E una danza vi scolpì lo zoppo glorioso simile a quella che in Cnosso ampia un tempo Dedalo vi fece per Arianna dalle belle chiome dove giovani vi danzano tenendosi per i polsi...

(Iliade, XVIII, 590-594)

Il mio è un labirinto e anche un giardino. Insieme alle grotte e ai ninfei, giardini e labirinti sono tra le fantasie più antiche dell’umanità.

(Franco Maria Ricci, Labirinti)

Kerenji ha scritto pagine incantevoli sul Labirinto antico e Rober Graves l’ha avvicinato a riti di danza sacra connessi con le immagini dell’ascia bipenne minoica e della gru o pernice e al tema dell’azzoppamento sacro (Giacobbe, Achille, Hefesto…) ma il mistero più viene indagato più si moltiplica e si nasconde. Come per le Sirene mi incanta e intriga il fatto che tale immagine simbolica non cessi con l’antichità pre-cristiana ma continui fino ai giorni nostri, fino ai labirinti di Franco Maria Ricci a Fontanellato e ai molti labirinti recenti nordici: Longleat, Arkville, Marlborough, Morton, Van Buuren, Wakefield, Leeds Castle, oltre a molti altri.

Forse il recente ritorno nordico del labirinto, così intenso nei mondi anglosassoni, può richiamare dialetticamente e archetipicamente le più antiche attestazioni labirintiche, anch’esse nordiche: Glastonbury, Julian’s Bower, e quello svedese di Lindbacke, dell’età del bronzo, non a caso assai simile a quello indiano preistorico di Usgalimal, vicino a Goa, segno evidente dell’universalità unitaria della sua genesi e diffusione. Che senso ha un labirinto? Perché si conservano quasi identici, con poche variazioni su pochi modelli basici? Perché li troviamo anche nelle cattedrali gotiche, come Chartres e Amiens, ma pure a San Vitale a Ravenna fino ai giardini settecenteschi? Come e perché rimane inalterato tale modulo da circa 20.000 anni fa fino ai giorni nostri, con poche variazioni di contesto? Certo è che in tempi più recenti vi predomina l’intento giocoso e cortese, di cimento e svago, tipico dei labirinti-giardini. Basti pensare a quello di Barbarigo o di Palazzo Giusti (Verona, 1570) e Chenonceau (Valle della Loira,1720) e Villa Barbarigo (Padova, 1666). Ma i labirinti privati più moderni come quello di Ely (Cambridgeshire, 1870) e di Hever (Kent, 1904) il modulo strutturale riprende quelli antichi e l’intento allegorico-morale dei labirinti nobiliari, come quello di Horta-Guinardò (Barcellona, 1791) con al suo centro una statua di Eros o quello di Herrenhausen (Hannover), progettato nel 1674, si rivela in evidenza quale sovrastruttura funzionale di moduli ancestrali rispettati e tramandati, al di là del significato originario e della sua comprensione.

Prima di provare un’ipotesi sul loro significato complessivo riassumiamo i principali moduli strutturali del Labirinto. Sì, perché la struttura appare dimensione qui essenziale (ma quando non lo è?) in quanto il labirinto è non tanto simbolo ma prima di tutto (e ab origine) esposizione narrativa. Un’esposizione che ha una sua precisa struttura e forma. Errato deviare sulle valenze simboliche prima di averne analizzato la struttura e prima di essersi chiesti di che natura sia questa rappresentazione. I modelli principali nella loro essenza sono solamente due: il labirinto a spirale-concentrico, il più antico, spesso unicursale, cioè con unico percorso dall’entrata al centro, e il labirinto caotico, spesso multicursale. Secondo un differente approccio possiamo distinguere fra labirinti con accesso diretto, e dritto, al centro, unico o congiunto con altri accessi, come nel labirinto di Palazzo Giusti, di San Vitale e di Barbarigo, e al contrario il labirinto con percorso sempre tortuoso. Poco rilevante invece il numero dei meandri, dato quantitativo e non decisivo proprio dei labirinti “a quadrante”, come il maggior numero di quelli antichi.

