Quando la notte fu nel suo mezzo si svegliarono
e cantarono un inno al raggio solare
stando sospesi nell’aria come a mezzogiorno.

(Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, III)

L’imperatore romano Alessandro Severo teneva tra i suoi Lari, tra le divinità dell’intimo delle sue stanze più private immagini di Cristo, Orfeo, Abramo, e Apollonio di Tiana. Chi era costui? Un saggio pitagorico, l’ultimo saggio dell’antichità, nativo di una città greca della Cappadocia. Un giovane del I secolo dopo Cristo che iniziò presto un percorso ascetico e filosofico che lo portò anche a tenere il silenzio per cinque anni della sua vita e a viaggiare per le principali terre, città, templi, oracoli e santuari dell’antichità: dai Celti all’Egitto, dall’India all’Etiopia, da Delfi e Dodona a Babilonia e Roma. Un saggio che si oppose a Nerone e fu ascoltato come consigliere di sapienza anche dagli imperatori Vespasiano e Tito.

Tutto questo e molto altro ci racconta Filostrato nel III-IV secolo dopo Cristo nella sua Vita di Apollonio di Tiana. Qui mi limiterò a cogliere e sottolineare alcuni aspetti significativi della dimensione spirituale di Apollonio e mi soffermerò specialmente sugli aspetti pitagorici, indiani e, a mio dire, “iperborei” di tale ultimo eroe-filosofo dell’antichità.

Filostrato nel suo lungo racconto ci tiene a distinguere subito tra magia popolare e le doti straordinarie di Apollonio, affinché non sia confuso con indovini fraudolenti o approfittatori. Apollonio viene descritto in primo luogo quale giovane che ricerca la sapienza e per tale ricerca tutto sacrifica sottomettendosi ad una dura autodisciplina fatta di astinenza sessuale, stile di vita semplice e sobrio, rifiuto del vino e di ogni bevanda inebriante, rifiuto di ricchezze e onori mondani. Un giovane che inizia abitando un tempio-santuario di Asclepio, figlio di Apollo, dove si compiva il rito dell’incubatio, per ottenere sogni sacri, taumaturgici e rivelatori.

Non dimentichiamo che la figura di Asclepio appare connessa con la terra degli Iperborei secondo il racconto delle stelle di Eratostene e di Igino, nonché secondo Eliano nelle sue Storie Varie, e che la dimensione apollineo-iperborea si rivela appunto dimensione sciamanica-oracolare e taumaturgica. Notiamo nel suo percorso anche aspetti eroici e lacedemoni nella sua pratica e predicazione di valori come il coraggio, l’intrepidezza, la coerenza, il patriottismo, e la nobiltà d’animo. Non a caso Apollonio considera gli Spartani “i più liberi tra i Greci”, con cui condivide la lunga chioma intonsa (come i nazirei), e giustifica persino il loro duro rito della fustigazione in onore di Artemide Scizia, pur importato dai Tauri, nonostante che uno dei tratti costanti della saggezza ascetica di Apollonio, in puro stile pitagorico, sia proprio il rifiuto di ogni sacrificio di sangue e di ogni cibo di carne.

Apollonio di Tiana si nutre solo di pane, verdure e frutta secca, veste di lino e non di lana e viaggia alla ricerca dei più sapienti al mondo per crescere alla loro scuola, identificando i migliori proprio in una confraternita di sapienti dell’India, possessori anche di una scienza superiore, in grado di controllare le nuvole e i fulmini. Questo appare un altro aspetto molto significativo: il culto agli dei. Apollonio si presenta con gli antichi sciamani pre-socratici: Empedocle, Epimenide, e lo stesso Pitagora, cioè come un “purificatore”. Grazie alla sua profonda e superiore conoscenza degli dei e della giustizia e purezza in materia di riti agli dei Apollonio “emenda i riti” delle città e delle comunità, riportandoli ad una nobiltà più antica e originaria, e questo quando viene richiesto il suo aiuto in caso di carestie, epidemie, pericoli. Non solo: scaccia gli spiriti maligni sgridandoli, come il Cristo, oltre a presentare tratti essenici simili al Battista.

