Un tempo, nei film, capitava di ascoltare prima di un duello, la frase: “In guardia marrano|!”. Ma cosa significasse non lo sapevo proprio sebbene a senso capissi che fosse il lancio di un’offesa. Ebbene, molto tempo dopo, circa un mese fa, durante alcune visite ai luoghi di culto e sepoltura degli Ebrei mi è capitato di ascoltare il significato di “marrano”, così ho compreso il senso della famosa frase.

I marrani erano appellati coloro che fintamente si dicevano convertiti alla religione cristiana ma che in realtà continuavano a professare la loro confessione, i così detti criptoebrei, la pena per loro, il rogo o torture atroci da parte della inquisizione portoghese che quattro anni dopo l'editto dell'Alhambra promulgato da Isabella di Castiglia nel 1492, col quale decretò la cacciata degli ebrei dal suolo spagnolo, fecero altrettanto mettendo in fuga coloro che nel vicino Portogallo pensavano di trovare rifugio. Tutti questi ebrei, i sefarditi, giunsero in modo preferenziale a Livorno poiché con la leggi patenti del 1591 e l'editto successivo del 1593 essenzialmente redatto per la comunità ebraica nel quale si dichiaravano tutti i privilegi ad essi riconosciuti dal Granduca Ferdinando I, si veniva creare un luogo idilliaco per una comunità perennemente in diaspora; in più, il lasciapassare granducale, la Carta di Franchigia, proteggeva ovunque l'ebreo sefardita livornese:

Desideriamo che non vi sia né inquisizione, né perquisizione, denuncia o accusa contro di voi e le vostre famiglie.

Molti di loro, infatti, una volta acquisita la nazionalità granducale, se ne andavano sulle coste della Tunisia dove già si erano create molte comunità ebraiche, principalmente stanziate a Tunisi, Monastir, Madhia, e Sussa. Questi ebrei furono chiamati Grana che al singolare era Gorni da Leghorn, Livorno in inglese. E gli ebrei livornesi costituivano la parte più cospicua, più ricca e più colta.

Gli ebrei autoctoni della Tunisia erano invece definiti Twânsa cioè “tunisini”, vestivano all'araba e parlavano arabo. Linda Errera, la “signorina” classe 1890 che ebbi la fortuna di incontrare e conoscere in un periodo della mia vita in cui purtroppo non si dà peso a ciò che nell'età matura parrebbe un dono, era una Gorni, nata a Sussa e faceva parte di quell'élite degli ebrei sefarditi livornesi che detenevano ricchezza e cultura e di tutto ciò ancora era rappresentante, nonostante fosse oramai imprigionata nella morsa della vecchiaia, del disagio e della ristrettezza economica.

Tracce di una vita privilegiata ancora le si leggevano. Era la figlia di Vittorio Errera, dottore in medicina nato a Livorno e morto il 7 febbraio del 1892 a neanche 50 anni a Firenze, lei era nata in Tunisia ma spesso si muoveva tra il suo paese di nascita Sussa e Parigi. Il fratello Paolo era difatti nato a Parigi nel 1879 ed anche lui seguì la strada del padre divenendo un illustre medico che alla vita agiata preferì il duro lavoro in un territorio ostile, il Congo belga, dove vi morì, a Camp de Lisala, per aver contratto la tripanosomiasi, più conosciuta come la malattia del sonno provocata dalla trasmissione di un parassita inoculato dalla mosca tse-tse, all'età di 34 anni.

Poi c'era Corinna, la sorella, che insieme a Linda patì le leggi razziali vedendosi confiscati terreni nel Comune di Lari per 145 ettari e mai più avuti indietro come si legge nella relazione scaturita dai lavori della commissione presieduta da Tina Anselmi che nel 2002 a conclusione, portò alla luce cifre inimmaginabili di beni sequestrati o requisiti, molti dei quali furono resi o risarciti ma altri non sono stati più rivendicati sebbene non sia prevista la prescrizione per questi reati, e lo Stato si dichiari soltanto custode dei beni non rivendicati, ebbene Linda e Corinna risultano nella lista di coloro che non hanno avuto né i loro beni né indennizzi, ma purtroppo non ci sono più per rivendicarli e Linda è morta in povertà, vittima pure lei sebbene in altro modo delle leggi razziali.

Dal 1978 non avevo più in mente questo episodio della mia vita e mi ero dimenticata di lei, anima leggera e delicata, ma qualche mese fa è tornata a risvegliare la memoria ed ecco che cercando ovunque potessi raccogliere informazioni, si è sdipanata una storia fatta di quei nomi che già conoscevo ma per un'altra bellissima storia, quella dello Stabilimento termale delle Acque della Salute di Livorno, luogo di eccellenza per la scienza idraulica, l'igiene, l'arte e l'edilizia, inaugurato il 31 luglio del 1904 e che ha dato a Livorno quella notorietà che aveva perduto, facendola tornare ad essere l'ombelico del mondo.

Ebbene la mamma di Linda era Marietta Lumbroso, famiglia famosissima, Grana anch'essi, ma diffusasi poi in tutto il mondo. Cugino di Linda era quel Giacomo Lumbroso, medico, che ricoprì l'incarico di vicedirettore sanitario alle Acque della Salute. Affine ai Lumbroso, la famiglia Faldini, anch'essa con una storia enorme, (si rimanda ad un interessante lavoro di Luisa Faldini, Famiglie in viaggio) Grana anch'essi, che a Livorno avevano una oreficeria insieme ai Baquis nella quale i fratelli Roberto, Samuele e Fortuny producevano oggetti preziosi di una finezza unica, tra questi la medaglia in argento che la Società Acque della Salute fece realizzare da loro per donarla agli ospiti d'onore il giorno della inaugurazione e che per miracolo ne possiedo una.

Adesso penso con un approccio diverso a quell'incontro fortuito con la signorina Linda Errera, ai pomeriggi passati ad ascoltare la storia della sua vita che mi sforzo di ricordare dopo 40 anni passati nel più totale oblio di quella esperienza. Quella signorina era un personaggio di raccordo, anticipatrice e messaggera di ciò che poi diventerà una missione della mia vita. Rendere dignità al tempio delle acque labroniche, così come la necessità di rendere dignità anche a lei, che mi ha portato a scoprire quei nessi che erano già presenti 40 anni fa ma che solo ora riesco a vedere. Ti ricordo Linda e ti ringrazio.