Sul dono e il suo gesto sono stati scritti libri e articoli, sebbene molti risalgano a decenni fa e facciano spesso riferimento a un libro pubblicato addirittura nel 1925 dal filosofo francese Marcel Mauss dal titolo: Saggio sul dono. In precedenza, a trattare questo argomento era stato un noto antropologo tedesco, Franz Boas, al quale Mauss fece ovviamente riferimento. Il libro di Boas, dal titolo L’organizzazione sociale e le società segrete degli indiani Kwakiutl venne pubblicato 28 anni prima di quello di Mauss, cioè nel 1897. I Kwakiutl, praticamente scomparsi, appartenevano a una tribù indiana che popolava il Nord dell’isola di Vancouver nell’attuale Columbia Britannica, in Canada, e che i coloni europei vollero forzatamente integrare con il risultato finale di portarli invece verso l’estinzione. I sopravvissuti, qualche migliaio, con i loro totem, ora sono una sorta di attrazione turistica senza dignità.

Sul dono, recentemente, sono stati pubblicati altri lavori. Alcuni hanno citato persino il dilemma del prigioniero per spiegare questo gesto, una teoria che si tira in ballo tutte le volte che si vuole decifrare il conflitto che esiste in tutti noi, anche negli animali, tra l’interesse personale e quello collettivo, in sostanza la questione di come si possa cooperare (o non cooperare) con gli altri indipendentemente dalle sovrastrutture culturali, morali ed etiche che sono sempre esistite ed esistono tuttora nelle società (vedi Matt Ridley in Le origini della virtù). Il punto è che pochi sono stati gli autori che hanno elaborato la teoria del dono sotto altri profili socialmente e psicologicamente importanti, per esempio, quello sessuale.

Ma che cosa c’entra la teoria del dono con la sessualità? La risposta è più semplice di quanto si possa pensare e un aiuto ci viene fornito dal mondo degli animali, soprattutto da quello dei mammiferi superiori le cui menti e i loro comportamenti sociali si sono evoluti molto più velocemente che in tanti altri animali. Noi esseri umani abbiamo sempre creduto, e lo crediamo tuttora, che il dono sia qualcosa che si offre a qualcuno disinteressatamente e in piena libertà, per il gusto di farlo, senza riflettere molto sulle sue conseguenze e aspettative. Naturalmente ci stiamo riferendo al dono offerto a un amico o a un membro della nostra famiglia, non a una chiesa o a un dio, come facevano i nostri lontani antenati, per placare le forze della natura ancora sconosciute come fulmini, terremoti o altri pericoli naturali, affinché potessero essere evitate. In questi ultimi casi era chiaro che il gesto del dono implicava, e implica tuttora, la richiesta di una grazia.

Oggi, in un mondo sempre più egoista e qualunquista, il gesto del dono ha subito una trasformazione assumendo anche una valenza economica e politica. Ci riferiamo al dono che viene utilizzato per corrompere qualcuno e quindi per ottenere qualcosa che non ci spetta, ma che vogliamo avere a ogni costo: un permesso, una gara di appalto, un buon posto di lavoro, eccetera. Qui siamo ben lontani dal pensare al dono come un bene da offrire a qualcuno senza ricompensa. In questi casi non si dona con gioia, in libertà, ma per interesse, anche per dimostrare una posizione economica elevata nella società, superiore rispetto a quella del donatario.

Molto spesso, in India, ma non solo in questo Paese, mi è capitato più di una volta, così come sarà capitato ad altri, di vedere degli individui dall’aspetto benestante e sicuri di sé, che si recavano a pregare in alcuni templi, impettiti e boriosi con una manciata di spiccioli presi di proposito prima di uscire da casa da donare a ognuno dei questuanti che si trovavano lungo la loro strada. Costoro, passo dopo passo, gettavano, senza minimamente rivolgere uno sguardo ai questuanti, una monetina nelle loro mani e indifferenti passavano oltre. Ovviamente un gesto come questo non sollevava minimamente le sorti dei questuanti, che rimanevano sempre tali, e non rovinavano nemmeno le casse del donatore. La sola differenza era che con questo gesto il donatore si sentiva appagato dalla sua generosità e con la coscienza pulita mentre i questuanti, se in una giornata non ricevevano spiccioli da molti donatori, potevano pure morire di fame. In tutto il mondo esistono “benefattori” di questo genere.

Altri donano per carità cristiana, che è cosa ben diversa da quella appena illustrata, o lo fanno per qualche altra ragione? Lo fanno per far vedere che sono generosi, per sentirsi appagati e orgogliosi di se stessi? Può darsi, oppure molto probabilmente, lo fanno, inconsapevolmente, per avere in cambio qualcosa, per garantirsi una sorta di credito esistenziale, più che materiale, da presentare a un eventuale cassiere che potrebbero incontrare nel momento della resa finale dei conti, per avere la possibilità di entrare in Paradiso quando si trovano al cospetto di Dio? Forse. È difficile dirlo. Spesso la psicologia delle persone è più complessa di quanto possa sembrare.

