Sono convinta che ognuno di noi abbia un destino e sia giunto in questa dimensione per percorrerlo fino in fondo. Abbiamo la possibilità tutti i giorni di scegliere infiniti cammini: il destino si srotola donandoci occasioni, ponendoci sulla strada incontri apparentemente inutili e senza senso. Eppure le tante anime che ci sfilano davanti, passanti distratti o viaggiatori attenti che siano, ci sfiorano per insegnarci qualcosa, per donarci quel briciolo di conoscenza in più che altrimenti rimarrebbe in ombra. Tra i viaggiatori in cui ci imbattiamo è pur vero che qualcuno si ferma più a lungo e più profondamente per svelarci parti importanti di noi stessi. Erika Maderna è una di questi, ha incrociato la mia strada del cuore e ora le nostre vie per lunghi tratti si dipanano parallele pure nella solitudine dei nostri cammini “privilegiati”. È stato l'amico Paolo Cambrai che, avendo percepito la nostra affinità e il comune cammino di ricerca, ci ha messo in contatto suggerendo di intervistarci vicendevolmente. Come realizzare questa intervista nessuno di noi lo sapeva, ma visto che Paolo ne aveva costituito l’idea, per un misterioso percorso interiore si è concretizzata. Io mi affido a questi stimoli come quando leggo un libro che suscita nuove curiosità e l’esigenza di ulteriori approfondimenti: non so ancora cosa si leggerà dopo, ma lasciamo che le domande e le risposte nascano spontaneamente.

Patrizia Boi: Quando è nato il tuo amore per la conoscenza?
Erika Maderna: Ho sempre vissuto in case piene di libri. Credo quindi di avere avuto un imprinting nell’infanzia, e che i miei genitori abbiano una buona dose di merito in questo. Come si dice: l’appetito vien mangiando. In seguito la curiosità per la lettura è diventata una vera e propria dipendenza, dalla quale non sono ancora riuscita a liberarmi.

EM: Patrizia, di te mi incuriosisce la doppia anima di ingegnere e scrittrice di fiabe. Fuga dalla realtà o completamento di te stessa?
PB: Sei mai stata una giornata intera con un ingegnere puro? Hai mai avuto a che fare con l’evanescenza della burocrazia? Nella storia ci sono stati per fortuna tanti ingegneri della parola, c’è da un lato un bisogno di innalzarsi rispetto alla banalità del quotidiano, dall’altro la necessità di esplorare i percorsi misteriosi della conoscenza intuitiva. Se sapessi qual è poi la vera realtà non mi metterei in fuga ma piuttosto mi ci butterei a capofitto, perché solo esplorando le mille realtà possibili possiamo sperare di avvicinarci a noi stessi. In definitiva credo che si tratti quindi di un tentativo di completarmi conoscendo le altre facce che mi appartengono.

PB: In quale periodo storico saresti voluta nascere e perché?
EM: Se dovessi scegliere un’epoca lontana mi piacerebbe (deformazione professionale!) esplorare la Grecia antica, quella però pre-classica, ancora in bilico tra la natura e la “scoperta” della ragione, quando ancora “tutto era pieno di dei”, per citare il filosofo. Pescando nella storia più vicina, mi incuriosiscono gli anni ‘50 in Italia: un periodo che tutti noi abbiamo forse un po’ immaginato sfogliando gli album di fotografie di genitori o nonni. Quelle foto a me raccontano di un’epoca ancora povera, ma di una povertà sobria e dignitosa, ricca invece di speranza e di sogni, e allo stesso tempo meno complicata di quella odierna. Un tempo in cui si scrivevano le lettere a mano e si aveva la pazienza di aspettare la risposta, dove non si era sommersi per forza o per abitudine di cose superflue, dove i divertimenti erano poco pretenziosi: una serata alla balera o ritrovarsi al bar per vedere la partita...

