Filastrocca delle parole:
si faccia avanti chi ne vuole.
Di parole ho la testa piena,
con dentro “la luna” e “la balena”.

C’è qualche parola un po’ bisbetica:
“peronospera”, “aritmetica”…
Ma le più belle che ho nel cuore,
le sento battere: “mamma”, “amore”. Ci sono parole per gli amici:
“Buongiorno, buon anno, siate felici”,
parole belle e parole buone
per ogni sorta di persone.

La più cattiva di tutta la terra
è una parola che odio: “la guerra”.
Per cancellarla senza pietà
gomma abbastanza si troverà.

(Gianni Rodari, La filastrocca delle parole)

Per l’enciclopedia Treccani la valenza linguistica della parola “parola” può rinchiudersi in questa definizione: “nell’uso più comune s’intende per parola la minima unità isolabile all’interno della frase e del discorso, dotata di un significato e di una funzione autonomi, e formata da uno o più fonemi. La parola presenta un senso fondamentale, cioè una sfera semantica in cui essa, isolata, vive nella coscienza linguistica dei parlanti, e un senso contestuale, ossia il particolare valore che essa assume in un determinato contesto”.

La parola come minima unità significativa in una frase e allo stesso tempo come espressione di ogni pensiero, di ogni idea, di ogni stato d’animo. La parola ci rende ciò che siamo, esseri senzienti invischiati in una moltitudine di situazioni che riusciamo a spiegare attraverso semplici suoni ricchi di significato. Come ogni fenomeno umano anche la parola e il suo utilizzo sono in continua metamorfosi. Ci accompagnano dagli albori dell’umanità, da suoni indistinti a insieme di lettere significanti.

Sono la ninna nanna per la bocca di mamme stanche, magici balsami per orecchie capricciose, sono la consolazione nei momenti difficili della nostra vita quando escono da bocche amiche, sono sfogo immediato quando ci arrabbiamo con qualcuno oppure con il mondo, sono il trattino di unione tra noi e tutto il resto dell’umanità, ci aiutano a superare le difficoltà quando le scegliamo con cura oppure le mettiamo in fila a caso, ci fanno compagnia quando decidiamo di perderci tra le pagine dei libri, grazie a loro possiamo essere Anna Karenina nel capolavoro di Lev Tolstòj o Jean Valjean ne I miserabili di Victor Hugo.

Ci uniscono quando sventoliamo il tricolore ad ogni vittoria dell’Italia, ci aiutano nel confronto con gli altri, sono accoglienti quando sembra che tutto sia perso. Ci fanno riflettere sull’andare incessante del tempo passando da "Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare” del sommo poeta Dante Alighieri nella Divina Commedia a termini come spawnare (=generare), killare (=uccidere, of course) o shoppare (=acquistare), sorta di “anglo-italianizzazione” usata, per esempio, dagli YouTuber esperti di videogiochi e amati dagli adolescenti.

Ma le parole sono anche dolorose quando sono strumenti d’odio e armi di annichilimento, quando diventano violente e incitano a cercare un nemico da combattere. Con le parole si sono avviate guerre, forma becera di rapporto tra Stati o fazioni contrapposte. Sono contradditorie quando i conflitti vengono presentati come soluzioni. Sono aberranti quando si scambiano i significati, e le promesse di gloria e vittoria diventano il trabocchetto per fomentare la violenza, oppure sono discriminanti quando sono preda di menti razziste che vedono il nemico nel colore della pelle, nell’orientamento sessuale o in un credo differente.

Semplice, veloce e virtuale. Credere nell’importanza del linguaggio è fondamentale soprattutto in un’epoca come la nostra in cui si tende alla semplificazione e alla velocità. L’impoverimento del linguaggio, dovuto anche al dibattito pubblico sempre più caratterizzato da slogan facili o confronti poveri di contenuti e di espressioni, è diventato un fenomeno degno di attenzione. Diversi sono gli studi che si concentrano sulla scomparsa di parole e tempi verbali che renderebbe più complessa l’elaborazione del pensiero critico ancorandolo, per di più, al presente, al momento.

Negli ultimi anni con l’evoluzione social, le parole sono diventate, insieme alle immagini, il modo per sistemare sé stessi nel mondo virtuale che troppo spesso si sovrappone a quello reale senza che “l’utilizzatore”, il più delle volte, se ne renda conto. Il proprio posto nel mondo è sempre più legato alla presenza costante sulle diverse piattaforme web. E, se da un lato tutto ciò rende possibile la condivisione di pensieri, idee e informazioni, dall’altro assistiamo al fenomeno degli hater o odiatori che riversano rabbia, critica (spesso non richiesta) ed opinioni violente, su ogni argomento.

Proprio per contrastare la violenza delle parole, sono nati dei progetti che hanno come obiettivo quello di educare gli utenti dei social al rispetto delle persone anche quando si esprime la propria opinione nell’etere. Tra questi c’è Parole O Stili, progetto collettivo avviato nel 2017 da oltre trecento tra giornalisti, manager, politici, docenti, comunicatori e influencer per contrastare l’ostilità dei linguaggi nei media, in particolare in Rete. Parole O Stili è nato per far riflettere sulla non neutralità delle parole e sull’importanza di sceglierle con cura. Il primo atto è stato quello di dare vita ad un Manifesto della comunicazione non ostile in cui sono elencati dieci princìpi di stile utili a migliorare il comportamento di chi naviga nella rete e che è anche un’assunzione di responsabilità condivisa. Successivamente Parole O Stili ha declinato i princìpi contenuti nel primo manifesto adattandoli ad altri ambiti come la comunicazione aziendale, l’infanzia, la politica, lo sport, la scienza, l’inclusione e la pubblica amministrazione.

Cercare con cura le parole da utilizzare anche quando si vuole criticare un pensiero differente dal proprio, limiterebbe notevolmente la carica di espressioni violente che si possono leggere nei commenti social e che poi, naturalmente, ritroviamo anche nei rapporti reali. Rispetto alla vita off line, infatti, ciò che viene scritto on line resta come traccia indelebile caratterizzando la reputazione di ognuno. Le parole che scegliamo di usare raccontano la persona che siamo, esprimono il nostro pensiero e ci permettono di crescere grazie al confronto con tutti gli altri. Tornare ad approfondire gli argomenti, perdersi tra le pagine di un libro, scrivere un pensiero con una penna sulla carta, recuperare un po’ di lentezza per rimettere in ordine i pensieri, perdere tempo dietro il susseguirsi dei concetti e imparare di nuovo ad ascoltare contribuirebbe a creare un sano clima di discussione senza prevaricazioni di sorta.