Ci resta, di quegli antichi tempi di Calabria, l'architettura delle sue chiese, dei suoi eremi, dei suoi cenobi, che rigorosamente richiamano i moduli di terre lontanissime: l'Armenia, la Georgia, l'Anatolia, il Peloponneso; ci resta il Codex Purpureus Rossanensis, esempio di una civiltà raffinatissima; ma ci resta soprattutto la lingua, con i suoi termini dal chiaro etimo greco, che sanno di arcane lontananze orientali, e che comunque hanno resistito a lungo.[...]Una lingua, quella greca, che ci parla di scambi culturali intensi che la Calabria, lungo quei secoli dell'Alto Medioevo, intratteneva con una parte del mondo che, ormai, viveva dimenticata dall'Occidente europeo: solo alla fine, nel 1453, allorché cadde Costantinopoli, ci si sarebbe accorti che c'era stato un Impero romano d'Oriente, che per cinque secoli almeno aveva controllato una buona parte d'Italia.

Cosa, più di questa citazione dello storico Augusto Placanica dal libro Storia della Calabria, può ben rappresentare il caleidoscopio di etnie e il crogiolo di popoli che questa regione è sempre stata? A partire dalla popolazione protostorica degli Enotri e da quella italica dei Bruzi, per passare dagli alteri fratelli Greci e dai fierissimi Romani, si potrebbe elencare una miriade di razze succedutesi in Calabria, sia con l’intento di conquistare che con quello di rifugiarsi, come i sopra citati Bizantini, i Longobardi, i Goti, gli Arabi, i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi, gli Spagnoli, gli Albanesi. Con l’Unità e i continui scambi interculturali tra Nord e Sud Italia, l’emigrazione di moltissimi Calabresi in terre per quei tempi lontanissime, e i loro ritorni per brevi o lunghi periodi, si è incrementato ancora di più il mutamento culturale. Chi cercasse ancora di individuare, ai giorni nostri, una schiatta calabra unica o pura, sarebbe solo un folle. Ed è proprio nella varietà e nella contraddizione che risiede la forza di questo popolo: il susseguirsi di genie, ne ha modificato il sangue, rinnovandolo, di secolo in secolo, ne ha cambiato i costumi e rafforzato l’identità, arricchendola.

Le lotte intestine tra Italioti e Bruzi, o tra questi ultimi e i Romani, ne hanno forgiato la determinazione del carattere; la colta e raffinata eredità dei Greci ne ha rinvigorito lo spirito, e il fastoso e solenne passato romano ne ha esaltato le leggende; il terrore delle incursioni arabe ne ha arroccato le case sulle montagne, e la mistica purezza dei cenobi basiliani ne ha rinforzato lo spirito; il rispetto del passato e del diverso manifestato dai Normanni ne ha eretto le cattedrali, e la potenza di Federico II ne ha merlato gli orli dei castelli. Le antiche rovine archeologiche restano, testimoni dei tempi floridi del passato, giganti in pietra a cui rivolgersi per spolverare le memorie e le radici di quella Calabria ormai lontana, ma mai da dimenticare, perché foriera della sua reale identità.

Non solo la presenza dell’uomo ha modificato i tratti di questa bella terra, così traviata e martoriata dagli eventi e spesso dalla negligenza umana: dei suoi mari, di acqua verde e trasparente sul Tirreno, e blu cobalto sullo Ionio, si inebria la vista di chi vi approda, e dei suoi boschi, verdi e altissimi nella Sila e nel Pollino e nell’Aspromonte ruvido, si riempiono i respiri dei viandanti. È varia e mutevole, la Calabria, perché al sole tiepido di dicembre sa alternare le piogge quasi torrenziali di giugno e mutare in breve tempo le sue fattezze mediterranee e calde in altre più romantiche, dalle forti rimembranze inglesi, dal cielo grigiastro o plumbeo che contrasta con il verde acceso dei prati distesi, o da interminati campi di lavanda nel cuore del Pollino. L’aria più pulita d’Europa, nel suo polmone verde, pulsa d’orgoglio anche nelle vene di ogni suo nativo.