Come forma generale i labirinti o sono a quadrante o sono “a medusa” tondeggianti, tendenti al cerchio. Ma in entrambi il percorso è sempre solare, orario, a ruota o spirale, indicante il cammino del sole fino alla sua sede o alla stella polare. Tutti gli altri sono dati dall’incrocio di queste quattro semplici tipologie. La differenza, infatti, tra numero di entrate e numero di accessi al centro appare qui sovra-strutturale e non essenziale.

Ci sono poi casi rari di labirinti irrisolvibili, con uscita dal centro ma assenza di accessi o percorsi limitati fra il centro e uno solo dei settori, come quello della Cattedrale del Sacro Cuore di Algeri (324 c.d.) e quello portoghese di Conimbriga (I secolo d.C.), ma si tratta di variazioni semantiche e non strutturali su temi modulari già dati e conosciuti. Questo naturalmente aggiunge enigma al mistero: perché un labirinto se non si può entrarci con successo ma vi è un centro da cui si può solo uscire ma non del tutto verso l’esterno?

Torniamo al tema strutturale, sempre decisivo e qui ancora più fondamentale. Il modello più antico e più diffuso, pur con numerose varianti, è appunto il labirinto “ad intestino” o “a cervello” per l’evidente facile isomorfismo comparativo, il cui movimento, unicursale o multicursale, comprende comunque un muoversi fra quattro quadranti fino a raggiungere il centro. Un movimento solare; una “quadratura del cerchio”. Sembra il roteare gli alambicchi proprio dell’alchimista. A questo punto appare evidente quale sia il nucleo semantico essenziale connesso con la struttura di ogni labirinto: il suo centro. Qui centro semantico e centro fisico si sovrappongono pienamente. Perché raggiungere il centro? Quale è lo scopo e il senso del labirinto?

Dei labirinti antichi è giunta a noi la testimonianza della forma figurale o del nome del centro: il Toro, un centauro, il Minotauro, Teseo o Heracle o il nome di Troia o la Chiesa. Quale altra partizione sacra è articolata in quattro settori? La Terra dell’Origine: l’Eden biblico, che detterà poi la struttura di duemila anni di chiostri monacali con la loro quadripartizione e la fontana al centro ad indicare l’origine prima delle acque e i quattro primi fiumi: Pison, Ghicon, Tigri, Eufrate. Il tema era sentito così fortemente che influenzerà anche la cartografia per vari secoli come l’Eden polare quadripartito del mappamondo di Mercatore dimostra insieme alla mappa di Ortelius e a molte altre. Il Labirinto è via infera e catabatica, via eroica e sofferente, travagliata e sotterranea che mira a tornare al Centro del cosmo, cioè proprio al Paradiso Terrestre.

Il Centro tra i quattro punti cardinali assumerà poi il velo dei cinque sensi nei giardini cinquecenteschi, barocchi, alchemici, dove il cuore del percorso è appunto la Quintessenza. Il Labirinto è più di un simbolo: è una mappa sacra e rituale, che andava un tempo anche mimata, danzata, recitata. Una mappa che punta ad Avalon, all’estremo Nord Iperboreo, che è il centro tra terra e cielo, fra inferi e iperuranio, fra acque profonde acque celesti. Arianna indica appunto la corona boreale attorno alla stella polare. È manifestazione dell’iniziata, della Dea, di Iperborea. Arianna è sorella di Deucalione; indica l’unica Terra mai sommersa dal diluvio universale: il Monte di Atlante, la Montagna del Purgatorio. Gli Inni orfici, come ci restano dalle lamine auree del Mar Nero, di questo ci parlano, come pure tutte le testimonianze su Eleusi, sulle danze circolari attorno al tripode sonoro di Delfi (si veda un frammento di Alfeo), e pure i racconti greci sul percorso di Odisseo e dei Proci per giungere ai Campi Elisi. Identici gli indizi: la roccia bianca, il bianco cipresso e pioppo, i prati di Persefone, la fontana di Mnemosyne. Odisseo prende il suo nome iniziatico da Autolico, cacciatore sacro sul Monte Parnaso, altro nome del Centro di quel Labirinto che è la nostra terra.

