In questo periodo critico per la storia dell’umanità, la vita vera sta lasciando lo spazio ad un’esistenza virtuale che si dipana sempre più tra i gravosi compiti della burocrazia, i martellamenti frustranti della didattica a distanza, il depauperamento dei contatti sociali e l’impoverimento delle fasce sociali più deboli.

A volte si assiste a veri e propri conflitti di un uomo contro l’altro, di una categoria contro l’altra, di una parte della popolazione contro l’altra, dei vari punti di vista di una classe medica in continua emergenza sanitaria.

Il pensiero critico è sempre più lontano dalla nostra epoca e non è di certo la scuola a stimolarlo ed alimentarlo, anzi contribuisce a forgiare quell’uomo a una dimensione che già nel lontano 1964 veniva paventato dal filosofo tedesco Herbert Marcuse.

Andava molto di moda nel corso della rivoluzione culturale del ’68, forse abusato, forse male interpretato, forse compreso solo in parte, al giorno d’oggi lontano anni luce dai nostri pensieri.

Eppure ritengo che Marcuse sia attuale più che mai, le sue opere non dovrebbero essere dimenticate, a partire dal suo primo grande successo Ragione e rivoluzione del 1941, proseguendo con la sua critica al pensiero Freudiano in Eros e civiltà pubblicato nel 1955, ma soprattutto per la sua maggiore opera L’uomo a una dimensione, il suo testo più celebre, ammirato e diffuso. Credo che i livelli tecnologici raggiunti dalla nostra società globalizzata abbiano esasperato l’unidimensionalità di pensieri e comportamenti. E questo ha determinato l’incapacità di riflettere criticamente sulla realtà totalitaria da cui siamo governati, che incrina la coesione sociale e impedisce un’opposizione concreta alla cultura contemporanea dominante.

Dio è morto - e, come direbbe Woody Allen (forse prendendo la citazione dal teatro dell'assurdo di Eugène Ionesco) “Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene” - la Natura è dominata da un uomo incapace di rispettarla e tutelarla, l’interesse economico e l’abuso di potere si sono insinuati in ogni strato sociale, in ogni azione e atto, in ogni decisione nazionale e sovranazionale, nella mente senz’anima dell’uomo moderno.

Se non bastassero i condizionamenti dettati dal consumo e dal profitto, dalla prestazione sempre più incombente e necessaria che assorbe ogni spazio di tempo libero, ad aggravare la situazione sono subentrate ulteriori forme di spersonalizzazione e controllo.

Ci aggiriamo tutti nelle strade ormai deserte blindati nella nostra mascherina alla moda che ci rende sempre più privi di connotati, irriconoscibili e disumanizzati.

Siamo ossessionati dalla vicinanza dell’altro che guardiamo con sfiducia, rabbia e frustrazione finché non raggiungiamo le nostre abitazioni-carcere prima che scattino gli orari del coprifuoco che rendono irreale e disabitato ogni luogo anche delle grandi città.

Ci stiamo sempre più attaccando alla salvezza di un ‘vaccino’ che possa proteggere le nostre vite dagli attacchi di virus e batteri sconosciuti.

E non ci rendiamo conto che i batteri e i virus della paura, del terrore e dell’assetto di guerra stanno sempre più infestando le nostre anime, i nostri cuori e le nostre inutili esistenze.

Nelle fiabe, l’eroe, per cambiare il mondo, deve compiere il suo viaggio, deve abbandonare ogni certezza ed inoltrarsi verso nuovi cammini, mettersi in mare in balia dei venti, lasciarsi andare agli elementali della natura, predisporsi all’incontro nella speranza di un aiuto o di una soluzione magica.

Allo stato attuale viaggiare è diventato difficile, gli spostamenti sono spesso proibiti e i confini sono sempre più serrati. E anche il viaggio dell’anima è diventato sempre più arduo, perché tutti scrivono, tutti parlano, molti farneticano, nessuno ascolta, in una Babele di opinioni che finiscono nel calderone dell’oblio. Gli intellettuali sono da tempo in via di estinzione: quelli rimasti, quasi tutti, sono stati cooptati dal sistema e si comportano sempre di più come una mano lunga del potere, vivendo per il successo e la celebrità.

La libertà o la sua illusione, per dirla con Galimberti, è solo un vago ricordo. Oggi pensiamo di essere liberi ma ci siamo dimenticati il vero senso di questo vocabolo. E non ci viene nemmeno il dubbio che possiamo essere davvero precipitati in un regime globale che non lascia spazio alla libertà di una sana evoluzione.

Mi vengono in mente le parole di un curandero messicano, Don Miguel Ruiz, che nel suo Quinto Accordo sostiene, come altri grandi della cultura, l’importanza del dubbio. Bisogna infatti comprendere davvero se ogni personale convinzione, comportamento o idea appartenga alla propria natura o sia piuttosto frutto di una programmazione subliminale operata dal sistema sulla nostra coscienza per condizionarne il comportamento.

