Non c’è bambino che non attenda con trepidazione il suo arrivo e l’aspettativa degli ultimi doni delle feste. Questa nonnina arzilla e misteriosa è entrata nella famigliarità dei nostri ricordi infantili e delle nostre tradizioni più vive: si è fatta spazio tra i simboli natalizi della cristianità, quasi appartenesse al racconto antico della natività, al presepe dei pastori, degli animali agresti, dei Magi. Ma è davvero così? O non abbiamo forse sempre saputo, fingendo di non sapere, che la Befana appartiene a un universo mitico di tutt’altra provenienza, vetusto e arcaico come le rughe del suo volto di megera? Potrà stupirci, o forse no, scoprire che la sua storia risale alle origini di quella dell’uomo.

Le tradizioni raccolte intorno al solstizio d’inverno e al periodo conclusivo dell’anno solare hanno avuto un’evoluzione articolatissima, formatasi su stratificazioni, rielaborazioni, innesti che risalgono alle forme di una religiosità primitiva. Districarsi in questa complicata sovrapposizione di rituali e mitologie è un lavoro illuminante che ci dà la misura di quanta consapevolezza delle nostre vere radici culturali si sia persa nel trascorrere dei secoli. Almeno nella percezione superficiale dei simboli.

La figura della Befana risale alle tradizioni agrarie pagane del periodo solstiziale, quando l’anno vecchio si preparava alla morte apparente della natura in attesa di rinascere nella nuova stagione vegetativa. Non è ardito pensare che, nell’ottica della celebrazione della morte e della rinascita, la sua presenza negli usi di questo periodo dell’anno ne faccia una raffigurazione dell’archetipo della Madre Terra nel suo aspetto di vecchia, laddove in primavera si manifesta come tenera fanciulla, e poi madre feconda. Nelle credenze pagane, dopo l’evento solstiziale, per dodici notti demoni femminili volavano sopra i campi da poco seminati per propiziare il futuro raccolto. Per i Greci era la dea Hera a svolgere questo compito, elargendo promesse di fertilità, per i Romani Diana, divinità lunare. E proprio quei doni, semi che contengono in nuce la nuova vita generativa, non sono forse i dolcetti che ancora oggi la Befana lascia nelle calze dei bambini buoni? Anche il carbone, indesiderato e temuto da chi ha la coscienza un po’ sporca, nasconde in realtà il significato profondo di custode latente del fuoco, e nel passato aveva valenza magica di talismano.

L’aspetto di donatrice, dunque, è forse il tratto più caratterizzante di questa figura, che da tempo immemorabile è presente nel folklore di aree vastissime del mondo, presiedendo gli antichi riti di fertilità. Ma la Befana è soprattutto un’antenata mitica, un personaggio totemico femminile che ha preso vita in epoca remota e, con specifiche caratteristiche, si è riproposto nelle strutture religiose successive, forse perdendo, in ogni passaggio, un po’ della sua forza e della sacralità primitiva, ma mantenendo salda la propria identità intorno a simboli ricorrenti che non si sono dissolti nei secoli. Vediamo quali.

Il legame con il fuoco e con il focolare domestico. E’ questo un tratto fondamentale del culto degli antenati, e tipico del mondo femminile. Nelle culture antiche è la donna a governare il fuoco della casa, e le divinità protettrici del focolare sono sempre femminili. Nella dimensione della fiaba questi antichi numi tutelari si sono sedimentati nelle vesti di personaggi quali la Baba Yaga del folklore russo, la strega che dorme accanto alla stufa, spazza la fuliggine con la scopa e si affaccenda con attizzatoio e pentolone. Una figura ambivalente, spaventosa e oscura, che nello svolgersi della narrazione si rivela tuttavia protettrice e portatrice di doni spirituali.

La scopa e l’asino. La scopa è forse, fra i mezzi di riconoscimento della Befana, quello più vivo nell’immaginario moderno. E‘ lo strumento che consente il volo magico, e con esso l’elargizione dei doni, ed è retaggio delle antiche religioni arboree che veneravano le piante per le virtù magiche e curative. La scopa è infatti in origine il ramo sacro, fatato, pregno di spirito vegetativo. Nella tradizione recente ha assunto il ruolo di portafortuna, scacciaguai, ma inizialmente la sua funzione apotropaica era quella di mettere in fuga gli spiriti maligni e le anime turbate dei morti. Il significato della scopa ci permette di esplorare una dimensione fondamentale della Befana: quella di mediatrice tra il mondo dei vivi e l’aldilà, già in parte svelata dal volo, proprio delle divinità infere, e approfondita dalla presenza dell’asino in alcune manifestazioni del suo folklore.

