C’è una città di questo mondo,
ma così bella, ma così strana,
che pare un gioco di Fata Morgana
e una visione dal cuore profondo.

Avviluppata in un roseo velo,
sta con le sue chiese, palazzi, giardini,
tutta sospesa fra due turchini;
quello del mare, quello del cielo.

Così mutevole! A vederla
nelle mattine di sole bianco,
splende d’un riso pallido e stanco,
d’un chiuso lume, come la perla;
ma nei tramonti rossi affocati
è un’arca d’oro, ardente, raggiante,
nave immensa veleggiante a lontani lidi incantati.

Quando la luna alta inargenta
torri snelle e cupole piene,
e serpeggia per cento vene
d’acqua cupa e sonnolenta,
non si può dire quel ch’ella sia,
tanto è nuova mirabile cosa:
isola dolce, misteriosa,
regno infinito di fantasia…

Cosa di sogno vaga e leggera;
eppure porta mill’anni di storia,
e si corona della gloria
d’una grande vita guerriera.

Cuor di leonessa, viso che ammalia,
o tu, Venezia, due volte sovrana:
pianta di forte virtù romana,
fiore di tutta la grazia d’Italia.

(Diego Valeri)

Venezia, Venezia amore mio, quanto mi manchi. La prima volta che ho messo piede sul tuo suolo sono stata sopraffatta dalla tua bellezza luminosa, ma turbata dalla vista di teste e gambe a perdita d'occhio. Ero, non lo nascondo, triste per te, ma felice di scoprirti, così bella, con le tue strade e canali d’acqua e di pietra, sinuosi e misteriosi, i tuoi campanili, i tuoi edifici in equilibrio tra cielo e laguna, un'opera d'arte.

Finalmente a Venezia! La Serenissima! La tua strategica posizione marittima ti fece crescere e diventare la dominatrice dell’Adriatico, ma l’industria del turismo ti stava soffocando, invasa da gente e da navi enormi che hanno squilibrato l'ecosistema della laguna e cacciato i residenti. La pandemia e “l’acqua granda” hanno mostrato al mondo che Venezia non è Venezialand, ma una città fragile, che solo i suoi abitanti possono far vivere.

Dopo 1600 anni di esistenza, questa non è la prima crisi profonda che colpisce la città, la sua economia e l’intera vita cittadina. Ma, questa volta, in un anno e mezzo ha causato la chiusura di aziende, botteghe, osterie, artigiani, portando via con sé i turisti, gonfiati da un’industria che ne monopolizzava la vita. Paradossalmente, il lockdown l’ha fatta finalmente respirare ed esibire nuda, con la speranza di tornare ad essere guardata da molti, ma mai più invasa. La crisi è stata anche un bene, perché ha portato i residenti a riscoprire la loro città, libera dalle orde turistiche e, persino, a ristabilire un certo riequilibrio ambientale, apprezzato anche dai delfini rivisti a nuotare nel Canal grande.

Ma, allora, questo 1600esimo compleanno, potrebbe essere l’anno della rinascita di Venezia? Mi sono chiesta, chi ha costruito e fatto vivere questo miracolo durante questi 1600 anni? Chi sono gli abitanti che hanno saputo, con intelligenza, passione ed amore, resistere a tutto e a tutti?

Ho la fortuna e l’onore di aver incontrato, di poter lavorare e di conoscere Lili e Silvano, una grande storia dietro la cartolina, anzi, contro la Venezia cartolina.

Attraversando calli e canali, incrociando monumenti e mercati, poco a poco si arriva al Teatro La Fenice, ancora qualche passo e scopriamo, dietro un bel palazzo, il Minelli, una porta massiccia e preziosa, che nasconde e difende un tesoro di storia cittadina. È un luogo segreto, che ti accoglie con una galleria d’arte aperta su un piccolo canale. Dall’androne si sale e scopriamo un laboratorio magico da cui sembra impossibile che siano uscite opere che hanno fatto il giro del mondo. È l’Atelier Aperto, da oltre 60 anni approdo segreto di incisori, pittori, artisti ed artigiani, liberi e libertari, di Venezia e da tutti i continenti. Da qui, solo per citare gli ultimi capolavori, sono usciti libri collettivi e personali, di incisioni preziose tra cui Metropolis, Il libro della Notte, ammirati prima all’atelier poi a Amor del Libro, non solo in città e a Palazzo Ducale, ma anche nei musei e nelle gallerie di tutti i continenti. Questo Atelier vive, ha vissuto e vivrà grazie all’infaticabile ingegno dei protagonisti, artisti artigiani, sconosciuti allo sciame di turisti, che hanno attirato centinaia se non migliaia di artisti da tutti i continenti. Come è stato possibile questo miracolo? L’ho chiesto a loro, gli storici fondatori, assieme a Riccardo Licata, pace alla sua anima, del Centro Internazionale di Grafica, e animatori di Atelier Aperto e di Venezia Viva, Nicola Sene (Lili), e Silvano Gosparini, due artisti-artigiani davvero fuori dal comune. Più di 80 anni l’una e più di 90 l’altro, con 70 anni di arte e 45 di attività editoriale. Un’attività dedicata alla riscoperta del libro come prodotto artigianale, erede dell'antica sapienza tipografica veneziana e luogo d'incontro privilegiato tra l'arte della scrittura, quella dell'incisione e l’impegno politico, che qui dialogano, si confrontano e si amplificano a vicenda. Due artisti-artigiani liberi, libertari, indipendenti, senza padrone, che hanno contribuito a preservare la tradizione del libro d’artista e delle incisioni artigianali degli albori della tipografia.

