Expo, FAO (Organizzazione mondiale del cibo e dell’agricoltura) e altre organizzazioni internazionali, che ci impongono di credere che fra 35 anni avremo problemi a soddisfare le nostre pance, sono ormai una realtà (mediatica) particolarmente radicata, anche per chi vede il cibo solo come un mezzo e non come un fine. Il motivo sarà di Expo più che della FAO, comunque sia, tutti si stanno domandando se i grandi cervelloni del cibo troveranno una risposta alla ormai famosa domanda “How to feed the planet in 2050?”

I più grandi esperti del cibo, di economia del mercato e di agricoltura, ormai da anni stanno cercando di diffondere il messaggio che con l’odierno sistema di produzione e distribuzione del cibo, non potremo continuare ad andare avanti per molto tempo. La distribuzione non ha neanche mai raggiunto lontanamente un equilibrio, da secoli il sud del mondo si ritrova in carenza di cibo e l’occidente, sviluppato, è in grado di buttare un terzo dei beni prodotti, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. Jared Diamond, noto esperto di antropologia e storia, tramite il suo importante e conosciuto saggio Armi, acciaio e malattie, insegna che le cause di questa disparità sono l’esito di fatti passati che non possono più essere modificati. La situazione di grande disequilibrio deriva sicuramente, in origine, dalle caratteristiche della Terra, dalle condizioni climatiche e dalle materie prime di cui alcune tribù avevano la possibilità di godere e altre, invece, non pensavano minimamente di poterle ottenere. Oggi, ci troviamo, quindi, in una situazione di grande divario economico e sociale e nessun occidentale è disposto di accantonare la sete di profitto per modificare concretamente la situazione del globo.

Da quando è nato l’uomo ed è morto il baratto, il denaro ha sempre avuto la meglio. È l’economia che muove i mercati, sono le grandi aziende produttrici, multinazionali, i colossi dei fast food e le aziende chimiche-farmaceutiche che muovono il mondo insieme a una classe politica sempre più facilmente corruttibile, che non ha interesse verso chi vive oltre il palmo del loro naso. Noi poveri cittadini siamo ignari dei movimenti economici e, probabilmente, preferiamo non sapere, piuttosto che dover essere consapevoli e comprensivi rispetto a quello che accade intorno a noi.

Le regolamentazioni internazionali, grazie al potente lavoro di lobbying delle grandi aziende, che operano su livelli e ambiti diversi, muovono e siglano accordi con Unione Europea, Stati Uniti e organizzazioni commerciali. In questa maniera, le normative, che decidono la sorte di milioni di piccoli produttori, consumatori e grandi aziende, vengono plasmate a immagine e somiglianza dei paesi potenti, che godono di un potere maggiore rispetto a chi, ogni giorno, dall’altra parte del mondo, cerca di combattere con la propria realtà e sopravvivere all’ingiustizia della vita. Le problematiche legate agli accordi commerciali tra grandi nazioni con enormi poteri vanno a inficiare non solo l’equilibrio economico di paesi sviluppati, che accusano sempre maggiori problematiche legate alle difficoltà verso attività agricole modeste, a causa di incentivi inesistenti e grandi concorrenti che producono il medesimo alimento con costi dimezzati, ma anche chi, nel sud del mondo, cerca costantemente di combattere la propria sfida quotidiana e vivere fino al giorno dopo.

Esperti occidentali in ambito agricolo, economico e alimentare, in parte estranei al richiamo della moneta, hanno teorizzato grandi possibili risoluzioni per l’equilibrio del mercato del cibo. Molti di essi hanno teorizzato rivoluzioni economiche e commerciali per permettere una modificazione positiva dello scambio di merci, in modo tale da riuscire, non solo ad accontentare l’occidente sempre più bisognoso di essere soddisfatto, ma anche tutti quei paesi in via di sviluppo, che necessitano di maggiori sicurezze in ambito di alimentazione. Ognuno di questi ricercatori ha cercato di tirare l’acqua al suo mulino, per convincere il mondo che una maniera esiste e che, se non modifichiamo la situazione in tempi brevi, non riusciremo a sfamare uomini che stanno diventando sempre più affamati.

