Quanto segue potrebbe forse essere, fra tutti i miei contributi, il detentore di un record assai singolare, ovvero il minor tempo intercorso fra l’individuazione del tema e la pubblicazione di un articolo dedicato.

Capita infatti che una serata più strana del solito, una di quelle in cui esci di casa per stare meglio da solo, protetto dalla certezza del rituale di un tagliere misto salumi e formaggi accompagnato da un valido bicchiere di vino all'enoteca di fiducia, ti regali la sorpresa di una storia curiosa che sulle prime fa capolino tra le righe di commento a un’infografica su Instagram, per poi mostrarsi in tutta la sua eccentricità.

Capita allora di imbattersi in una brevissima sintesi sulla parabola del Granducato di Toscana in cui salta agli occhi il seguente passaggio:

...fu l'unico stato italiano a tentare di colonizzare nuove terre in America…

A questo punto però occorre una premessa: negli ultimi decenni un certo campanilismo mistificante ha progressivamente alterato la memoria collettiva italiana, elevando a improbabili Eldorado di provincia gli staterelli italici preunitari; basti pensare al caso limite del neo-borbonismo, che tanto bene ha saputo catalizzare nel Meridione il vittimismo latente tipico delle fasi di recessione economica.

Ciò detto è pur vero che fra tanti falsi primati di cui è ghiotta la cialtronesca pubblicistica antirisorgimentale, qualcosa di vero, magari poi stravolto nell'interpretazione, esiste; nel caso della non meglio precisata avventura coloniale toscana nelle Americhe, ad esempio, la fondatezza storica c'è ed ha un nome ben preciso: spedizione Thornton.

La Toscana a cavallo fra Cinque e Seicento è un contesto estremamente particolare: il duca di Firenze Cosimo I de' Medici, alternando sapientemente le alleanze, ha prima ottenuto dall'imperatore il dominio sull’ex repubblica di Siena (1557) e poi ha ricevuto dal Papa il titolo di Granduca (1569). L'improvvisa espansione territoriale medicea ha avuto però un prezzo notevole, giacché l'Impero ha avocato a sé i principali approdi costieri, successivamente riuniti nello Stato dei Presidi.

Il Granducato allora, già con Cosimo e poi, superata la debole parentesi di Francesco I (1574-87), con il fratello Ferdinando I (1587-1609) ha gettato le basi per una solida politica marittima, fatta sia di partecipazioni a coalizioni internazionali (a Lepanto c’erano anche navi toscane), sia di massicci investimenti infrastrutturali, la cui chiave di volta è stata la fondazione del porto di Livorno, supportata da una serie di provvedimenti legislativi estremamente avanzati per l'epoca: le Costituzioni Livornine prima (1591-93) e l'istituzione del Porto franco poi hanno fatto confluire su Livorno da tutta Europa una moltitudine di perseguitati politici e religiosi, che però erano anche marinai, maestri d'ascia, ingegneri tecnici, e mercanti.

Fra i nuovi arrivati ci sono i fratelli Robert e Giles Thornton, navigatori inglesi con precedenti da corsari, il loro conterraneo Robert Dudley, valente cartografo, e il mercante olandese Jan Van Harlem. Avendo già avuto modo di mettersi in luce presso la corte medicea, è a costoro che pensa Ferdinando I quando, informato da suoi emissari a Lisbona circa la possibilità di stabilire un possedimento per il commercio dei legnami pregiati su un tratto della costa settentrionale sudamericana marginale tanto per i Portoghesi quanto per gli Spagnoli, decide di organizzare una spedizione esplorativa.

È il 1608 e l'8 settembre salpano da Livorno alla volta del Nuovo Mondo il “Santa Lucia Bonaventura”, primo galeone costruito per la flotta toscana e una più modesta tartana, comandati rispettivamente da Robert e Giles Thornton, per un totale di circa 200 uomini di equipaggio. Un annetto dopo il convoglio è di ritorno, portando con sé informazioni oltremodo incoraggianti: le terre esplorate sono ricche di palissandro, canna da zucchero selvatica, pepe bianco, balsamo e cotone; dal galeone sbarcano svariati “materiali di studio”, compresi pappagalli tropicali e 6 nativi dei quali solo uno sopravvivrà al vaiolo restando a corte per il resto dei suoi giorni.

Tutto lascia supporre l'imminenza di una seconda traversata oceanica non più esplorativa ma colonizzatrice, invece il sogno di una Nuova Toscana nelle Americhe svanisce di colpo, poiché nel frattempo è rimasto orfano del suo promotore: nel febbraio 1609, infatti, è morto Ferdinando I e il figlio Cosimo II, pur proseguendo nella politica di potenziamento navale, rinuncia al progetto americano a causa della netta contrarietà spagnola, ripiegando sull'esplorazione costiera dell'Africa Occidentale nella speranza, anch'essa vana, di ottenere da Madrid l'autorizzazione a occupare la Sierra Leone. A partire dalle 1630 invece i territori sudamericani che precedentemente avevano attirato le mire medicee diventeranno la Guyana francese e, quasi vent’anni dopo, ancora la Francia farà sua gran parte della flotta toscana, ceduta dal granduca Ferdinando II per risanare i conti pubblici.

Oggi, al netto delle considerazioni di carattere generale sull'intera vicenda del colonialismo europeo, rimane la curiosità di immaginare quali ripercussioni avrebbe avuto la disponibilità di un ricco possedimento d'oltreoceano sullo sviluppo della Toscana e più in generale sui rapporti di forza fra gli staterelli italici del XVII secolo; infine non si può non ammettere lo stupore velato di malinconia per il cosmopolitismo della Livorno granducale, “città delle Nazioni” che per i motivi più disparati è scomparsa tra la fine dell'Ottocento e la Seconda Guerra Mondiale.