EM: Nel 2006 hai pubblicato il romanzo Donne allo specchio. Un esordio che è anche un’esplorazione del femminile. Ce ne vuoi parlare?
PB: Ho iniziato a specchiarmi nelle altre donne per capire meglio il mondo femminile, continuo a farlo ancora – se sei d’accordo, anche questa nostra reciproca intervista potrebbe avere lo stesso titolo del mio libro – perché riappropriarsi del potere del femminino non è un’impresa facile. C’è una parte di me in ogni donna che incontro, un archetipo che riaffiora improvvisamente e mi mette di fronte a quell’essenza femminile che nel mondo moderno sembra sempre sfuggirci… Ma io volevo comprenderla più a fondo: questa esigenza in effetti nacque prima, quando annaspavo nei corridoi della burocrazia e mi venivano incontro i personaggi dei ministeri… tutta quella pletora di anime morte che popolano le fredde stanze del Potere, io stessa stavo diventando una di loro. Guardarli come in uno specchio mi provocò stupore, ma anche molta rabbia, nei confronti di me stessa naturalmente. All’epoca scrissi il romanzo Lucrezia e i Sonnambuli, mai pubblicato: non ero pronta, il loro sonnambulismo apparteneva anche a me, la rabbia fu la prima reazione, ma io dovevo andare a cercare oltre, in una dimensione che avevo dimenticato. Donne allo specchio mi ha messo in contatto con quella profondità perduta, mi ha fatto riconciliare con l’aspetto sopito della donna selvaggia, io volevo correre con i lupi, non con i cani morti del Potere e la loro necessità di controllo. Ero certa che esistesse un Potere più grande che non pretendeva sorveglianza, ma abbandono all’istinto, immersione nell’immensità dell’ombra per illuminare il vero Potere…

PB: Quale personaggio storico meglio ti rappresenta e perché?
EM: Non so se c’è un personaggio in particolare. Mi piacciono le donne che hanno lottato per affermare la propria identità in un mondo che le lasciava ai margini. Apprezzo e sento più vicine quelle che si sono votate alla poesia, alla scienza o alla filosofia, ma mi affascinano da sempre anche le vite delle mistiche e delle contemplative, per la forza e il coraggio dimostrato nel mettere alla prova un’intera esistenza per celebrare la vita dello spirito. Hanno sfidato il mondo e lottato per realizzare una vocazione difficile e spesso incompresa, e credo che abbiano molto da insegnarci anche se sembrano emergere da un mondo tanto distante. Incarnano una necessità di ribellione e ricerca di identità che appartiene alla storia delle donne, e che con i secoli non si è assopita. È sana e va mantenuta viva: oggi è ribellione da altri vincoli, meno palesi ma forse più subdoli, che spesso ci sottraggono alla verità di noi stesse.

EM: Il tuo amore per la fiaba ha radici nella storia della tua infanzia? Che ruolo ha avuto la fiaba nel tuo immaginario di bambina, e ce n’è una legata a un ricordo particolare?
PB: La fiaba ha senza dubbio inizio nella mia infanzia, sono i primi libri letti, una collana di fiabe color pastello che arredavano bene la mia cameretta. Il guaio è averli letti tutti già da piccola e aver fatto navigare la mia fantasia colma di spiritelli del Piccolo Popolo nell’oceano della mia sensibilità. Poi però il fattore scatenante è stata la nascita di mia figlia che le fiabe me le ordina, me le corregge se non le piacciono, e mi regala un sacco di fresche idee facendo riemergere la mia bambina interiore come in uno specchio…

PB: Perché sei così affascinata dalla Dea Madre? Dal mito della donna selvaggia? Dal tempo in cui secondo Marija Gimbutas le società erano ginecee? Dalle tradizioni culturali di natura matriarcale?
EM: Non pensare che abbia una fissazione per i temi del femminile, tuttavia sono una donna! Certamente se fossi un uomo andrei alla ricerca di altri modelli. Viviamo in un tempo che ha svuotato e banalizzato i simboli; semplicemente non li riconosciamo più. Abbiamo invece un grande bisogno di recuperarli, per il bene della nostra vita psichica. Può essere una buona terapia: gli archetipi del matriarcato ci svelano una natura femminile assai diversa da quella in cui siamo abituate a riconoscerci. Disinteressarci degli antichi valori significa disinteressarci della nostra stessa vita.

