Come liberarsi dalla gelosia.
Strategie e metodi per sconfiggerla.
La malattia del desiderio.
Curare la gelosia.
Ecco, sono tutti titoli o sottotitoli di volumi scritti da psicologi.

La psicologia analizza la gelosia come un male, un male dell’animo che attanaglia le persone, soprattutto le più insicure. Non è sospetto, non è sfiducia ma un tarlo che rosicchia la tavola della vita, consumandone il piano liscissimo e le venature colorate che della vita sono sostanza. Gli psicologi diffidano dei gelosi estremi, sì, proprio loro che non riescono a governare questo sentimento e si lasciano sopraffare dalla potenza delle sue malie.

Un sentimento multiforme

“Stato di tormentosa ansietà e di intimo rovello che affligge chi teme che l’affetto della persona amata gli sia sottratto da un rivale o dubita comunque di perderlo o si cruccia di non essere corrisposto secondo i propri desideri”.

È una delle definizioni del Grande dizionario della lingua italiana, contenuta in una delle 21.730 pagine dei 21 monumentali volumi del dizionario storico curato da Salvatore Battaglia. Non è la sola definizione. Da quelle pagine affiorano i diversi colori della gelosia, le sue sfumature, le tante forme che assume questo sentimento mutante come il dio del mare Proteo.

Uno scrittore francese dell’Ottocento, Alphonse Karr, noto per i suoi aforismi, aveva scritto che la gelosia è “un misto d’amore, odio, avarizia e orgoglio”. Insomma, è una ratatouille in cui molti ingredienti si mescolano insieme, per generare una ricetta dal sapore cangiante.

Proprio questa molteplicità di ingredienti rende la gelosia un’emozione multiforme, forse instabile, mai uguale a se stessa. Ogni persona, del resto, prova gelosia a suo modo, in forme diverse, con diverse intensità, con diversi timbri.

Al centro del sentimento resta il preconizzare una perdita: la previsione del “temuto” genera l’esplosione intima di ciò che affligge i cuori delle persone gelose.

La gelosia zelante

In origine la parola gelosia si scriveva e pronunciava zalosìa. Da questa forma antica è più facile ravvedere il legame tra la persona gelosa e la persona zelante, cioè ‘scrupolosa’, ‘attenta’, ‘diligente’.

Come elemento comune, gelosia e zelo hanno il fatto di derivare dal sostantivo latino zēlus che significava appunto ‘zelo’, ‘ardore’, ‘gelosia’. Anche il greco zèlos aveva il medesimo significato e il verbo zèloo voleva dire ‘cerco con ardore’, ‘invidio’, ‘lodo’, ‘approvo’.

È interessante il legame di queste parole con un’altra, sempre del greco antico, che ha lasciato un’eredità evidente in italiano: la parola zēlōtḗs che ha generato il sostantivo italiano zeloti. Gli zeloti erano i seguaci di un gruppo religioso e politico di ebrei ultraortodossi al tempo della dominazione romana, una sorta di setta di fanatici sostenitori della legge di Mosè e dell’indipendenza ebraica.

Zeloti, zelanti, gelosi: sono parole che portano in sé tracce di un comune DNA linguistico. Ecco, dunque, la bellezza degli intrecci tra parole che hanno la medesima origine: se ravvediamo il filo di quel codice antico, se scorgiamo le parentele, se inciampiamo dall’una all’altra possiamo riflettere con maggior profondità anche sui sentimenti che proviamo o che scorgiamo nei cuori del nostro prossimo.

E nel riflettere sui sentimenti, possiamo scorgere i riflessi di luce che questi generano in noi stessi, nei nostri cuori, nelle nostre parole, nei punti di domanda che costellano le nostre esistenze.

La gelosia paurosa

La gelosia incute timore, porta a rinchiudersi sé stessi, è sorella della paura. Lo spiega bene Giovanni Boccaccio, nel Decamerone, 2-10 (254): “Messer lo giudice… era sì geloso che temeva dello aere stesso”. Siamo alla decima novella della seconda giornata. Quel giudice è il facoltoso pisano Ricciardo di Chinzica: era così in preda alla gelosia per la bella e giovane moglie che aveva paura dell’aria stessa.

Ecco, la gelosia estrema porta alla paura, paura di perdere e paura di sentirsi perduti. Paura di stramazzare al suolo, di restare atterriti, di finire incollati al pavimento, parola questa, pavimento, che con la paura condivide antenati antichi: l’idea del terreno battuto fa per loro da base comune. La gelosia fa abbassare lo sguardo, lo porta al suolo, distoglie dalla vista del cielo.

