Nome latino per il Mar Mediterraneo, storico crocevia di commerci, culture e contaminazioni, Mare Nostrum è la missione umanitaria di salvataggio dei migranti in mare attuata nel 2013, conclusa, poi, nel novembre 2014 e sostituita dall’operazione Triton di Frontex dalla Marina Militare italiana nelle acque tra l’Europa e il Nord Africa, attraverso pattugliamenti aereomarittimi dello Stretto di Sicilia. A marzo e luglio del 2014, il fotografo Alfredo D’Amato e il videomaker Ferruccio Goia realizzano, a bordo della nave San Giorgio, un reportage per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees, UNHCR) e raccontano il viaggio, le facce, le paure e le speranze di questo “mare” di vittime dell’immigrazione.

Dall’inizio del XXI secolo a oggi, sono più di ventitremila i morti e i dispersi tra chi tenta quotidianamente di oltrepassare le frontiere per entrare nella Fortezza del Vecchio Continente. Centocinquantamila sono stati salvati nell’unico anno di attività di Mare Nostrum: sono uomini, donne e bambini; persone stremate dalla fatica, disperate, in fuga.

Eritrea, Sudan, Gambia, Mali, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Pakistan, Siria sono i loro paesi d’origine. Lungi dall’essere un punto di arrivo, spesso l’Italia è un lembo di terra che li separa dalla meta finale, dal loro umanissimo sogno: quello di una vita nuova. Il viaggio prosegue oltre il mare, raggiungono Augusta, Pozzallo, Taranto. E Milano dopo. In treno o in un bus.

Da qui poi cercano una soluzione per proseguire nel Nord Europa, spesso con taxi improvvisati. Le fotografie di Alfredo D’Amato raccontano alcune di queste storie, con lucidità e sagacia. Sono immagini intense e trasudano di vita poiché niente è più naturale del migrare. Ed è un diritto di tutti.

Mare Nostrum è stato commissionato da UNHCR che ha usato le immagini per una campagna di informazione. In Italia è stato pubblicato su Pagina 99, Panorama e L'Espresso. In Svizzera, sul quotidiano 20 Minuten AG, in Germania sul Der Spiegel e su Aljazeera.

Nel video Il regno del deserto, Ferruccio Goia documenta la vicenda di un giovane principe nigeriano che oggi vive in Sardegna. Dopo aver rinunciato alla corona per questioni religiose, sceglie di fuggire dal suo paese per scampare alla morte, senza poter programmare alcuna rotta o destinazione. Anche per lui, attraversato il deserto fin dove partono le carovane per la Libia, l’unica via è quella del grande mare.

Alfredo D’Amato [Palermo,1977] ha studiato “Art, Media and Design” presso il London College of Printing. Si laurea in Fotografia Documentaria all’University of Wales, a Newport. Lavora su progetti a lungo termine in Europa Occidentale e Orientale, in Africa e Sud America, occupandosi soprattutto dei paesi di lingua portoghese e concentrando la sua ricerca sulle interrelazioni fra cultura africana e influenze occidentali. I suoi lavori sono stati pubblicati in molti giornali e riviste internazionali e ha lavorato con UNHCR, UNICEF e altre ONG in Europa e nel mondo. Nel 2005 Alfredo D’Amato ha vinto il prestigioso Observer Hodge Award, il One Word Media Award, nella sezione fotogiornalismo, e il premio UNICEF Photo dell’anno. Nello stesso anno è stato selezionato per il World Press Photo Masterclass. Cocalari [Postcart Editions] è il primo libro fotografico di Alfredo D’Amato, pubblicato nel 2010. Attualmente lavora a un nuovo progetto editoriale sui paesi di lingua portoghese in Africa e Brasile. Il suo lavoro è esposto all’interno della collezione permanente del George Eastman House Museum in Rochester, a New York.

Ferruccio Goia [Formia, 1982] dopo la laurea al DAMS Cinema di Gorizia ha cominciato a lavorare in qualità di filmmaker concentrando i suoi interessi sul documentario sociale. Insieme all’artista Roberto Kusterle ha realizzato sei video proiettati in diverse gallerie d’arte contemporanea tra Italia e Slovenia e un documentario sulla Pasqua ortodossa rumena [Domenica dei fiori]. Dal 2008 al 2013 collabora con la casa di produzione italo-slovena Kinotelje come direttore della fotografia e montatore video. In seguito, con lo storico dell’arte Gianni Sirch ha girato un documentario sull’arte tradizionale del popolo Ndebele in Sudafrica e un lungometraggio sulla condizione post apartheid nelle township sudafricane [My Private Zoo]. Ha partecipato a numerosi festival internazionali [Festival dei Popoli, Triste Film Festival, MakeDox], ha vinto il premio come miglior documentario al Docucity Festival 2013 di Milano. Dal novembre 2013 collabora con l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) in veste di videografo, realizzando numerosi documentari nel sud Europa sulla questione dell’immigrazione e nelle zone di guerra in Ucraina sul tema degli sfollati.