuto; la sua prestanza fisica e l’armonia delle sue proporzioni, perfettamente in sintonia con il canone policleteo; la chioma fulva e gli occhi cerulei, gemme fulgide incastonate nel biancore del suo incarnato; il suo fascino terribile, tanto che “in lui, l’ardore e l’amore erano armati, ed entrambi miravano alla guerra”; infine, il suo ritmato pulsare del cuore, che scandiva il tempo all’aria, la quale, ad ogni respiro, gli gonfiava le narici e il petto. La velata allusione finale ad Ulisse, “dal multiforme ingegno”, lo ha definitivamente innalzato ad un livello pari soltanto a quello dell’imperatore stesso, l’eroe protagonista dell’Alessiade che, anche se solo per un attimo, è stato così oscurato da tale ‘barbaro’.

Questo e molti altri ricordi, insegnamenti e fotogrammi del suo tempo sono l’eredità lasciataci da Anna Comnena, attraverso il suo testo e il suo esempio di vita conteso tra luce e oscurità: come considerarla, se non come un dono utile? non come un tesoro da custodire e ammirare asetticamente nella sua teca di vetro, non come antiche rovine di fasti passati, ma come qualcosa da investire per il nostro futuro e da cui trarre insegnamento, come se fosse sempre stato nostro perché, di fatto, lo è sempre stato: ecco il valore del patrimonio che gli antichi ci hanno lasciato. E Anna Comnena, con il gesto rivoluzionario sgorgato dalla sua penna, ci ha regalato il dono più prezioso che una persona possa fare ad un’altra: quello della conoscenza; che è il preludio dell’amore, che sa colmare tutte le distanze, che unisce perché riesce ad andare oltre la vita, oltre la morte, oltre il tempo.

1 La Comnena ci ha lasciato nella sua opera descrizioni dettagliate dei sintomi della malattia di Alessio, indentificata oggi come sarcoma, e sappiamo anche che aveva un gran potere decisionale nella scelta delle cure da somministrare al padre.

Bibliografia

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