È anche difficile da raccontare, la Calabria, perché la sua immagine è colma di pregiudizi e stereotipi sterili, per chi non ci vive: è, sì, un locus amoenus per le sue fattezze fisiche, ma non è più costellata da stanchi lavoratori dei campi che attraversano le città a dorso d’asino o di giovani che si riuniscono nelle tradizionali trattorie intrattenendosi al gioco delle carte indossando una coppola siciliana. I tempi sono mutati anche in zone in cui “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, per citare Giuseppe Tomasi di Lampedusa: il progresso e la tecnologia, come in quasi tutte le zone del mondo, sono perfettamente giunti anche in Calabria nella quotidianità, con la globalizzazione e la società di massa.

Sono i sentimenti dei suoi abitanti, innamorati della loro patria, costretti ad abbandonarla per nuove e migliori opportunità di lavoro, a non mutare: la fuga dei cervelli, l’abbandono dei paesi-presepe, i viaggi per cercar fortuna, ‘il dolore per il ritorno’, ossia il senso più profondo del termine di etimo greco ‘nostalgia’, restano. Immutate. La politica negligente, la malasanità, la ‘ndrangheta, l’incuria e il tedio di certi suoi abitanti ne hanno imbruttito il nome e l’opinione della doxa: tocca alle nuove generazioni risollevarli. E di giovani che restano, che si prendono cura della storia e del futuro della loro terra, ce ne sono tanti. Come non citare, a tal proposito, il cortometraggio Kalavrìa, realizzato con la regia di Marco Morganti e le riprese di Saverio Mauro e nato dalla penna e dall’idea di Emmanuele Saccà. Questi giovani intellettuali e appassionati di letteratura, storia e cinema, hanno estrapolato l’essenza più nascosta della Calabria, perché vista dagli occhi di chi vi nasce e resta. Nel corto, Kalavrìa (il suo nome in grecanico), personificazione della regione, ha le fattezze di una bella ragazza mora (interpretata da Maria Lania), sdraiata agonizzante nel suo letto, vestita di un semplice drappo bianco, in una stanza antica, arredata con mobili in legno, perché segni dei fasti passati della Calabria, ma spoglia, perché ormai innumerevoli volte derubata. Accanto a lei, un medico e un’infermiera, personificazioni della politica e dell’associazionismo locale positivamente impegnati nelle opere di risanamento della zona; un uomo elegante, con uno sguardo torvo a simboleggiare i difficili rapporti e l’iniziale disprezzo dei combattenti piemontesi ai tempi dell’Unità verso il nuovo elemento meridionale da annettere al regno per “fare l’Italia”; infine, una famiglia di contadini, i nativi di povere origini costretti ad emigrare ad inizio secolo. Unica salvezza per la bella Kalavrìa: un olio medicamentoso, di quelli che si usavano nel mondo antico, consegnatole da Erodoto, lo storico greco realmente trasferitosi a Thurii, colonia panellenica della Magna Grecia fondata intorno alla metà del V secolo a.C. nella piana situata tra le pendici del Pollino e il Mare Ionio, poco lontano dalle rovine dell’antica Sibari.

Solamente la memoria della storia e delle tradizioni della Calabria, abbracciate e studiate dai suoi giovani, potranno salvarne il futuro, emancipandola da ogni becero pregiudizio, figlio dell’invidia e dell’ignoranza di chi non la conosce.

Concludendo, è piacevole ricordare una citazione di Alexandre Dumas che, dopo aver visitato questa regione durante il suo Grand Tour in Italia e nel Mediterraneo, nel suo libro Viaggio in Calabria, scrisse:

A circa una lega da Cosenza lasciammo la via maestra per lanciarci in un sentiero che attraversava la montagna. Il paesaggio era terribilmente aspro, ma nel contempo d’un aspetto imponente e pittoresco. La tinta rossastra delle rocce, la forma slanciata che dava loro le sembianze di campane di granito, le incantevoli foreste di castagni che, di tanto in tanto, incontravamo sulla nostra strada, un sole puro e ridente che veniva dopo le tempeste e le inondazioni dei giorni precedenti, concorrevano a farci apparire il cammino come uno dei più felicemente accidentati che avessimo fatto.

Un cammino accidentato, ma felice, perché costellato di bellezza, quello della Calabria: terra di briganti e sognatori.

Bibliografia

A. Placanica, Storia della Calabria: dall’antichità ai giorni nostri, Donzelli Editore, Roma 1999.
A. Dumas, Viaggio in Calabria, Rubbettino, 2006.
E. Saccà, Metamorphosis, Youcanprint 2017.
M. Bettalli, Storia greca, Carocci editore, Roma 2006.