Conferma artistica incantevole la troviamo in un affresco della “Sala dei cavalli” di Palazzo Ducale di Mantova (1510), dove viene raffigurato un labirinto circolare e marino al cui centro si erge un alto monte che penetra i cieli ove sale una ripida via elicoidale. È il “Monte Iperboreo” della Mitografia astrale di Igino, il Parnaso, l’Olimpo, il monte Meru. Nomi differenti per un'unica idea-segno dell’axis mundi, del pilastro che connette e attraverso gli stati dell’Essere e del cosmo. Il cerchio sacro è Arianna stessa, il circolo artico dove danzano le aurore boreali. Le vie delle stelle sono indispensabili per comprendere il mistero del labirinto, mappa stellare e terrestre. Igino ci ricorda che la costellazione del Toro comprende “la stella di Saturno”, mentre Pasifae è figlia di Helios e il nome del Minotauro è lo stesso nome del primo re di Creta; Asterione, cioè lo “stellato”, la “grande stella”. Identico nome mostra l’isola vivente e parlante di Delo. Isola straordinaria e vagante, ribollente di oro, dove nasce Apollo, secondo gli Inni omerici. Certi labirinti poi vedono un centauro al centro e Issione, padre dei centauri, si vedrà condannato al supplizio di una ruota solare, motore immobile del labirinto. Non era Teseo nemico dei centauri?

La duplicità del Labirinto tra cerchio e quadrato indica proprio questo sogno sacro che è il Labirinto stesso: salire dalla terra al cielo! Pure Delfi aveva il suo centro: la pietra di Kronos, la fonte Kastalia. Ogni centro spirituale vela e occulta altri centri, più profondi. E tutto è doppio, come le vie dei bivi dei labirinti. Due le fonti di Delfi, di Atlantide e di Eleusi. Due le cime del Parnaso. Circolare e quadrato il Labirinto, come il cielo, come la terra. Questa visione spiega tutto. Spiega la difficoltà della via, anche a conoscerla. Una Via che insegna, che cambia chi la percorre e non ne garantisce il ritorno. La strada è però anche dritta.

Il Labirinto conserva in se stesso pure la sua soluzione, include una via breve, diretta e dritta, quanto quelle spiraliformi e ritornanti. Tutto serve. Le vie errate servono come educazione, come esercizio, e pure a difesa della via giusta, che non è per tutti. Il Labirinto è sempre percorso iniziatico, eroico. Il toro di Creta viene da Poseidone. Il Labirinto contiene in se stesso un carisma oceanico, cosmico. Poseidone è il nume più antico, abissale. Prima di Zeus teneva con Gea l’oracolo di Delfi e della pelasga Dodona. Oltre l’Orsa si ferma il dominio di Zeus, ci ricorda Eraclito. Inizia quello di Poseidone, di cui Teseo è figlio, come Polifemo. Iniziano le vie eroiche di Heracle, amico fraterno di Teseo, del titanico Hermes e di Apollo. La via del Labirinto è via di Muse e Sirene e conduce all’altissimo Parnaso. La via stretta del Labirinto sono le colonne d’Heracle, prima dette di Briareo e di Kronos, il Bosforo Cimmerio, le Rocce cozzanti.

Il Labirinto quale matrice eroica e agonica, stellare e ctonia. Non simbolo ma geroglifico e memento. Per questo alcuni antichi labirinti sono chiusi, perché appaiono epifanie del cosmo antico, sfera e tavola terracquea-celeste in sé conclusa, come il labirinto di Usgalimal, che si origina da un punto come una spirale, come un’irradiazione sonoro-liquida. Affine il labirinto medioevale chiuso di Wing che sembra lo schema di un campo magnetico e quello ottagonale di Amiens, quasi rosa dei venti. In quello di Amiens la struttura richiama un albero, ma pure una ruota a “croce di Sant’Andrea”. Quello di Chartres ha al centro un fiore-stella a sette punte, come sette sono i cerchi del labirinto di San Vitale, mentre il labirinto di Pompei (79 d.C.), come quello di Piadena (Cremona), appare una doppia rarità in quanto presenta un andamento anti-orario e un ingresso dall’alto. Tale è la sua potenza di simmetria e bellezza archetipica che ogni labirinto antico ci insegna qualcosa mostrandoci i suoi dettagli e questo lo fa suscitando analogie visive, intuizioni, movimenti semantici.