Il Potlatch

Il Potlatch potrebbe dare una spiegazione a quello che si è appena illustrato, anche se resta la possibilità di averne un’altra ancora più dettagliata studiando il comportamento degli animali durante il corteggiamento, soprattutto quello degli scimpanzé, in particolare del Pan paniscus, più comunemente chiamato bonobo o scimpanzé nano.

Il Potlatch è una cerimonia rituale che si svolgeva in alcune tribù autoctone del Nord America come nei Kwakiutl nominati poc’anzi, ma anche tra gli Haida e i Salish, in cui si distruggevano pubblicamente dei beni importanti da parte di qualcuno che aveva lo scopo di dimostrare la sua ricchezza e la sua alta posizione sociale e che poteva disfarsi dei suoi beni disinvoltamente. Il messaggio era: io sono talmente ricco che per affermare il mio rango mi posso permettere di distruggere, dilapidare o regalare parte della mia ricchezza a qualcuno che non la possiede. Era un atto di generosità verso gli altri che a loro volta, con gli stessi scopi e gli stessi principi, potevano a catena distruggere o regalare i beni ricevuti in dono.

In forme molto meno eclatanti possiamo riscontrare lo stesso fenomeno in alcuni uomini di oggi, in quelli più generosi, naturalmente, che offrono disinvoltamente da bere e cene ai compagni: un comportamento che viene considerato dispendioso e improduttivo, oltre che pericoloso proprio perché disinteressato, quindi non mercantilista e razionale. In conclusione, il Potlatch sembrerebbe non avere nessun senso, ma a ben guardare un senso ce l’ha, ed è quello della distribuzione paritaria dei beni tra tutti gli individui di una comunità. Una sorta di socialismo ante litteram, un gesto in fondo socialmente altruistico e disinteressato.

Ma che cosa c’entra tutto questo con il sesso? C’entra perché c’è una specie di scimpanzé, il bonobo (Pan paniscus), appunto, in cui il dono consente un’attività sessuale non solo poliginica (un maschio ha contemporaneamente relazioni con più femmine), o monogamica (un maschio ha una relazione con una sola femmina) o poliandrica (una femmina ha contemporaneamente relazioni con più maschi), ma libera, in cui tra i partner non si formano mai dei legami di dipendenza o sottomissione sessuale, in cui tra l’altro l’attività omosessuale è molto diffusa.

Sesso in libertà

Ci sono stati in passato dei movimenti che hanno predicato il sesso libero, ma i risultati sono stati sempre molto scarsi e questo perché tendenzialmente l’uomo è monogamico e nelle società arcaiche era prevalentemente poliginico. A dire il vero, oggigiorno, in alcuni contesti culturali la poliginia è legalmente riconosciuta e questo non ci deve sorprendere.

Non è però della poliginia che vogliamo parlare, ma di quanto affermato da un noto ricercatore americano, Robert Trivers in base ad alcune ricerche, ovvero che gli uomini, ma non solo, tendenzialmente sono egoisti, in quanto, nonostante spesso cooperino tra loro, lo fanno però in funzione di una sola aspettativa, cioè quella della reciprocità, in sostanza, come dicono gli americani, Tit for tat: io faccio un favore a te aspettandomi che prima o poi tu lo faccia a me.

Questo ci spiega molto bene perché i bonobo hanno un’attività sessuale piuttosto promiscua senza problemi, come se fosse routine. Seducono, corteggiano e s’innamorano al di fuori del periodo riproduttivo, cioè si accoppiano per il piacere di farlo in ogni momento. Alcune femmine prima di avere il primo figlio si accoppiano più di 4mila volte, il che è veramente sorprendente. Lo fanno in ogni momento e con partner sempre diversi e senza molti problemi. Manifestano una sessualità libera da ogni vincolo sociale e convenzionale. Ma che cosa c’entra questo con il dono? In questa specie il dono del cibo tra i partner, costituito spesso da pezzi di canna da zucchero di cui vanno molto ghiotti, aumenta l’arousal sessuale e inibisce invece l’aggressività e il conflitto, favorendo quindi il coito libero.

Letture consigliate

F. Boas. 1897. “The social organization and the secret societies of the Kwakiutl Indians”. Report of the United States National Museum for the Year ending June 30, Smithsonian Institution/US, Washington, D.C., pp.: 309-738. (tr. it. L’organizzazione sociale e le società segrete degli indiani Kwakiutl, CISU Editore, Roma, 2001).
M. Mauss. 1925. "Essai sur le don". L’année Sociologique, Presses Universitaires de France, pp.: 30-186 (tr. it. Saggio sul dono, Einaudi, Torino, 2002).
R.L. Trivers. 1971. “The evolution of reciprocal altruism”. Quarterly Review of Biology, 46: 35-57.
T. Kano. 1990. “The bonobos’ peaceful kingdom”. Natural History, 11: 62-71.
M. Ridley. 1996. The origins of virtue. Viking, London. (tr.it. Le origini della virtù. IBL Libri, Torino, 2012).
A. Tartabini. Competizione femminile. Wall Street International Magazine, 19 giugno 2021.