Vorrei riprendere alcuni passaggi di una lettera – che io trovo bellissima – scritta da una giovane docente di Lettere (Serena, mia ex collega) ai propri allievi di terza media, come saluto di fine anno scolastico. Dopo aver elencato, uno ad uno, tutti i nomi degli studenti della classe in questione, la prof si rivolge a loro con queste parole:

Scusatemi per gli errori commessi. Io ce l’ho messa tutta per trasmettervi conoscenze e strumenti per comprendere meglio voi stessi e gli altri. Spero che non vi ricorderete solo le sgridate …, ma che ricorderete anche che siamo cresciuti un po’ tutti assieme. E ci siamo arricchiti a vicenda.

Data la mia non breve esperienza di insegnamento (medie, scuole superiori e tre università), credo di poter affermare che non è facilissimo trovare un docente che, con vero spirito di umiltà (rendendosi conto della vertigine del sapere – e del non sapere – da un lato, e della estrema difficoltà, dall’altro, di capire e aiutare gli studenti), si scusi per gli eventuali (e, forse, inevitabili) errori commessi. Io ritengo – perdonatemi l’esempio – che non debba essere il “malato” a scusarsi davanti al medico per non essere guarito completamente; ma semmai che debba essere il “medico” a scusarsi davanti al paziente di non esser ancora riuscito a curarlo efficacemente. Bella, poi, l’annotazione sul valore della condivisione nell’avventura della conoscenza. “Siamo cresciuti un po’ tutti assieme”. Questa è la cosa più necessaria per un docente: rendersi conto di come lui stesso impari dal proprio insegnamento, e dal positivo rapporto con gli alunni. Come mi ricordava il grande magistrato Mario Berri, non c’è come insegnare agli altri per imparare meglio noi stessi!

Passo ora ad un altro punto delicato e umanissimo della lettera.

Vorrei confidarvi un mio segreto, per farvi capire quanto siete stati importanti per me quest’anno. Sei mesi fa il mio compagno, il papà di mio figlio, ha deciso di andarsene … Sapete cosa mi ha salvata da un baratro di disperazione e sconforto? Siete stati voi, e per questo ve ne sarò eternamente grata. Dover venire ogni giorno a scuola, prepararvi le lezioni, cercare di trasmettervi con entusiasmo nozioni di storia o grammatica o altro, sgridarvi, spronarvi … tutto ciò mi ha salvata. Per questo mi ricorderò di voi per sempre.

Mi pare una confessione molto bella e istruttiva: sia per far capire che anche un docente non è lontano dai problemi quotidiani di tutti (studenti compresi) – al di là del suo ruolo e della sua autorevolezza – e, soprattutto, per far capire che “scuola” e “vita” non si devono mai separare, pena la riduzione della scuola ad una sterile palestra di nozionismi di superba autoreferenzialità (anziché aiutare a comprendere meglio noi stessi e gli altri).

Infine, un’ultima perla.

E come ogni prof che si rispetti, dovrei terminare questa lettera con un consiglio, un ultimo insegnamento, ma non mi viene in mente nulla se non una cosa che va apparentemente contro ciò che vi ho ripetuto quest’anno. Come prima cosa, fregatevene della scuola! Prima di tutto pensate ad essere felici, intendo veramente felici. Amate voi stessi, dovete volervi bene. E tutto il resto verrà di conseguenza: gli amici, la famiglia, lo studio, l’amore. ‘E come si fa?’ potreste chiedermi. Ascoltando voi stessi, in silenzio, ascoltando la voce più interna del vostro cuore che vi dirà se ciò che state facendo è quello che vi soddisfa o se vi state accontentando o, addirittura, se state fingendo. Non perdete tempo a sforzarvi di fare qualcosa che va contro i vostri reali desideri … Seguite le vostre passioni, siate onesti con voi stessi … (Perché) le uniche persone felici che conosco sono quelle che hanno compreso chi sono veramente e agiscono di conseguenza. Amano se stesse e quindi sono in grado di amare altre persone e, non meno importante, di ricevere amor… È stato un grande piacere essere la vostra prof.

Non serve alcun commento. Mi pare questa la giusta conclusione per un professore degno di questo nome; in quanto non c’è cosa più nobile e bella che cercare di insegnare agli altri, rispettando la loro libertà e personalità (inoltre, come direbbe lo scrittore Soldini: “Il piacere, non il dovere. Magari il piacere di fare il proprio dovere. Ma pur sempre il piacere”).

Infine, mi ricordo questa famosa battuta che fece il senatore (ma anche professore, storico e giornalista di lungo corso) Giovanni Spadolini: “Quando un docente lascia il suo insegnamento per un altro incarico – per importante che sia – scende sempre di qualche scalino”!