La figura dell’insegnante, negli ultimi decenni, ha subito forti cambiamenti. Un tempo esisteva il docente autoritario, il quale, utilizzando rigorosamente lezioni frontali, trasmetteva il suo sapere da una cattedra rialzata mostrando la propria superiorità agli alunni. I discenti ascoltavano e apprendevano silenziosamente ben seduti ai loro banchi.

Negli anni, l’immagine dell’insegnante è andata a perdere questo tipo di connotazione per lasciare il posto a quella di accompagnatore. All’insegnante, oggi, è richiesto anche un intento educativo oltre che di trasmissione di conoscenze.

Inoltre, con l’evoluzione della tecnologia, la scuola è chiamata a fornire agli alunni competenze più che basi nozionistiche delle diverse discipline.

Tutto ciò ha posto i docenti di fronte ad una richiesta di modifiche del proprio sistema di insegnamento, non senza una forte resistenza di molti, per adattarlo alle esigenze delle nuove generazioni.

L’arrivo della pandemia da Coronavirus ha messo in luce le moltissime difficoltà nell’accettazione di una necessaria evoluzione del sistema scolastico con conseguenze drammatiche a cui oggi possiamo assistere.

Simona Valentino è docente di scuola primaria nella provincia di Varese e nel presente articolo racconta la sua esperienza di insegnante negli ultimi venti anni e la sua visione della scuola oggi.

Simona, quando hai capito che avresti fatto l’insegnante?

Sin da bambina ho desiderato fare la maestra, questo lo confermano i disegni e piccoli scritti che ho poi ritrovato in età adulta, è stato quindi sempre un desiderio che coltivavo.

Mio padre era maestro anche se non ha mai praticato la professione e, inoltre, durante la mia infanzia ho avuto la fortuna di avere una bravissima maestra. Questo connubio mi ha trasmesso l’amore per questa professione che ho sempre avvertito come un dono.

Per quanto riguarda le modalità di apprendimento dei tuoi alunni, quali differenze noti rispetto al passato?

Le grandi differenze che ho notato dal punto di vista degli apprendimenti riguardano la rapidità e la modalità in cui oggi avvengono. I bambini assimilano tutte le informazioni che ricevono ma non sempre risultano in grado di collocarle in modo funzionale. L’apprendimento risulta così non sempre organizzato e, anche laddove viene loro proposta una strategia, essi faticano nel recupero delle informazioni.

I bambini palesano una costante e alta richiesta di fare, di agire senza però attraversare una fase precedente ed essenziale, ovvero quella della riflessione e comprensione di ciò che stanno facendo.

Il risultato di tutto ciò porta a un apprendimento frammentario, le conoscenze non risultano collegate in modo funzionale a quelle pregresse. Ci si ritrova di fronte ad alunni che non ricordano più le tabelline o i verbi studiati il mese prima, forse perché le loro energie sono sempre direzionate verso un nuovo apprendimento e, perciò, non investono più nel processo di interiorizzazione degli apprendimenti già avvenuti. Questa potrebbe essere un’ipotesi.

Inoltre, posso affermare che pur applicando il Metodo Analogico del maestro Camillo Bortolato, che prevede una metodologia in cui vi è un’esposizione e una presentazione degli argomenti in maniera molto più rapida, attiva, coinvolgente e motivante, i risultati non sono sempre quelli attesi. A mio parere questo metodo apporta significativi benefici rispetto a quello tradizionale che si dimostra, secondo la mia esperienza, ormai statico e riduttivo perché non prevede un vero coinvolgimento attivo da parte dell’alunno nella fase dell’apprendimento.

Quanto è cambiato, a tuo parere, il rapporto insegnante-discente e insegnante-genitore rispetto agli inizi della tua carriera?

Premetto che la mia età può influire sulle mie considerazioni. Infatti, la mia carriera da insegnante è iniziata quando io ero molto giovane quindi con poca esperienza ma con una preparazione professionale di qualità e di recente acquisizione che mi hanno garantito un rapporto costruttivo con tutti.

Con i bambini la relazione è stata sempre positiva, forse perché inizialmente la mia giovane età mi permetteva di essere più vicina al loro mondo, oggi perché rispecchio l'età dei loro genitori e per questo dimostrano sempre grande fiducia. Questo però comporta anche dei disagi perché può instaurarsi più confidenza e meno riconoscimento del mio ruolo di docente sia da parte dei bambini sia da parte dei genitori.

Personalmente posso dire di ritenermi fortunata poiché ho sempre incontrato genitori di alunni molto collaborativi ma, ad ogni modo, negli anni, ho potuto notare delle differenze nel rapporto con loro rispetto a quando ho iniziato la mia carriera. La stima e la considerazione verso le insegnanti da parte delle famiglie è diminuito.

La pandemia da Coronavirus ha messo a dura prova il sistema scolastico e le modalità di erogazione delle lezioni. In che modo hai modificato il tuo approccio all’insegnamento?

