Stefania Marangoni, pedagogista e didatta dell' OPPI, Organizzazione nazionale ed europea per la Preparazione Professionale degli Insegnanti, di cui ha ricoperto il ruolo di presidente e direttrice, ha svolto attività di ricerca nell'ambito delle scienze dell'educazione e attività di formazione degli adulti (in particolare personale scolastico e sanitario). Dopo un decennale impegno come insegnante negli istituti superiori di Milano, che le ha permesso di vivere direttamente le problematiche del mondo adolescenziale e giovanile, ha trasfuso questa sua esperienza in numerosi corsi di formazione per docenti, dirigenti, ispettori scolastici e ha collaborato ad attività formative con le Regioni per la riqualificazione del personale sanitario, con una particolare attenzione al nesso educazione-prevenzione-salute-qualità della vita; tra i suoi numerosi interventi su periodici e pubblicazioni, ricordiamo Educazione ecologica- un contributo alla soluzione ai problemi dell'ambiente e Pensare formare – Epistemologie a confronto.

La tua lunga e ricca esperienza di educatrice, studiosa e ricercatrice è caratterizzata da un ampio approccio multidisciplinare vitalizzato da una forte componente emotiva...

La mia passione è stata, ed è tuttora, occuparmi del dibattito epistemologico in atto e delle sue influenze sul modo di pensare i saperi disciplinari e la relazione di insegnamento-apprendimento, alla ricerca delle possibili connessioni tra analisi delle discipline, organizzazione dei curricoli, diritto al successo formativo e valorizzazione delle differenze. Nella valorizzazione delle differenze e delle diversità mi sono occupata anche di quelle di genere, della biodiversità e dell’educazione alla pace.

E proprio partendo da questa premessa, ti sei posta e hai approfondito il problema di come educare alla nonviolenza e di come la donna si potrebbe fare vettrice di un fecondo messaggio di pace: come giudichi l'inquietante recrudescenza delle guerre che coinvolge donne, come vittime, ma anche come conniventi?

Se la guerra ci perseguita forse ha in sé qualcosa di archetipico: dobbiamo rivolgerci ai miti, poiché come sostiene Erich Neumann, psicoanalista junghiano, "il mito è sempre la rappresentazione inconscia delle decisive situazioni esistenziali e riveste per noi tanta importanza perché nelle sue confessioni non oscurate dalla coscienza possiamo cogliere le esperienze umane fondamentali nella loro autenticità". Il terribile amore tra Afrodite e Marte è stato immaginato dai Greci antichi che avevano capito come fossero intimamente legate la violenza della guerra e la violenza sessuale. Scrive Umberto Galimerti nel testo I miti del nostro tempo: "Afrodite dea dell'amore e moglie di Efesto che forgiava le armi, divenne amante di Marte dio della guerra per il quale nutriva una passione sfrenata. C’è dunque una bellezza nella guerra. Ma chi canta la bellezza della guerra non vuole vedere gli orrori compiuti da esseri umani su altri esseri umani. Non vuole vedere il dolore e lo spaesamento dei reduci. “Lo stesso Ulisse trova difficile ritornare alla vita domestica che aveva lasciato vent'anni prima. Le stesse virtù che gli erano servite in battaglia lo sconfiggono in tempo di pace. Dopo la guerra c'è l'immane fatica di guarire le ferite che non sono solo quelle fisiche. E c'è chi non ce la fa, perché tutto ciò che era familiare diventa assurdamente estraneo... L'accumulo di distruttività, vista e seminata, diventa autodistruttività che non conosce limite e ciò è dovuto al fatto che la guerra genera una sorta di tossicodipendenza. Per apparire giusta poi la guerra viene caricata di sacralità e in questo modo espande senza misura il suo potenziale distruttivo”. Il conflitto finisce con il coinvolgere non solo gli interessi dei belligeranti ma anche la loro identità. Ancora i Greci hanno individuato nel destino la sorte implacabile di ogni uomo. Ma allora non abbiamo scampo?