EM: Anche nella scelta dei temi dei tuoi racconti, in realtà, la donna selvaggia emerge in tutta la sua forza primordiale, quindi è doveroso rubarti, in un certo senso, la domanda: non è forse uno di quegli archetipi irrinunciabili nella ricerca interiore delle donne?
PB: Io credo di essermi fatta troppo addomesticare dalla civiltà, ma provengo dalla foresta bruciata dove le bestie selvagge sono state costrette a uscire dalla giungla e a indossare pellicce sintetiche. La donna selvaggia che è in me corre coi lupi nelle mie fiabe, nelle mie storie, nei momenti in cui l’immaginazione e la fantasia galoppano senza briglie… e questo ancora non mi basta! E credo non debba bastare a nessuna donna…

PB: Nel libro Medichesse esplori la vita di tante donne che hanno dedicato se stesse alla guarigione, quale di loro saresti voluta essere? E quale aspetto della cura ti affascina maggiormente?
EM: Ognuna delle figure storiche che ho raccontato nel libro ha peculiarità originali e specifiche. Trotula de Ruggiero per la modernità e lo slancio laico, Ildegarda di Bingen per la vastità di orizzonte filosofico. Mi piace ricordare la medichessa Agnodice, personaggio che in realtà appartiene più all’aneddotica che alla storia: nell’antica Atene, quando alle donne era ancora preclusa la pratica della medicina, aveva frequentato di nascosto, travestita da uomo, le lezioni di ginecologia del maestro Erofilo, non sopportando di vedere morire di parto donne che si sottraevano all’assistenza di medici maschi per il pudore di mostrare le proprie parti intime. Una volta scoperto il suo inganno, sottoposta al pubblico giudizio di condanna della città, era stata salvata da un gesto eroico di solidarietà femminile delle ateniesi, le quali affermarono che si sarebbero immolate insieme alla medichessa in caso di sentenza di morte. Si dice che la pratica medica fu da allora aperta anche alle donne, e furono fondate per loro scuole di ginecologia e ostetricia. Riguardo alla seconda parte della tua domanda: mi affascina l’aspetto vocazionale della medicina femminile, l’approccio diretto e concreto, lontano dalle astrazioni teoriche, che ha sempre contraddistinto l’intervento femminile. Le donne non avevano paura di “sporcarsi le mani” con la malattia, e sapevano accompagnare con dolcezza e pietà il malato verso la morte.

EM: Come nasce la tua fiaba? Ti affidi completamente al tuo narratore interiore o ti lasci guidare dalle mitologie del passato o dall’eredità spirituale tramandata dal folklore nei secoli?
PB: Per anni mi sono documentata e appassionata di antropologia, di mitologia, storia delle religioni, sciamanesimo, cultura celtica, tradizioni antiche e folclore, ora lascio il mio istinto completamente libero di vagare, ma è “un gatto con gli stivali” calzato comunque dalla conoscenza acquisita…

