Nel 1920, in un periodo difficile sconvolto dalle proteste, gli scioperi, gli strascichi dell’epidemia di febbre spagnola e con i danni della Prima guerra mondiale ancora non risanati, mentre si profilava la “vittoria mutilata” anche con la conclusione dell’impresa fiumana di D’Annunzio, il colonnello Giulio Douhet propose di onorare i caduti italiani della Grande Guerra con un degno monumento, a imitazione di quanto accadeva in altre nazioni europee, Francia in testa.

Durante il conflitto, infatti, la maggior parte dei caduti che avevano ricevuto sepoltura erano tumulati in provvisori cimiteri di guerra, senza degno contenitore e nessuna o quasi indicazione, se non alcuni tentativi di renderla riconoscibile per lo sforzo dei commilitoni. Era arrivato il momento di riesumare i corpi e riconoscere loro, pur se le conclusioni dei trattati di pace erano state sfavorevoli per l’Italia, un luogo dove riposare ma, soprattutto, dove il Regno italiano poteva tributare loro quella giusta considerazione, dopo che avevano dato la vita per esso. Se in alcuni casi i tedeschi e gli austriaci avevano iniziato a riesumare i corpi per portarli nei loro camposanti, oppure scegliendo di farli restare dov’erano caduti, ma con adeguato cippo commemorativo, erano tutti coloro dati per dispersi o dei quali non si ritrovava la tomba o che addirittura non avevano ricevuto sepoltura per i quali la pietà doveva essere più netta.

Si cominciò a parlare del Milite Ignoto italiano, quel soldato di cui non rimaneva nemmeno il nome, ma che aveva contribuito alla vittoria dell’Italia. Tutto il popolo avrebbe potuto e dovuto stringersi intorno a quella salma simbolica per tributare a tutti i soldati caduti, mutilati, invalidi o ritornati ai propri tradizionali lavori, l’onore che meritavano.

Venne presentato il disegno di legge in Parlamento e il 4 agosto 1921 venne approvato all’unanimità, con l’unica modifica al progetto di non seppellire il Milite Ignoto nel Pantheon, luogo di sepoltura dei Savoia, bensì al Vittoriano, l’Altare della Patria, sotto la dea Roma, al cospetto della statua di Vittorio Emanuele II e agli occhi di tutti, all’aperto. Il Ministero della Guerra incaricò un’apposita Commissione di trovare la salma di un Milite che potesse rappresentarli tutti. La Commissione era composta da sei personaggi insigniti di Medaglia d’oro al Valor Militare che individuarono undici salme tra quelle sepolte nei cimiteri di guerra al fronte, in un arco geografico vasto e tutti impossibili da identificare. Le undici salme vennero poste in bare allineate nella basilica di Aquileia dove il 28 ottobre 1921 una mamma tra le tante italiane che avevano perso i figli nel conflitto doveva sceglierne una.

Maria Bergamas aveva avuto il figlio Antonio disertore dall’esercito austroungarico per poter entrare in quello italiano a cui sentiva di realmente appartenere. Morto in combattimento, il suo corpo non era mai stato ritrovato. Maria scelse una bara delle undici, pensando potesse esserci adagiato proprio il figlio perduto. Quello era il Milite Ignoto italiano.

La bara, posta su un affusto di cannone con la frase dantesca “[...] l’ombra sua torna, ch’era dipartita [...]”, arrivò a Roma con un apposito treno, onorato durante il tragitto da molti italiani.

Al Milite Ignoto venne conferita la Medaglia d’oro al Valor Militare e, giunto nella capitale, dopo i funerali solenni, venne tumulato nel Vittoriano il 4 novembre 1921 alla presenza di re Vittorio Emanuele III e di tutte le massime autorità del Regno.

Da allora l’Altare della Patria è vegliato da una guardia d’onore quotidianamente, con due fiamme che ardono a perenne memoria.