La gelosia sfrenata

Non si contiene, valica gli argini, non ammette limiti, procede oltre l’alveo del buon senso. Non c’è prova che tenga, di fronte alla gelosia, per renderla inerte, per sgonfiarne l’intensità, per trasformarla in un sentimento inoffensivo.

Del resto, scriveva Gustave Flaubert, il francese autore di Madame Bovary e dell’Educazione sentimentale: “Gelosia. Sempre seguita da sfrenata”. Come se fosse un sintagma fisso, immodificabile, bloccato nella ripetizione dei parlanti. Come se non potesse esistere una gelosia superficiale, una gelosia colta nella dimensione del solo-un-po’. La gelosia secondo lo scrittore francese è sempre sfrenata: uno stato d’animo totalizzante e appunto senza freni, un’Erinni che scuote l’animo degli umani al ritmo dei tamburi.

Nel Settecento, il Cicerone britannico Edmund Burke scriveva che “l’amore geloso accende la sua torcia nel fuoco delle furie”. Proprio così: nel fuoco delle furie.

Il suo conterraneo William Shakespeare, del resto, ben prima di lui, metteva in guardia le persone da quel sentimento: “Guardatevi dalla gelosia. È un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre”.

La gelosia del moro

Proprio William Shakespeare ha saputo raccontare con maestria il dramma della gelosia nell’Otello, una delle sue tragedie più note, rappresentata per la prima volta nel 1604.

Lui, Otello, è il moro di Venezia, il generale in capo delle truppe che combattono sotto l’effigie del leone di San Marco al servizio della Repubblica Serenissima. Lei, Desdemona, è sua moglie, figlia del senatore Brabantio, sposata da Otello in gran segreto senza che la famiglia di lei fosse d’accordo. Iago è il personaggio perfido che instilla in Otello il seme della gelosia: gli fa credere che il suo luogotenente Cassio abbia una liaison con sua moglie Desdemona. Nasconde un fazzoletto di Desdemona nella camera di Cassio, fa letteralmente impazzire di gelosia il moro. Otello comincia a tormentarsi, trova in ogni segno un piccolo indizio di un tradimento che in realtà non è mai avvenuto. Nel letto coniugale, il marito soffoca la moglie considerata fedifraga. Solo quando gli viene rivelato che il suo sospetto non aveva ragione di esistere e solo quando comprende quanto la gelosia lo avesse fatto sragionare, in preda al rimorso e al dolore, Otello si uccide pugnalando sé stesso, accasciandosi sul corpo di Desdemona. Questo il più noto dramma della gelosia. La letteratura (e in genere l’arte), come sempre, fa da specchio all’umanità, aiuta le persone a capire, anticipa i sentimenti degli individui.

La gelosia assillante che ti arrovella

Nell’Otello la gelosia era diventata un rovello in grado di mandare l’esistenza del protagonista nell’avello della follia. Parola strana, rovello, perché parente prossima del verbo arrovellare e anche di ribellione, nel senso di stravolgimento, di rovesciamento delle cose, di rivolta. La gelosia è un rovello da cui è impossibile ribellarsi perché scuote l’anima da dentro, scavandola in profondità, come è accaduto al moro.

Nell’Otello la gelosia era diventata anche un assillo. L’assillo è in senso stretto il nome comune di una serie di insetti che molestano con le loro fastidiose punture: il tafano è uno di questi. Poi, in senso figurato, la parola assillo ha assunto il significato di ‘tormento’ o di ‘pensiero persistente che non dà tregua’. Proprio come la gelosia nella tragedia shakespeariana. L’aggettivo arzillo, che vuol dire ‘brioso’, ‘vivace’, ‘agitato’, ‘sveglio’, ha un legame proprio con l’assillo. Mentre però una persona assillante o assillata cerchiamo di tenerla a debita distanza, una persona arzilla ci genera subito una naturale, immediata simpatia.

Ecco, la gelosia in definitiva è così, sentimento dolceamaro, calamita e respingente, sorella dell’innamoramento e parente del sospetto, un po’ rovello, un po’ segno di desiderio, in parte diffidenza, in parte insicurezza.

Aveva ragione Karr: la gelosia è proprio “un misto d’amore, odio, avarizia e orgoglio”