Mentre al giorno d’oggi ‘tutti noi’ ci siamo accomodati in “Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà” direbbe Marcuse.

In questo senso cito un romanzo profetico rispetto alla situazione attuale Quando tutto sembra finire di Marcello Soro pubblicato nell’aprile 2019 da Bertoni Editore. Il protagonista, Luca, a un certo punto, in un suo dialogo col co-protagonista Stefano, afferma: “Il nostro popolo è stato fatto regredire volutamente portandolo a un semianalfabetismo […] a molte parole è stato subdolamente modificato il significato […] disprezzo dei sentimenti umani che dovrebbero regolare la convivenza civile […] la nostra scuola conosciuta come una delle migliori al mondo fatta scadere a infima qualità […] evidenziando l’arroganza e la bassa professionalità di chi siede nei più alti scranni del comando, l’osceno accaparramento e sperpero del bene pubblico con una cancerogena burocrazia che affossa ogni legittima attività con articolate pressioni sul cittadino […] esiste una mafiosità sociale ben inserita nelle menti di chiunque sieda in un piccolo o grande posto di comando, e questo morbo è ormai ben radicato anche in coloro che sono vittime di questo sistema…”.

E anche il personaggio di Stefano esprime la sua opinione: “…ho elaborato un concetto molto preciso sulla libertà degli uomini. Essi non sono liberi per natura, concepiscono l’attitudine all’appartenenza a qualcuno o a qualcosa fin dal momento in cui si sentono inseriti in un contesto sociale e questo avviene già nella propria famiglia, poi nella scuola, nella chiesa… devi far parte di un sistema che ti fa sentire protetto, migliore degli altri che stanno fuori […]. La libertà non esiste […] perché è lo stesso uomo che la rifiuta…”.

Eppure, siamo diventati tutti più efficienti, capaci di svegliarci presto, correre al lavoro, o alla nostra postazione informatica casalinga, iniziare la fatica quotidiana di smistamento delle email, dei messaggi WhatsApp e Facebook, delle interminabili telefonate organizzative, insomma siamo diventati tutti multitasking: anche se questo comporta che non abbiamo più tempo per mangiare, per andare a fare la spesa, per i nostri amici, per i nostri figli, per i momenti di piacere e distensione…

Magari ci rilassiamo con la televisione, che continua ad ossessionarci con le cattive notizie, gli obblighi sanitari e la pubblicità…

Con quale rivoluzione possiamo dunque uscirne?

Prima dei divieti, della DAD (una sigla priva di emozioni), dello smart working (termine mutuato dagli inglesi) stavamo forse meglio?

Ci risponde ancora Luca: “[…] la vera solitudine l’ho vissuta in città, nel mio ufficio con le ombre che quotidianamente mi sfilavano accanto, ectoplasmi indifferenti, oppure ore di solitudine profonda sui mezzi di trasporto […]. Eccoci qui, resti di una archeologia storica che ha rubato la nostra vera libertà intellettuale, privi di ali di un vero libero pensiero, protagonisti di nulla se non di altrui volontà. Rivoglio la mia vita Stefano, voglio un’altra possibilità…”.

E se vogliamo tornare indietro a un nostro non lontano passato, possiamo riflettere sul pensiero di Pasolini, il Marcuse italiano, che forse per primo acquisisce la consapevolezza che “il progressismo è tutto tranne che progresso”, rappresenta piuttosto l’imperativo categorico della società tecnocratica capace di annientare l’uomo e anche Dio. Egli comprende che nemmeno la Chiesa è in grado di trovare rimedio al fenomeno di ‘uni-dimensionalizzazione’ dell’essere umano. E se ne rende conto mentre sta realizzando il suo film Il Vangelo secondo Matteo: la Chiesa, attenta solo alla morale sessuale e ai buoni costumi, risulta ormai obsoleta, incapace di confrontarsi con il mondo rapido e affascinante delle immagini offerte dai media che sponsorizzano quello che egli definisce “l’uomo “omologato”, l’uomo della società dei consumi”.

Il personaggio di Gesù che Pasolini dipinge nel film Il Vangelo secondo Matteo sembra proprio incarnare una figura dei nuovi tempi, che riesce a sostenere la sfida con il potere dell’immagine. Ogni personaggio viene rappresentato anche nel silenzio delle parole, con un volto parlante, come per esempio il dialogo silenzioso che compie il volto di Maria, efficace e poetico. Ogni faccia sembra scelta soppesandone il carattere, l’uomo sembra avere volti molto differenti, ognuno con le sue sfumature, con gli occhi espressivi e solo il grande capello dei Farisei sembra omologato. Le parole di Gesù sono una raffica sferzante che cerca di aprire un varco nel cuore dei derelitti, di un popolo inerme che non ha altra possibilità di ribellione se non seguire quel profeta. Pasolini mette in bocca a Cristo queste parole tratte dal Vangelo (Lc 7, 33-35) che sembrano rappresentare l’annullamento dell’uomo contemporaneo:

“A chi dunque paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli che stanno nelle piazze e gridano e dicono: «Suonammo il flauto e voi non ballaste, facemmo lamentele e voi non piangeste». È venuto Giovanni il Battista che non mangia pane e non beve vino e dicono: «È indemoniato». È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: «Ecco un mangione e un bevitore, amico di pubblicani e peccatori». Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta dalle sue opere”.