Ma nei miti riscontriamo pure diverse tipologie di figure femminili…

Nella mia lunga storia di insegnante e di pedagogista molte volte ho scelto di proporre a studenti e studentesse, ma anche ad adulti in formazione, attività educative su argomenti relativi alla conflittualità, all’aggressività, alla guerra. Fare azioni educative significa impegnare chi si forma in lettura di testi, in lavori di gruppo, in confronti assembleari per favorire il dialogo così da fare emergere le diversità dei punti di vista e i diversi apprendimenti dei singoli. Si tratta di scegliere testi significativi e di una certa rilevanza e di porre domande aperte per favorire l’elaborazione delle idee e anche il conflitto cognitivo. E’ molto importante fare recepire che la diversità è dentro ognuno di noi e non solo rispetto agli altri. Per questo motivo ho spesso utilizzato testi scientifici, insieme a testi narrativi o filosofici. C’è chi preferisce, di fronte a un problema o a una domanda, un tipo di spiegazione, chi un’altra. Siamo diversi! Noi costruiamo miti, racconti, perché già da bambini abbiamo delle preferenze emozionali: alcuni di noi sono più attratti dal modo di pensare al mondo fisico, dalle quantità, dalle proprietà, altri dal mondo delle intenzioni, delle relazioni umane. Sviluppiamo così due tipi di pensiero: il pensiero paradigmatico e il pensiero narrativo che ci accompagneranno per tutta la vita e dipende dalle nostre scelte quando e come siamo più narrativi o più paradigmatici, dato che questi pensieri si intrecciano di continuo, così come si intrecciano le nostre intelligenze multiple. Forse non ci rendiamo conto di quanta libertà abbiamo a disposizione rivolgendoci ora alle mitologie ora alle scienze. Sull’aggressività delle donne o sulla loro partecipazione alle guerre c’è una saggistica psicologica e sociologica, io però ho preferito utilizzare racconti mitologici perché consentono una maggiore libertà di pensiero e di confronto. Rispetto alle letture di approfondimento sui miti riguardanti le caratteristiche di divinità femminili ritengo che si possano utilizzare come metafore, come orientatori per ampliare la conoscenza di sé nella donna e quindi aspetti del carattere nascosti e nuove potenzialità. Altrettanto interessante è il confronto con aspetti delle intelligenze che sono plurime e spesso intrecciate tra loro. Ritornando ai miti: ci sono donne che sicuramente si riconoscono in Artemide o Diana, altre in Atena o Minerva, altre ancora in Afrodite o Venere.

Artemide o Diana

Nella leggenda si racconta che Artemide ancora bambina, in braccio al padre Giove-Zeus che le promette di esaudire qualunque suo desiderio, chiede di essere libera e di possedere arco e frecce infallibili, come le frecce del fratello Apollo. Liberamente viaggia fuori dalla città nei boschi, si sceglie le ninfe più belle e raggiunge con grande velocità qualunque obiettivo. Artemide ha scelto di esprimere la propria aggressività. Artemide è amica delle donne, le aiuta nel parto ed è sempre dalla loro parte come un’orsa coi suoi cuccioli… Artemide è l’ispiratrice di tutti i movimenti femministi.

Atena o Minerva

Atena, dea della sapienza e stratega della guerra, era la preferita del padre Giove, tanto che, anche se la vera madre era Metis, Giove se ne impadronì partorendola lui stesso. Tuttavia Atena mantenne certi aspetti della madre usando in guerra non solo tattiche, ma soprattutto strategie attribuibili a un’intelligenza duttile. Metis, la madre, era paragonata infatti all’acqua perché in grado di assumere qualunque forma appunto come può accadere per l’intelligenza “astuta o furba”. Atena era dea della guerra difensiva o fatta per nobili cause e nello stesso tempo la prima tecnologa della storia, perché fornita di conoscenze tecniche rispetto alla tessitura, ai metalli, all’agricoltura e a ogni forma di artigianato.