PB: Come è cambiato il concetto di guarigione nella società di oggi? Quando e perché il ruolo di guaritore è diventato maschile?
EM: Il concetto di guarigione è cambiato in quanto ci siamo abituati a delegare eccessivamente a persone estranee la cura della nostra salute, dimenticando di essere noi i protagonisti del nostro corpo, della nostra psiche, e dunque anche della nostra malattia. Abbiamo perso, insomma, la capacità di ascoltare i sintomi e di darci delle risposte. Parlo delle situazioni in cui è possibile fare a meno del medico, naturalmente: in molti casi il suo intervento è fondamentale e irrinunciabile. Riguardo, invece, al ruolo femminile e maschile nell’arte della cura, mi sembra che più che una maschilizzazione della medicina dovremmo parlare di una rinuncia delle donne alle antiche peculiarità della pratica medica femminile. Generalizzando un po’, potremmo riconoscere in questo senso una cesura storica nel periodo della caccia alle streghe. Prima di allora la curatrice era una figura ricca di sapienza empirica, conoscitrice della natura e di certi suoi misteri, un po’ maga, esperta delle erbe e delle formule propiziatorie. Lontana dalla medicina accademica dei libri praticata dai colleghi uomini. Alle soglie dell’Illuminismo, le medichesse hanno capito che il loro riscatto professionale doveva necessariamente passare attraverso un allineamento alla medicina maschile. Lessero i libri e si laurearono nelle università. Sono diventate brave e capaci quanto gli uomini. Prima erano guaritrici, ora sono dottoresse.

EM: Hai una predilezione per le storie degli alberi. Li descrivi attingendo a un linguaggio ricco di sensualità e spiritualità al tempo stesso. Spesso la loro storia si intreccia con quella di un essere umano. Cosa rappresentano per te questi antichi dei?
PB: Ci vorrebbero libri per parlare di questo. Sono convinta che siamo collegati tra noi e connessi con questi esseri vegetali che ci elevano dalla terra al cielo. Le loro anime sono in grado di farci penetrare nel mistero del sottosuolo dandoci radici per non restarne intrappolati. Io vedo tutti gli alberi come divinità cosmiche che ci fanno respirare l’essenza e la fragranza del Paradiso… L’ho scoperto mentre mi trovavo in una foresta in America a fare la Danza del sole. Quelle immense sequoie che mi circondavano mi sembravano vive, mi parlavano e io improvvisamente le capivo, e comprendevo gli scoiattoli che scomparivano velocissimi tra i rami e gli uccelli che cinguettavano tutto intorno. Lo sciamano mi suggerì di lavorare sul mio potere di guarigione attraverso le piante. All’inizio non afferrai il senso del mio percorso, quale strada dovessi seguire, ma fu una sciamana in Toscana che mi fece intendere meglio parlandomi di antenati, di radici, di Madre Terra, della dea che può risplendere in ogni donna… Da quel momento non ho più smesso di cercarla tra le fronde, tra i rami contorti, tra le radici intricate, nell’odore della corteccia dopo la pioggia, nella luce bianca della luna che illumina ogni Signora del Bosco…

PB: Tu nasci etruscologa, come è collegato questo tuo percorso con la passione riversata nella scrittura del libro Aromi sacri Fragranze profane?
EM: Gli studi universitari sono stati l’inizio di un percorso, e certamente mi hanno permesso di individuare un baricentro: il nucleo attorno al quale ha cominciato a costruirsi un gomitolo di interessi diversi che hanno preso direzioni in alcuni casi inaspettate. Ciò che avvolgerò in futuro intorno al gomitolo mi è oscuro e mi anticipa il sapore della sorpresa.

EM: Il ritmo delle tue fiabe è spesso spezzato dall’inserzione di filastrocche o rime poetiche, che irrompono nel racconto come incantesimi e lasciano sedimentare piano la narrazione. Personalmente credo che tu abbia un vero talento per questa forma espressiva. Da dove è nata l’idea di mescolare queste diverse modalità narrative?
PB: È nata spontaneamente quando conversavo con mia figlia appena nata. Le parlavo in rima, senza sapere che è la comunicazione più facilmente comprensibile per i bambini. E poi mi è piaciuto portare il ritmo della filastrocca nelle fiabe – non è un’idea nuova del resto – perché ha spesso il compito di far respirare il lettore distraendolo da una narrazione troppo lunga…