La rivoluzione necessita di azione, necessita di quel “grande rifiuto” di cui parlava Marcuse, ha bisogno di uomini che “non mangiano e non bevono” le frottole dei potenti, o che mangiano e bevono come Cristo attraverso la propria differente personalità e per questo vengono perseguitati dal sistema.

Pasolini in uno dei suoi Scritti Corsari, suggerisce proprio alla Chiesa di passare all’opposizione, per essere “la guida grandiosa” ma non autoritaria di tutti coloro capaci di opporre il “grande rifiuto” al potere consumistico, “irreligioso, totalitario, violento, falsamente tollerante e in realtà più repressivo che mai, corruttore, degradante”.

Da tener presente, però, che Pasolini diceva anche: “ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere il padrone senza diventare quel padrone”.

Infatti, poi, egli si concentra su quello che per Marcuse è il “sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili […] la loro opposizione è rivoluzionaria anche se non lo è la loro coscienza. La loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola le regole del gioco, e così facendo mostra che è un gioco truccato […]”.

Sappiamo come Pasolini attraverso i suoi film abbia esplorato il mito dell’origine, in qualche misura in Accattone (1961), ma soprattutto nel Decameron (1971) dove appare evidente la “nostalgia di un popolo ideale, con la sua miseria, la sua assenza di coscienza politica (è terribile dirlo, ma è vero), di un popolo che ho conosciuto quando ero bambino”. Cerca questo popolo e sembra trovarlo: “questo popolo esiste ancora, nel ventre di Napoli”.

Se ci riflettiamo bene, quali strati della nostra Società hanno osato ribellarsi alle chiusure attuali? Chi è sceso nelle strade e ha manifestato il suo disappunto? Pasolini probabilmente aveva ragione, qualche forza rivoluzionaria permane ancora “nel popolo di Napoli” e in tutta quella pletora di disperati che non hanno più nulla da perdere.

Pasolini aveva di certo letto e approfondito anche i concetti esposti dallo psicanalista austriaco Wilhem Reich in Psicologia di massa del fascismo (1933) di cui voglio citare solo alcune frasi emblematiche: “Il fascismo non è altro che l’espressione politicamente organizzata della struttura caratteriale umana media […]. Il fascismo, nella sua forma più pura, è la somma di tutte le reazioni irrazionali del carattere umano medio […]. La mentalità fascista è la mentalità “dell’uomo della strada” mediocre, soggiogato, smanioso di sottomettersi ad un’autorità e allo stesso tempo ribelle. Non è casuale che tutti i dittatori fascisti escano dalla sfera sociale del piccolo uomo della strada reazionario […]. Oggi è chiaro a chiunque che il “fascismo” non è l’opera di un Hitler o di un Mussolini, ma che è l’espressione della struttura irrazionale dell’uomo di massa”.

I nazisti stessi affermavano che la propaganda doveva “essere essenzialmente semplice e basata sul meccanismo della “ripetizione”, insistente e banale per far sì che i concetti (soprattutto i più idioti) si cristallizzino nella mente delle persone”.

Ed è proprio in un mediometraggio del 1963, La ricotta, che Pasolini sintetizza questi concetti mettendoli in bocca al personaggio interpretato da Orson Welles, che afferma: “Ma lei non sa cosa è un uomo medio? È un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista!”.

La lezione di Pasolini era stata appresa anche da Giorgio Gaber che nel 1996 cantava Il conformista e nel 2001, L’obeso:

S'aggira per il mondo un individuo osceno
così diverso che sembra quasi disumano,
è un essere inquietante e forse non è un caso
che a poco a poco diventi contagioso.

[…] L'obeso è una presenza a tutto tondo
è il simbolo del mondo.
[…] L'obeso mangia gruppi finanziari
mangia spot e informazioni
aiuti umanitari
mangia slogan e ideologie
vecchie idee, nuovi miti
mangia tutti i bei discorsi
dei politici e dei preti.
[…] L'obeso è l'infinito di un Leopardi americano.

La nostra società del consumo ci mostra una folla di conformisti e obesi, oggi felicemente con la mascherina per essere sempre più “qualunque”, ma con una mascherina alla moda!