Prima del Covid avevo impostato una metodologia didattica assolutamente inclusiva e attiva, basata sull’idea di circle time, di cooperative learning e soprattutto di peer tutoring. Questo risultava altamente funzionale con risultati strabilianti. Con l’arrivo della pandemia, tutto questo è stato ridotto, per me è stato profondamente doloroso. Utilizzare parzialmente queste metodologie non è stato semplice né per me né per i bambini. Ho dovuto necessariamente integrare alle mie lezioni il metodo tradizionale, le lezioni sviluppate in via telematica o seduti al banco, nel rispetto del distanziamento, sono state la nostra nuova “triste” realtà.

L’utilizzo della mascherina ha creato un ulteriore problema sul piano emotivo, le voci dei bambini più timidi non si riescono più a udire e, vi è da aggiungere il fatto che, come docente, mi ritrovo ad alzare costantemente il tono di voce per fare in modo che possano sentirmi. L’espressività del volto è significativamente ridotta e i sorrisi non sono più visibili. Questo indebolisce la relazione, l’attenzione e la concentrazione e inevitabilmente la qualità dell’apprendimento. La metodologia basata sul Metodo Analogico da me adottata, anche se ridimensionata, ha retto molto bene; quello che non ha retto sono stati gli strumenti, perché non risultavano adeguati a questa improvvisa modalità di apprendimento dettata da priorità di procedure di sicurezza anti Covid che ha reso secondari i bisogni di apprendimento e di socializzazione dei bambini.

Dal canto mio, ho dovuto convertire molti strumenti che utilizzavo in presenza con quelli digitali. Ora utilizzo maggiormente i testi digitali che risultano funzionali in questa fase pandemica ma che, a mio parere, risultano riduttivi in una condizione di normalità che auspico torni presto.

Parlando di approcci all’insegnamento, cosa pensi riguardo al metodo svedese?

La mia idea è che sia un buon metodo che rispecchia una società completamente differente dalla nostra. Credo che adottare un metodo come quello svedese nel nostro Paese, a mio parere, sarebbe di difficile applicazione sotto diversi punti di vista.

La società e la scuola italiana risultano fortemente diverse sul piano pedagogico e scolastico da quella svedese. Ne è stato un esempio l’introduzione dei banchi a rotelle che non ha trovato buoni riscontri nemmeno fra i ragazzi. Credo che la scuola italiana debba rinnovarsi e aprirsi al cambiamento e all’innovazione, più precisamente, non solo verso le nuove tecnologie ma soprattutto sul piano psico-pedagogico, con scelte ponderate, condivise e stabili, che si possano realizzare concretamente e non solo idealmente, e che diano più spazio alla didattica e meno alla burocrazia. I docenti oggi investono molto tempo e risorse sul piano della burocrazia (compilazione di registri, verbali) e di conseguenza ne rimane meno per la progettazione delle attività didattiche.

Ad oggi, cosa puoi dire riguardo allo stato psico-fisico di bambini, genitori e docenti di fronte agli inevitabili cambiamenti imposti dalla pandemia (lockdown, mascherine, distanziamento sociale)?

Il quadro è, purtroppo, piuttosto negativo. La paura legata alla pandemia ha reso tutti più vulnerabili e molto più stressati, di conseguenza anche le relazioni sono diventate più difficili. Un esempio che posso citare è quello relativo ai colloqui con i genitori che ancora avvengono online; le famiglie si collegano dalle loro abitazioni e questo permette, in alcuni casi, un approccio poco rispettoso di fronte all’esposizione, da parte del docente, di una qualche problematica circa il proprio figlio o la propria figlia. Quando i colloqui avvenivano in presenza, i genitori, entrando nella struttura scolastica, si ponevano mentalmente e fisicamente in una modalità differente e assumevano una predisposizione all’ascolto e collaborazione che talvolta, oggi, manca.

Per quanto riguarda i bambini, come dicevo precedentemente, l’utilizzo della mascherina sta causando diverse problematiche sotto molteplici punti di vista. Indossandola gli alunni non riescono ad esprimere le emozioni, devono mantenere un tono di voce alto, faticano ad utilizzarla per così tante ore in maniera corretta e infine la qualità delle mascherine per i bambini non sempre è di qualità. I bambini manifestano il bisogno del contatto, vorrebbero abbracciare l’insegnante, vorrebbero abbracciarsi tra di loro e questo ora non risulta possibile. Penso quindi che nella relazione con e tra bambini in un luogo di apprendimento, la pandemia abbia causato danni significativi e purtroppo, in questo frangente, non riesco ad individuare un aspetto positivo.

Una riflessione sulla tua esperienza come insegnante e un consiglio a coloro che si apprestano a diventare docenti oggi.

La mia riflessione riguardo all’essere insegnante è positiva perché è una professione in cui credo. Nonostante le numerose difficoltà che quotidianamente incontro sulla mia strada, riconosco comunque che sia un valore aggiunto. Io amo insegnare, amo stare con i bambini in un luogo di apprendimento e questo mi aiuta ad affrontare i momenti di difficoltà. È un lavoro che richiede molta energia, molto impegno e fatica, molto più di quanto si possa credere perché oltre alla didattica in classe o telematica ci sono molte incombenze: la progettazione delle attività, la condivisione con il team di docenti di classe, la gestione delle relazioni con gli specialisti, la compilazione del registro e/o verbali e infine il materiale da correggere. È una professione che travolge, che regala molte soddisfazioni e che va svolta con grande passione, è un lavoro, quindi, che deve essere scelto in modo consapevole.