Chenonceau ci ricorda che tutte le vie portano al centro e quindi indica il labirinto quale dominus dei tempi, dei ritmi di percorrenza. Frojel (Gotland, Svezia) ci ricorda l’albero e la croce con il tipico centro ribassato e quadriradiante proprio dei labirinti a doppia spirale, che a loro volta, nelle loro parti inferiori oppositive, richiamano la sirena bicaudata delle cattedrali gotiche. Il Labirinto quale segno e schema della danza solstiziale del sole? E i labirinti quadrangolari quali incrocio simbolico fra movimenti solari solstiziali e quelli equinoziali? Glastonbury ci ricorda che l’Inghilterra con i suoi numerosi labirinti antichi e recenti si conferma “regno dei labirinti” più di ogni altro territorio e nello specifico il labirinto di Glastonbury con il suo andamento ascensionale e serpentino fà rilucere meglio di altri l’aspetto sacrale e templare della dimensione labirintica, sempre implicitamente presente. L’intrico curvo e armonico di quello di Julian’s Bower richiama la pianta platonica di Atlantide e “l’albero del sole” delle leggende medioevali su Alessandro Magno, mentre i suoi sei meandri divisi dall’asse centrale sembrano alludere alla concezione delle sette colonne che reggono la terra e la volta celeste delle tradizioni cosmiche antiche.

Il labirinto medioevale dell’abbazia francese di Saint Bertin appare il più complesso e squadrato ma in realtà richiama la tradizionale struttura di quelli quadripartiti e unicursali e qui il “dettaglio rilucente” emerge nel suo centro quadrato posto in verticale sul corridoio di accesso e sormontato da un doppio muro a croce che ricorda i segni dei globi cruciferi imperiali, regali e alchemici. Un volume presente alla Biblioteca Braidense di Milano di Jan Vredeman dedicato all’arte dei giardini (Anversa, 1587) mostra due tavole (n°14 e n°15) con due labirinti, uno quadrato e uno circolare, con al centro un alto albero, epifanie cosmico-apocalittiche della Gerusalemme celeste (Ap.22,2).

E che dire del “labirinto di Teseo” del Kunsthistoriches Museum di Vienna dove l’ingresso ad oriente appare parallelo all’accesso finale al centro, come per il labirinto del Museo Archeologico di Cremona? La logica posizionale dei labirinti appare di un’evidenza noetica e narrativa come solo il gioco degli scacchi sa emulare. Una comunicazione immediata sia concreta che a sua volta allusiva. Anche in quelli rinascimentali-barocchi, come quello olandese di Koloniehof, la potenza allusiva e l’intensità semantica si rivela potente. Qui abbiamo un delizioso labirinto-alveare di forma esagonale il cui andamento anti-orario alterna spirali che si chiudono in vicoli ciechi (le vie che si riavvolgono come volumi) a forme più aperte che permettono l’avanzamento fino al centro esagonale. La via giusta appare tortuosa ma pure armonica, come l’andamento di un fiume con molte anse e le forme di articolazione sembrano talvolta richiamare le rune.

Questi aspetti, risuonando, ci fanno comprendere come il nucleo strutturale-semantico dei labirinti sia il medesimo delle spirali e delle ruote solari greche, indù e celtiche, la cui alternanza nel senso di rotazione genera il labirinto, come appare evidente, tra i mille esempi, dalla decorazione a meandri del pavimento della “Casa del poeta tragico” a Pompei. Il labirinto spiazza e devia l’interpretazione di molti celando le sue evidenze e moltiplicando rinvii e implicazioni. La sua bellezza appare reversibile, carica di senso anche nel percorso inverso che in alcuni labirinti, come quello di San Vitale di Ravenna dove il centro è il punto di partenza e di origine e il centro finale del percorso appare eccentrico, posto fuori dal labirinto stesso e identificato-visualizzato con una conchiglia. I misteri più grandi e antichi restano giovani, restano vergini.

Strano, ad esempio, che nessuno abbia pensato al Mitraismo, anche siderale secondo la lezione di Zolla (Uscite dal mondo, Adelphi) quale una delle sue principali matrici. Non fu Mitra un doppio orientale di Teseo? In principio era il Toro.