Questo animale effettivamente è presente in un vasto repertorio mitico del periodo natalizio, e la sua collocazione nel presepe non è certamente la più recente delle sue apparizioni. La sua funzione è spesso quella di accompagnare colei che porta doni. Così avviene nelle celebrazioni di Santa Lucia, che carica i balocchi sul dorso di un asinello per il quale, in Catalogna ma anche in alcune città italiane in cui la venerazione della santa è particolarmente viva, si usa lasciare un po’ di fieno fuori dalla porta o accanto al camino. Lo stesso avviene in Francia, dove un personaggio assimilabile alla nostra Befana, la vecchietta chiamata Tante Harie, si preannuncia grazie al tintinnio del sonaglio dell’asinello che la accompagna. Ritroviamo qualcosa di simile nei riti stessi della Befana, che qualche volta in Sicilia è affiancata in processione da questo animale, così come nelle befanate toscane, quei cortei musicali itineranti che si snodano per le strade dei villaggi per sollecitare l’elargizione di vino e strenne.

Ancora una volta (ma ormai lo immaginiamo), è improprio fermarsi alle apparenze. L’asino ha una lunga storia di animale ctonio e accompagnatore dei morti: veniva utilizzato per trasportare il defunto nel luogo di sepoltura e, per analogia, si credeva che riportasse nel mondo dei vivi gli antenati durante le festività ad essi dedicate, circostanze in cui tornavano nei luoghi della vita terrena per portare doni a famigliari e discendenti. Riaffiora la simbologia del dono legata alla comunicazione tra le sfere della vita e della morte. Non stupisce come questo animale, peraltro importantissimo, insieme al bue, per la vita agricola dei popoli antichi, sia stato riassorbito dalla mitologia cristiana primitiva, per permanere nel folklore del Natale fino ai giorni nostri. Nel caso della Befana, non è escluso che l’associazione con l’asino rievochi un tempo dimenticato in cui l’antenata, nelle vesti di dea della natura, assumeva aspetto zoomorfo, tipico dell’essenza trasformativa della Madre Terra. La mitologia greca ha assorbito il ricordo di queste identificazioni arcaiche attraverso le figure dei demoni femminili inferi, tra i quali Empusa, deformazione dell’antica antenata zoomorfa, che si manifestava talora sotto le spoglie di asino o di bue. L’aspetto asinino o aviforme era caratteristico delle grandi dee mediterranee, che usavano inglobare in una sorta di simbiosi l’animale sacro o totemico nella propria epifania. Lo stesso avveniva per il bovino, legato alla dimensione matriarcale, che ritroviamo nei tratti di numerose divinità (Hator, Iside, Hera, Io).

L’analisi di tutti i simboli confluiti nella figura della Befana ci parla di un personaggio costruito su una ricchissima e ininterrotta stratificazione. Sui caratteri arcaici di antica dea delle foreste e del mondo animale, di antenata ancestrale, dominatrice dell’elemento fuoco, padrona di poteri metamorfici, si sono innestate le strutture di immaginari meno primitivi e addomesticati dalla mente razionale: il focolare è divenuto il suo regno, la casa e le attività femminili il suo patrimonio spirituale. Ha in sé i tratti ambivalenti delle antiche divinità infere. E’ un po’ Persefone, un po’ Lamia, un po’ Ecate: figure terrificanti e benevole allo stesso tempo, perché padrone della duplice natura dell’esistenza. E tuttavia i valori di cui è portatrice non sono tramontati: riconosciamo in lei le radici di un’umanità di cui siamo ancora assetati: e poco importa se i doni che elargisce sono oggi assorbiti dalle logiche di un consumismo che annulla la profondità dei millenni. Accogliamo con gratitudine i semi magici disposti nella calza e ci auguriamo che il raccolto sia propizio.

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