Da veneziani, come vivete e avete vissuto la città, come la sentite, come è nato e come si è sviluppato il vostro impegno?

Siamo per scelta dei resistenti. Le motivazioni sono intrinseche al fatto di essere cittadini veneziani libertari. Iniziammo negli anni ‘60, una vivacissima officina collettiva, metà nei laboratori e il resto per strada. La vista pulsava dappertutto c'erano marmisti, calzolai, corniciai, ebanisti, fabbri, cartellonisti, una cartiera, l'inizio del poi famoso studio fotografico Arici, in un contesto di dopo guerra, con la povertà constante ma anche con una solidarietà tra tutti.

Noi avevamo fretta di vivere e di costruire con l’impegno costante di cambiare il mondo e soprattutto di sopravvivere. Guardiamo alla Comune di Parigi, molti sono i compagni francesi con cui condividiamo le scelte. Il nostro slogan diventa “ni Dieu ni maître”.

Nel nostro gruppo erano presenti i socialisti, i repubblicani, anche i cattolici, e il discorso anticlericale era molto vivace. I Lombroso, Anna e Paolo, De Michelis, Petris, Nane Paladini, e Sarpellon, la sinistra cattolica, e anche i sindacalisti e portuali che ci frequentavano, fra tutti Vittorio Tommasi, con cui stampammo tra l’altro, i primi volantini e i manifesti per il 1° maggio, unendo i disegni ai testi. La vocazione internazionale era concreta, c’erano sempre gli studenti di architettura, sia italiani che greci e poi, negli anni, molti giapponesi, già architetti, che frequentavano il master a Venezia. E noi ci arricchivamo di altre visioni e aperture.

Ci inspirò la creazione di Venezia Viva con un dibattito diventato più vasto, e scegliamo l’incisione perché, per noi, unisce la letteratura e la grafica. Riprendiamo quindi questa tradizione con il grande Riccardo Licata, che insegnava e viveva a Parigi, ma d’estate stava a Venezia. Decidiamo di fondare la Scuola Internazionale di Grafica per portare e diffondere in Italia le tecniche sperimentali che lui già insegnava a Parigi nell’Atelier 17 di S.W. Hayter e in quello di Henri Goetz.

Come avete vissuto i periodi di crisi, come artisti e artigiani, e come avete resistito, nel tempo e recentemente, durante l’acqua alta nel novembre 2019 e la pandemia da febbraio 2020?

Viviamo malissimo questo tempo di crisi. Venezia è la città dove siamo nati e negli anni l’abbiamo vista trasformarsi, prima con lo svuotamento dei suoi abitanti e poi con le grandi aziende, uffici e altro, trasferiti in terraferma. Quindi, da città di riferimento, è diventata una città satellite, con pochissimi residenti stabili ed esercizi commerciali rivolti quasi esclusivamente ai turisti. Questa è solo l’ultima di una serie di crisi che ha colpito, non solo noi, ma tutta la città.

La prima è stata “l’acqua granda” del 4 novembre 1966, l’alluvione che ha sconvolto la città, invadendo case e laboratori. Rimettere in sesto è stato difficilissimo, e molti sono sfollati in terraferma perché insopportabili erano i costi e i sacrifici per mettere in sicurezza e far fronte alle maree, sempre più alte.

Poi è venuta la caccia alle streghe contro la sinistra. Lo stato accusava ingiustamente gli anarchici della strage fascista di Piazza Fontana a Milano. La polizia è arrivata persino a mettere il lucchetto all’Atelier Aperto! Da bravi libertari siamo ovviamente rientrati.

