Paesaggio è un termine corrente nel linguaggio quotidiano privo di un significato ben definito, spesso usato come sinonimo di natura, panorama, opera d’arte da salvaguardare, luogo vissuto. L’articolo determinativo rischia di astrarlo riducendolo a un’idea iperurania, mentre l’essenza e l’identità narrativa si percepiscono entrando nei luoghi e scorgendole fin dalla fonte, con il loro processo e le coordinate che anticipano un futuro di governo attento alle trame costitutive dei luoghi di vita.

La Convenzione europea del paesaggio con le sue misure del costruire delinea il suo significato che si intreccia con la storia antica dell’abitare. Un progetto che viene da lontano e ha creato un processo con tanti racconti temporanei confluiti nella narrazione. Questo è il luogo di vita, il progetto del mondo umano percepibile da ogni abitante che, a sua volta, tende per sua natura a costruire comunità, perché è un costruttore senza un habitat naturalmente precostituito, come tutti gli altri esseri.

Aristotele aveva visto giusto riconoscendo all’uomo la sua essenza di architetto che qualifica con la sua esistenza la sua opera, finalizzata all’aver cura di sé e del suo luogo. Egli abita, perché costruisce, coltiva e custodisce con l’arte di vivere la sua dimora in un mondo caratterizzato dalla connessione di molteplici elementi coesistenti, manifesti nei diversi modi di coltivare; figure da cogliere per comprendere il senso reale dell’occupazione dello spazio, che differenzia culture, epoche e stili; economie e società.

Abitare è l’abitudine di essere al mondo, siamo radicati nello spazio e nel tempo con i segni dell’esistenza che differenziano le culture, le epoche e le architetture e con un processo di paesaggio percepibile in un orizzonte, dove la connessione degli elementi di una costellazione concreta visibile mostra il suo senso e la sua estetica.

L’osservatore coglie così la relazione tra sé e le altre parti, visibili e celate, di un quadro unitario di cose analizzabili individualmente nella loro specificità, uniche nella propria essenza autonoma e nello stesso tempo parte di una totalità dalle trame molteplici. Ogni elemento appartiene a una relazione materialmente iscritta nello spazio e nel tempo: case, architetture, monumenti, strade, autostrade, edifici religiosi. Opere funzionali durature, che oltrepassano il presente con i loro linguaggi e sono in relazione antropologica con la totalità del quadro di vita al quale appartengono.

Un quadro dove l’osservatore ha la facoltà di cogliere il complesso delle relazioni locali, individuando il rapporto tra fissità e movimento; e chi si trova all’interno di queste trame, come parte integrante e costitutiva, abita nel senso pieno dell’esistere, imparando ad abitare con nuove misure per il futuro dei luoghi, fondate sulle relazioni di un paesaggio come spazio politico, economico e sociale, che superi le ideologie identitarie per un pensiero del riconoscimento.

Tutto ciò che compone e anima un quadro di vita entra in una relazione e la capacità di percepirla coglie le differenze, l’alterità, i bisogni, l’economia, la società, e i connessi beni materiali, spirituali, culturali, il patrimonio, i diritti e i doveri. Elementi che sfuggono spesso alla comprensione per la loro incessante trasformazione, che ha raggiunto una rapidità inaudita. Scompare la coerenza dei luoghi di vita, che perdono la loro specificità eterogenea. La globalizzazione avanza e di fronte all’indefinibile flusso del tempo e alla scarsa narratività, si formano per reazione le certezze identitarie e i linguaggi della rappresentazione contro l’incomprensibile, l’incerto, ciò che ormai sfugge a ogni interpretazione. Si cerca di attenuare l’insicurezza con la ricerca di linguaggi che non sollevino dubbi.

La tendenza alla chiusura può essere fronteggiata pensando, parlando e scrivendo in altro modo, abbandonando il paradigma dell’ordine e della definizione per entrare nel flusso di un pensiero relazionale. La realtà eterogenea non va indicata, ma compresa per riconoscere gli elementi costitutivi di una costellazione concreta come individui partecipi di un quadro di vita.