Afrodite o Venere

Ma il caso più interessante è Afrodite, dea della bellezza e dell’amore. James Hillman, psicoanalista e filosofo, così descrive Venere: “Quando Afrodite nasce, nasce la bellezza e nascono anche tutti i suoi generosi doni godibili nella molteplicità e nella complessità delle forme, dei suoni e dei colori... Rose e peonie moltiplicano i loro petali, un uccello canoro rende più complessi i suoi trilli, gli alberi d’estate emettono milioni di foglie, le viti si avviluppano, i ciottoli e la sabbia battono senza fine contro le rive del mare, di quel mare da cui Lei è nata.” Ma in quali circostanze una dea amante e amata come Afrodite si può associare alla guerra? La leggenda narra che quando nasce Venere accanto a lei è presente anche Dike, la dea della giustizia, della giusta punizione. Dike aveva il compito di riferire a Zeus, Giove, le colpe degli uomini per ristabilire così un ordine giusto. Ancora James Hillman conclude il suo testo La giustizia di Afrodite con queste illuminanti parole: “Quando Venere trionfa in tutta la sua sublimità, allora la sconfinata confusa chiarezza del cosmo stesso è in perfetto ordine, e anche la giustizia trionfa”. Chi si ispira a Venere combatte dunque per la giustizia e per la sua bellezza. Si può concludere questo racconto con una domanda: le donne di oggi che combattono come uomini, le guerriere curde, le soldatesse, le poliziotte da quali dee sono ispirate? E quali dee ispirano donne pacifiche ma determinate che combattono contro le guerre, contro la tortura, per i diritti civili, per i diritti delle donne, per la salute dei feriti, dei malati?

Planando dalla sublime mitologia alla nostra cronaca quotidiana, leggiamo o constatiamo sempre più spesso le azioni violente di gruppi di giovani ragazze o addirittura adolescenti , che fanno una sorta di “guerra” fine a sé stessa, proprio il contrario di quella “giustizia” a cui accennavi approfondendo le figure del mito: tu, con la tua esperienza di pedagogista, come giudichi il fenomeno?

Attualmente esistono numerose pubblicazioni e ricerche sul fenomeno del bullismo a scuola, molto diffuso in Italia. Le ricerche più approfondite evidenziano una molteplicità di cause relative ai singoli individui, alle istituzioni, al contesto socioculturale. Da questo approccio sistemico si può dedurre che una possibile prevenzione del bullismo deve essere affrontato a più livelli. A livello individuale per quanto riguarda le bulle è chiaro a tutti che le donne si stanno mascolinizzando. Le ragazze, in particolare, da tempo assumono abbigliamento, comportamenti e linguaggi di tipo maschile. Di conseguenza le bulle, come i bulli, creano bande sulle quali esercitano una leadership di tipo violento e prevaricatore. Le vittime prescelte, spesso le ragazze più miti, saranno sottoposte a umiliazioni psicologiche e spesso fisiche! Da pedagogista ritengo che prevenire queste scioccanti situazioni faccia parte dell’etica professionale degli educatori che dovranno coinvolgere tutta l’istituzione scolastica compresi i genitori e i testimoni. In ambito pedagogico sono state sperimentate molte strategie che agiscono, ad esempio sul gruppo classe, migliorando le capacità di far assumere leadership positive, oppure a livello dei singoli migliorandone l’empatia e l’intelligenza emotiva attraverso role play, esercitazioni psicologiche sulla gestione del conflitto e su tecniche di mediazione.

Un futuro gravido di incognite, questo del rapporto tra donna e guerra, dove si rincorrono e s'intrecciano archetipi e attualità, e dove, come nell'intervista a Stefania Marangoni, appare sempre più decisivo il ruolo dell'educazione, della scuola e di una cultura della nonviolenza.