Le stesse sue doti di preveggenza e lettura del pensiero non vengono descritte come azioni di magia ma come effetto di una vicinanza vivente ed interiore al mondo degli dei. Apollonio, quindi, non è un mago ma un iniziato, un sapiente che conosce le profondità dello Spirito, dei riti e del giusto modo di ottenere i favori del Cielo. Tutto questo appare del tutto coerente con una dimensione spirituale apollinea, pitagorica e anche iperborea. Non a caso Pitagora era considerato discepolo di Apollo iperboreo e dell’iperboreo sciamano Abari, a cui Filostrato lo paragona per la sua velocità e preveggenza nello spostarsi evitando le persecuzioni del crudele imperatore Domiziano. Altra connessione con gli Iperborei e la loro superiore sapienza la troviamo quando Filostrato descrive il viaggio di Apollonio presso i Celti, “ai confini di Oceano”.

Qui il racconto riprende racconti archetipali più antichi, ancestrali, dove si parla di colonne che reggono il cielo e la terra e di una precisa geografia sacrale e cosmica. Altro aspetto particolare e molto significativo compare quando Apollonio viene ammesso in questo gruppo di sapienti dell’India, arroccati su di una rupe ad altri inaccessibile.

Qui Apollonio condivide con loro alcuni tratti spirituali precisi e ricorrenti, a loro volta sia pitagorici che iperborei: il culto del Sole e della Luce, a cui si sacrifica all’alba e a mezzogiorno, le preghiere notturne nel cuore della notte, i sacrifici incruenti, e certi poteri (scientifici-ascetici, non magici) sugli elementi e su se stessi che portano a rendere possibile la lievitazione e il dominio dell’atmosfera.

Ricordiamo il racconto di Pitagora salutato da un fiume e il racconto di Empedocle quale “dominatore dei venti”. Dei loro riti a cui viene associato il nostro greco Filostrato nulla dice di preciso ma di questo non occorre stupirsi in quanto vanno considerati come un qualcosa di misterico su cui vige il segreto, come per i riti di Eleusi. Emerge solo un’immagine, più volte richiamata nel racconto: la coppa di Tantalo, segno e rito importante. Appare estremamente significativo tale riferimento in quanto rinvia ad un titano, ad un tempo mitico estremamente antico, pre-olimpico.

E le terre di Cronos e dei Titani sono le terre all’estremo Nord. Tali “poteri” indiani appaiono connessi con una conoscenza, con un “arte” che ricorda l’alchimia e che appare incentrata “sull’etere” quale principio fisico-spirituale occulto. I sapienti indiani sanno estrarre l’etere fiammante dalla luce solare e sanno gestirlo. Ecco la fonte delle loro operazioni naturali straordinarie e avvertono molto etere dentro l’anima di Apollonio quando lo incontrano. Non è quindi un caso che Apollonio di Tiana venne poi nella storia della cultura considerato un maestro dell’alchimia, e addirittura l’estensore della “Tavola di smeraldo”, il decalogo dell’alchimia, il testo più sacro e più antico fra quelli esplicitamente ermetici.

Non solo: il famoso autore alchemico Gerber nel suo Libro delle pietre, rinvia ad Apollonio e Filostrato non a caso narra anche la sapienza indiana relativa ad una “pietra di luce”, che muove le altre pietre e illumina la notte nonché al dono di sette anelli con sette pietre che i saggi indiani fanno al nostro filosofo. Che Apollonio rifiuti la magia e non sia interessato ad un “prodigioso” fine a se stesso ne abbiamo riscontro quanto viene narrato il suo incontro con i saggi dell’Etiopia, da Apollonio ritenuti inferiori a se stesso e a quelli dell’India. Essi, infatti, accogliendolo ordinano ad un albero di salutarlo e questo accade ma accade nell’indifferenza di Apollonio stesso e senza mutare il suo giudizio negativo sulle loro anime. Apollonio sembra ricapitolare il meglio dell’Antichità ponendosi quale guaritore e pellegrino la cui vita viene dedicata a educare e aiutare gli altri, le città, i popoli.