Un paesaggio è vita in cammino che si trasforma, talvolta frastagliandosi, accogliendo forme e figure nuove, mentre altre si disgregano: è un processo di movimenti interattivi che richiede molti saperi, profonde conoscenze, interdisciplinarietà e invenzione per un’arte della trasformazione con le sue dinamiche ancorate alla vita umana, costituendo realtà sociali di persone e ambienti, luoghi per vivere e lavorare. Non tollera formulazioni rigide perché, per sua stessa natura, è accogliente come la madre, genitrice e matrice, ricettacolo di più idee e di forme, di tutte le storie, abisso della parola che nomina il luogo, concreta realtà che invita alla cura, alla conoscenza. L’identità ha i suoi limiti e le sue barriere; è un concetto arido, ma di grande efficacia ideologica, un pensiero dogmatico dell’affermazione che non ammette la critica dei propri enunciati né di quelli degli altri senza dare la possibilità di cogliere l’esistenza di un singolare aperto all’universale.

La comprensione dei particolari è invece la via per entrare nei luoghi e svelarli, riconoscendoli. L’antropologia, nella sua qualità di pensiero della relazione, si dimostra insostituibile nella costruzione di un linguaggio nuovo rivolto all’esterno, per capire la produzione simbolica della costruzione e dell’ordinamento dello spazio: un pensiero della tensione dell’esistenza, che supera i campi metodologici limitati. La percezione della rapidità del tempo che trascorre modificando la realtà e il segno dell’opera dell’uomo sono stati sempre oggetto di riflessione.

La tensione dell’esistenza anima ogni ambito economico e sociale, ogni spazio di vita associata e di lavoro con i simboli e la storia, che lo caratterizzano con le misure svelate da una costante, durevole e mutevole relazione tra società e ambiente fisico, tra uomo e territorio. L’esistenza, dunque, crea luoghi ai quali ci radichiamo, grazie al senso dell’appartenenza, ma, pur dimorando per esistere, non abbiamo ancora imparato ad abitare. Non abbiamo attenzione per la terra, proteggendo e curando le cose che crescono - vale a dire la cultura nel suo aspetto di coltivazione del campo - e edificando in modo appropriato quelle che non crescono da sé. Entrambe, la cura e l’edificare, s’identificano nella stessa natura umana del costruire. In che misura? Quella dell’abitare: il costruire edificando cose, presso le quali e con le quali soggiorniamo in una trama di relazioni peculiare a un luogo dove si vive.

Si ritrova la garanzia di un ambiente di qualità dove si percepisce il benessere complessivo in un dialogo antico tra uomini, piante e animali che permette alla natura, nella sua totalità, di proseguire il suo processo di riproduzione; dove la dialettica vegetale, animale e minerale è rispettata anche quando vige il predominio di una di queste tre dominanti; dove coesistono i quattro elementi aria, terra, acqua, luce. Tutto ciò è da considerare principio basilare di un progetto, anche il più ardito e innovativo, inserito nel processo di paesaggio, inteso come l’insieme dei movimenti interattivi di un luogo che fondano un uno in se stesso distinto da governare. In assenza ogni dichiarazione di ecocompatibilità è mendace. Lo stesso principio dovrebbe valere per la sostenibilità, storicamente insita in ogni architettura, in ogni costruzione: quando la nominiamo vuol dire che il costruire ha raggiunto un alto grado di criticità.

L’opera duratura entra nella temporalità, cioè nell’eternità della narrazione, non rimane temporanea, vale a dire generazionale e inserita in un racconto. Duratura è l’identità narrativa di un luogo, anche con le grandi opere contemporanee, idonee a rendere accessibile allo sguardo epoche diverse, aperte al fluire del tempo dove temporaneità e temporalità si compenetrano. Un valore che anticipa il futuro da governare per migliorare un quadro di vita e favorire quel benessere consegnabile alle generazioni future, che è il fine di ogni società ed è composto di relazioni sociali, economiche e affettive.