PB: Quali fragranze ami del mondo in cui viviamo? Quali aromi abbiamo perduto? Quali profumi caduti nell’oblìo sono rimasti nel nostro immaginario pronti a rinascere come un’araba fenice?
EM: Abbiamo certamente perduto gli aromi di una vita vissuta a stretto contatto con la natura. Nella dimensione della città e degli spazi spesso asettici e superdisinfettati nei quali trascorriamo gran parte delle ore della nostra giornata anche la sfera dell’odorato viene privata di tanti piaceri e si assuefà ai profumi chimici e artificiali. Rieducare i nostri nasi ci consentirebbe, per esempio, di arricchire enormemente il nostro bagaglio di memorie sensoriali, che è particolarmente sensibile alle informazioni olfattive. Personalmente amo l’odore che pervade le pinete delle nostre coste e le fragranze intense della macchia mediterranea: se tutte le mattine potessimo rotolarci in un cespuglio di salvia non avremmo bisogno di altri profumi...

EM: A proposito di profumi: ho avuto modo di leggere una delle tue ultime creazioni fiabesche, che ruota tutta intorno alla simbologia aromatica. Parla del viaggio iniziatico di una principessa incaricata di salvare il regno di suo padre, un viaggio che è soprattutto un percorso olfattivo, e che la costringe a immergersi nei peggiori insopportabili miasmi per rinascere ogni volta nella sublime purificazione della fragranza. Tutto questo mi ricorda il viaggio che gli antichi Egizi immaginavano per il defunto: erano convinti che dopo il trapasso, munito di amuleti magici e una boccetta di unguento profumato, dovesse immergersi nel fetore del regno dei morti per raggiungere l’altra sponda della nuova vita immortale superando una lunga serie di prove. Sono archetipi universali che ritornano? Quale ruolo ha per te in questo senso l’olfatto?
PB: Di certo sono archetipi universali che ritornano, ma se è vero che la nostra esistenza potrebbe essere una delle tante che abbiamo vissuto, mi piace pensare, piuttosto che alla morte come ultimo viaggio, a tutte quelle morti da cui poi rinasciamo. Spesso siamo costretti a passare attraverso la putrescente realtà per superare le prove a cui ci sottopone la vita…

PB: Quali “puzze” del mondo contemporaneo vorresti dimenticare? Cosa marcisce nel cuore degli uomini allontanandolo dal buon odore?
EM: Vorrei dimenticare gli aromatizzanti chimici che invadono i cibi. Ci inducono a pensare che una caramella alla fragola abbia davvero a che fare con le fragole. Lo stesso vale per molti cosmetici e prodotti che finiscono nel carrello della nostra spesa. Ciò che marcisce nel cuore dell’uomo, poi, è cosa del tutto individuale: ognuno guardi dentro di sé e scacci i miasmi che infestano il proprio cuore!

EM: Ultimamente hai realizzato molte interviste per WSI. C’è un personaggio che sogni di intervistare?
PB: Non me lo sono mai chiesto. Diciamo che sogno sempre di intervistare personaggi che mi insegnino qualcosa, che mi trasmettano la passione dei loro talenti e che si mettano umilmente in dubbio a ogni risposta… E devo dire che tutte le interviste fatte finora mi hanno regalato un’enorme ricchezza, compresa questa nostra…

PB: In quale viaggio ci condurrai nel prossimo futuro?
EM: Mi sto interessando delle mitologie delle erbe officinali, un viaggio nell’immaginario mitico dei nostri antenati. Le erbe erano un tempo venerate come dei, in seguito associate a specifiche divinità. Un’osservazione più attenta dei miti che le riguardano mette in luce un legame indissolubile tra le simbologie legate agli dei protettori dei cosiddetti semplici e le proprietà terapeutiche di ogni pianta, erba o fiore. Gli antichi inoltre percepivano un legame animico tra il mondo vegetale e le vicende umane: l’elaborazione delle leggende, le storie di metamorfosi vegetali o i racconti sulla nascita e la scoperta dei poteri curativi delle piante li aiutava a ricondurre i grandi temi cosmici in un alveo più rassicurante e comprensibile. Al momento mi sto piacevolmente perdendo in questo universo.