A seguire, abbiamo dovuto far fronte alle imposizioni burocratiche alle attività artistiche ed artigianali e all’aumento dei costi. L’enorme aumento degli affitti, gonfiato dall’industria turistica, ha provocato moltissimi sfratti contribuendo ad espellere verso la terraferma i residenti.

Le grandi navi, il cui afflusso è stato recentemente limitato grazie alle battaglie dei residenti, scaricavano giornalmente migliaia di turisti.

“L’acqua granda” del 12 novembre 2019, è stata una disgrazia insopportabile, soprattutto perché ridicola. Fino a pochi anni fa, c’erano le sirene che riportavano alla memoria la guerra e il pericolo. Ora sono sostituite da scale musicali che vorrebbero addolcire la pillola. Se le finestre sono chiuse, spesso nemmeno si sentono, è necessario aprirle e contare i suoni che corrispondono ognuno a 10 cm di marea. Quella sera, anziché 7 note, ne sono state diffuse solo 4, ripetute 2 volte per segnalare l’estremo pericolo. Nessuno capì e corse ai ripari, anche la nostra sede fu invasa dall’acqua che distrusse libri di valore immenso. Poi la pandemia e il lockdown hanno fatto il resto.

Che rapporto avete avuto con gli altri artisti, durante questo periodo? E se questo periodo era un ostacolo, ha sfavorito e reso più difficile la creazione delle opere, o vi ha stimolato?

Il nostro carattere e la solidarietà di tanti amici ci hanno consentito di rialzare sempre la testa e di continuare. Anche adesso, malgrado la paura del contagio, continuiamo a produrre incisioni e stampare libri con i torchi antichi e con i vari sistemi di stampa, anche a colori. Segreti che continuiamo ad insegnare. I rapporti si sono obbligatoriamente diradati in questi due anni, ci vedevamo solamente con i residenti, mentre le persone che abitavano in terraferma o in altre regioni e paesi avevano molte difficoltà ad arrivare a Venezia. In ogni modo, noi ci siamo prefissi di essere sempre presenti, creando un punto di riferimento. Dell’importanza di questa presenza ce ne siamo resi conto solo successivamente, quando, da più parti, ci hanno ringraziato per aver continuato a resistere.

La solidarietà l’abbiamo intesa come un bisogno di ritrovarsi, di non perdersi nell’isolamento. Abbiamo continuato a scambiare, a dialogare, ad incoraggiarci.

Dopo “l’acqua granda”, solo la SIAE, che protegge i diritti degli autori, è stata l’unica istituzione a mandare i suoi inviati in librerie e case editrici per valutare i danni, dando poi un contributo in denaro per favorire la ripresa.

Di cosa ha bisogno la città di Venezia, per uscire dalla crisi, sia come residenti che come artisti e artigiani. Come volete la città?

Alle istituzioni non ci sentiamo di dare nessun consiglio, per troppe volte siamo andati a proporre senza avere risposta. L’unico suggerimento, creare un elenco per zona delle varie attività, e così aprire un dialogo con i vari artigiani, artisti, commercianti, funzionale non solo alle tasse, ma come forma di conoscenza della realtà vera, di ciò che rimane degli operatori in città. Serve davvero un censimento delle botteghe.

Si vorrebbe una città a misura di cittadino e non votata esclusivamente al turismo. Purtroppo, finché le persone al potere hanno come unico riferimento il danaro e il guadagno, ogni discorso è inutile.

Quali sono i progetti per il futuro?

Questa crisi è un ostacolo, non certo uno stimolo. Pur essendo attivi, questo periodo ci ha reso come paralizzati, gli artisti non venivano, tutti depressi, nascosti, impauriti. Adesso va meglio, presenteremo il catalogo dei libri di artista che abbiamo realizzato in questi 45 anni, ai primi di ottobre a Roma presso l'Associazione Internazionale Incisori, e dal 28 ottobre al 28 novembre a Monaco, nello spazio espositivo Pasinger Fabrick, dedicato alle edizioni del Centro Internazionale della Grafica, per fare rivivere l’Atelier anche li.

Vogliamo lasciare un’eredità forte ai giovani artigiani ed artisti: il mestiere di fare Venezia Terre d'Autore, Venezia, con Giuliano Scabia, di Gianfranco Anzini, tutta la storia de “l'acqua granda” e si parla di artigiani con un pezzo girato all'Atelier.

Né servi né padroni Silvano Gosparini, un personaggio fuori dal comune, racconta tutta la sua storia dall’inizio negli anni ’60.