Tutti conoscono la storia di Frankenstein, lo scienziato che dà vita, assemblando pezzi di cadavere, ad un mostro senz’anima. Infinite e perlopiù infedeli sono state le trasposizioni cinematografiche di questa storia, dal celebre Frankenstein del 1931 con un Boris Karloff divenuto iconico nel ruolo del mostro sino alla fortunatissima parodia Young Frankenstein di Mel Brooks con Gene Wilder e Marty Feldman. I più acculturati hanno anche letto l’opera originale, Frankenstein or the Modern Prometheus della giovane Mary Wollstonecraft Godwin coniugata Shelley apparso nel 1818. E i più daranno per buona la versione che la stessa Mary Shelley dà della genesi dell’opera: trovandosi in vacanza in Svizzera, a Villa Diodati, assieme al marito Percy Bysshe, a Lord Byron e al di lui segretario John Polidori, e non riuscendo ad uscire a causa delle incessanti piogge e del freddo di quel maledetto 1816 ricordato come “l’anno senza estate”, i quattro, per ammazzare il tempo, si sarebbero divertiti a inventare storie del terrore: Polidori avrebbe ideato una storia di vampiri che sarà uno dei modelli per Bram Stoker, mentre Mary racconta la storia di questo scienziato che crea un mostro ispirata da un incubo notturno.

Ma è solo quel sogno ad aver suggerito a Mary Shelley il suo capolavoro? Non esattamente: in realtà la ragazza aveva di sicuro in testa un modello per il suo Victor Frankenstein. Ed era italiano.

Se qualcuno ha letto attentamente Frankenstein si sarà accorto che uno dei personaggi più citati è Luigi Galvani con i suoi esperimenti elettrici su rane morte: Frankenstein è convinto che tramite l’elettricità si possa arrivare al passo successivo e rianimare i cadaveri.

Fuochino. Perché il vero Frankenstein era il nipote di Galvani. Nato a Bologna nel 1762, dal 1798 Aldini fu professore di fisica sperimentale all’Università di Bologna. Suo padre era uno stimato giurista mente la madre, Caterina Galvani, era appunto la sorella di Luigi Galvani.

Nel 1803 pubblica a Londra uno studio che parte dalle ricerche dello zio e le amplia: An account of the late improvements in Galvanism dove sostiene la rianimazione dei cadaveri mediante stimoli elettrici. La scelta dell’Inghilterra fu per una questione pratica. Per i suoi esperimenti aveva bisogno di cadaveri, e gli unici cadaveri che un medico potesse ottenere legalmente erano quelli dei condannati a morte. In tutta Europa le esecuzioni capitali avvenivano mediante decapitazione, mentre in Gran Bretagna i condannati venivano impiccati: ideale per chi aveva bisogno di un cadavere intero. Il cadavere scelto fu quello di George Forster, un uomo accusato di aver annegato moglie e figlia. Aldini, in attesa di giudizio. Cinicamente Aldini corruppe i giudici per ottenere una veloce sentenza di morte e disporre della salma.

L’esperimento fu quello che tutti conosciamo per via della cinematografia su Frankenstein: mediante stimoli elettrici il cadavere di Forster pare riprendere vita. Alcune funzioni fisiologiche si riattivano, il cuore comincia a battere, e il cadavere comincia a respirare. Questo durò pochi secondi, e comunque Forster rimase sempre in stato di morte cerebrale. Tuttavia, bastò per creare un’impressione fortissima sugli astanti. Addirittura, l’assistente di Aldini morì d’infarto la notte stessa. È quindi fortemente probabile che, visto lo scalpore creato dall’esperimento, la giovane Mary abbia tratto da questo ispirazione. Anche per un altro fattore, che coinvolge la giovane più da vicino, perché all’esperimento di Aldini assistette anche suo padre William Godwin, che ne discusse spesso in casa con gli amici.

Aldini non fu l’unico “Frankenstein” della storia italiana. Anni più tardi a Pavia e Lodi operò Paolo Gorini. Come il personaggio della Shelley era ossessionato dalla morte, o meglio, dalla decomposizione. Cercò un metodo non tanto per riportare in vita i cadaveri, quanto per conservarli, sviluppando la misteriosa tecnica della “pietrificazione” che venne applicata anche sulla salma di Giuseppe Mazzini. Ancora oggi, nell’ospedale di Lodi, si trova un museo con gli esperimenti di Gorini che si può considerare un vero e proprio museo degli orrori.

Ma le fantasie di Aldini e di Gorini arrivarono sino nella Russia sovietica: il corpo di Lenin fu imbalsamato con tecniche simili alla pietrificazione perché i bolscevichi studiarono realmente la possibilità di riportarlo in vita in un futuro.

Come dire, un Frankenstein che avrebbe dovuto guidare la riscossa del proletariato.