EM: Comunque, mi sembra di capire che su queste tematiche troviamo un terreno comune di interessi e approfondimenti. O sbaglio? Infatti so che hai in corso di pubblicazione un volume intitolato LegenΔe di piante - Nostra Protezione ed Equilibrio in Terra. Ti va di incuriosirci?
PB: Tutto ha avuto inizio dalla mia ricerca sulle fiabe. Le fiabe non sono rivolte solo ai bambini, ma sono legate alla guarigione anche degli adulti. Infatti mettono in luce i nostri bisogni interiori e mostrano il cammino necessario per risolvere conflitti, affrontare cambiamenti e operare trasformazioni. Un tempo, lo sciamano del villaggio o il cantastorie le usavano come insegnamento o come aiuto nelle fasi critiche della vita. Dopo la lettura del libro di Massimo Diana Fiabe per amare e in particolare della fiaba L’Ondina della Pescaia, un modo suggestivo di svelare il significato della relazione di coppia, mi si è accesa la voglia di saperne di più. Così mi sono imbattuta nel sito di Lucia Berrettari e nel suo particolare lavoro: Costellazioni familiari con le Fiabe. Da questo percorso è emersa la necessità di riscoprire il potere che proveniva dalle mie radici. Lucia mi suggerì di interessarmi di guarigione attraverso la mia fantasia favolistica e affidandomi alla guida di Madre Terra e poi mi fece conoscere Lidia, l’erborista. Così nacque l’idea di dar vita a quest’opera: LegenΔe di Piante. Si tratta di un viaggio nel mondo vegetale che inizia da un Albero Cosmico, Il Frassino del Tempo Senza Tempo, e si dipana coinvolgendo, mese dopo mese, l’anima primigenia di Dodici Piante: Abete, Acero, Betulla, Faggio, Sequoia, Tiglio, Fico, Quercia, Olivo, Noce, Castagno e Olmo. Una scrittrice, la cantastorie, un’erborista, la donna di medicina, una costellatrice, la strega guaritrice… per interpretare con i nostri diversi talenti lo spirito e la magia delle piante e il loro potere di guarigione.

Ecco, ora mi si è chiarito il percorso della doppia intervista, riguarda la mia strada del cuore, le infinite letture e ricerche fatte. Ed Erika è stata l’occasione per superare uno dei crocevia che ci pone innanzi la vita. Quando la incontrai la prima volta mi affascinò con le sue accattivanti teorie sulle Medichesse, ma, quando la incontrai di nuovo al Museo di Villa Giulia, mi sedusse definitivamente con il suo Aromi sacri Fragranze profane. Paolo è stato l’Angelo che mi ha instillato l’idea dell’intervista e del percorso olfattivo. Quel giorno lui mi offrì una tisana e mi indicò i tavoli pieni di aromi e fragranze che la Soprintendente Alfonsina Russo aveva fatto allestire per quella Notte al Museo. Avevo condotto con me mia figlia e un’amichetta e si fecero totalmente conquistare dalla composizione dei profumi. Io comprai il libro e lo lessi con coinvolgimento. Dall’idea di scrivere solo una piccola fiaba olfattiva, i profumi, le fragranze e gli aromi mi hanno talmente preso la mano che mi hanno portato alla stesura di un’opera strutturata anche con i capitoli, quasi un libro. Mi sono immersa nella scrittura di un lungo viaggio iniziatico nel mondo degli odori e mi sono fatta ispirare dalla lettura de Il profumo – il romanzo di Patrick Süskind. Dall’incontro con Erika è nata quindi la Fiaba Kalika e l’Isola degli Aromi, un viaggio ulissico al femminile alla ricerca delle preziose essenze odorose per vincere metaforicamente il potere della putrefazione che quotidianamente ci alita sopra.