La sua universalità sembra alludere ad un Origine, a cui attinge, dove abitava un culto divino perfetto, incruento, che accomunava tutti i popoli, poi diversificatesi nei millenni per riti e tradizioni. Grazie alle sue vicende emergono numerosi e preziosi dettagli culturali che ci fanno ricordare ad esempio l’affinità fra il culto persiano del Sole e quello di Sparta, con i suoi sacrifici al Sole sul sacro monte Taigete. Pure Apollonio presenta tratti simile ad Heracle, eroe solare e apollineo, quanto iperboreo, a sua volta nemico dei sacrifici umani in Egitto ed eroe nella sua essenza pio e mite.

Un ultimo tratto saliente, fra i molti, della sua figura, è dato dal suo porsi anche quale “purificatore” di crimini di sangue. Ritualità in epoca storica ormai quasi desueta ma un tempo importante tanto che lo stesso Apollo ed Heracle devono sottoporsi a purificazioni, anche per crimini commesse “in stato di mania”, cioè di non consapevolezza, di invasamento. Pratiche antichissime che Apollonio pratica e mostra di conoscere con disinvoltura, oltre la dimensione etico-legalistica, quali forme di “esorcismo-liberazione” da ossessioni e aure perniciose.

L’aspetto esorcistico appare importante nel suo operato benefico tanto che talvolta basta la presenza pura e integra di Apollonio per scacciare spiriti maligni, fantasmi, empuse e lo stesso Apollonio può vedere entità ad altri non visibili e di esse liberare le comunità.

La storia di Filostrato si conclude con un Apollonio veramente eroico in quanto giunge in una Roma sottoposta alla tirannia del terribile imperatore Domiziano e vi giunge sapendo di essere accusato di complicità e complotto con Nerva, a sua volta ritenuto ribelle contro l’imperatore. Apollonio, quindi, va incontro ad una morte certa. Eppure, nulla lo impaurisce e alla fine durante una sua eloquente autodifesa, sua e di Nerva e altri amici ingiustamente calunniati, svanisce improvvisamente in modo prodigioso per riapparire in Sicilia dal suo amico e compagno Damis. Questo fatto, uno dei pochi realmente soprannaturali raccontati da Filostrato, richiama ancora una volta le forti affinità apollinee fra Apollonio e il celebre guaritore e sapiente iperboreo Abari e il simile Aristea di Proconneso. Entrambi benefattori dell’umanità, vincitori delle epidemie e capaci di spostarsi nello spazio e nel tempo in modo immediato e ignoto.

Di Abari parla Pindaro, Erodoto, Platone nel “Carmide”, Teopompo, Licurgo e Suda e Giamblico lo considera maestro di Pitagora nonché costruttore del Palladio di Ilio con le ossa sacre di Pelope, mentre Aristea di Proconneso viene considerato da Strabone maestro di Omero!

La sapienza greca, quindi, sembra mostrare sue radici più profonde di quelle, conosciute, egizie, dovendo risalire all’India e all’estremo Nord scitico e iperboreo. E come Pitagora Apollonio scende iniziaticamente nel sottosuolo, visitando per ben sette giorni la caverna-oracolo sotterranea sacra a Trofonio, figlio di Apollo e sita in Lebadea, in Boezia e riemergendone con tavole che dimostravano l’appartenenza pitagorea del saggio Trofonio. Salutiamo Apollonio di Tiana che per ultimo fece risplendere il luminoso mito di una “Repubblica dei filosofi” in un antichità già decadente e corrotta dal lusso e dallo schiavismo e i cui oracoli ormai declinavano, come il delfico Plutarco quasi contemporaneamente tristemente racconta e ricordiamo che ancora Costantino, prima della visione cristica della Croce, raccontò di avere incontrato Apollo in un tempio in Gallia!