Paul Roberts, giornalista americano che ha girato il mondo per comprendere i meccanismi di un settore in crisi, ha ipotizzato un sistema agricolo ed economico diverso, legato ai tempi passati, che potrebbe migliorare il presente e il futuro del cibo. Roberts, e non solo lui, è riuscito ad entrare in contatto, in tutti i suoi viaggi, con grandi e piccole aziende produttrici che hanno cambiato il loro modo di produrre per incrementare uno sviluppo sostenibile e avere l’opportunità di sfruttare coscienziosamente il terreno da cui ottenere il giusto necessario. La maggior parte è riuscita a conciliare animali e produzione vegetale, in maniera tale da essere in grado di creare un ciclo chiuso, cioè un’attività i cui fattori non necessitano di nient’altro oltre agli altri fattori dell’attività stessa.

Questo significa che ogni contadino e possessore di terreno agricolo coltivabile può incrementare la propria attività utilizzando sinergicamente l’attività animale, che produce fertilizzante naturale, ma anche alimenti di alta qualità, con la coltivazione di cereali, ortofrutta e altri prodotti della terra, con cui, in parte, si possono nutrire gli animali e, con il resto del raccolto, si possono produrre buoni profitti. L’intero sistema è volto per produrre cibo di alta qualità come si faceva una volta, in unione fra forza animale, lavoro umano e prodotti della terra e per diminuire l’utilizzo di fertilizzanti esterni ed essere in grado di soddisfare il cliente con un prodotto variegato e più redditizio. Questa tipologia naturale di coltivazione, inoltre, permette l’abbattimento dei costi in ambito chimico per quanto riguarda l’uso, appunto, di concimi, ma anche di pesticidi chimici e altri prodotti altamente inquinanti.

Perché non provare a sviluppare questo genere di agricoltura su larga scala, riuscendo così a soddisfare gli interessi di produttori, consumatori e dell’equilibrio agroalimentare? Oggi, chi vende nei supermercati acquista la materia prima da grandi aziende produttrici che sono in grado di diminuire notevolmente i costi della produzione perché basano la loro attività sulla quantità dei prodotti e non sulla qualità. Solo grazie a questa filosofia di lavoro è possibile vendere un prodotto che anche al supermercato, dopo aver viaggiato già di mano in mano e incrementato il suo valore finale almeno del 100% ha un prezzo spropositatamente piccolo.

I grandi nemici di queste economie sostenibili sono le grandi aziende, che non riuscirebbero a fare i loro interessi se il mondo tornasse a una visione antica di sfruttamento del terreno, dove la terra donava solo se l’uomo si era preso cura di lei. I nemici di uno sviluppo naturale e migliore sono, quindi, anche gli individui più potenti che si trovano nel mondo. Hanno interessi economici che combaciano con quelli del mercato internazionale e della classe politica, le cui tasche non sono mai troppo piene. Modificare un intero sistema globale verso una condizione naturale ed economicamente più redditizia per i piccoli produttori sarà la vera sfida da raccogliere prima che il mondo debba sfamare nel 2050, come stimato dalla FAO, nove miliardi di persone.

È importante essere consapevoli che anche i consumatori possono fare la loro parte. Acquistare un prodotto invece che un altro è una rilevante scelta politica che ha un peso effettivo sull’economia del mercato alimentare. Quando un consumatore sceglie di leggere l’etichetta e di non acquistare un petto di pollo che al chilo costa solo 3 euro, ma di andare al mercato dei contadini, dal macellaio di fiducia o, direttamente, dall’allevatore che sa come fare il proprio lavoro, avrà fatto tanto per migliorare questo equilibrio oramai del tutto incerto. Bisogna interessarsi di quello che si mangia, evitare lo spreco e compiere le scelte giuste, pagando sempre una somma equa per quello che una buona produzione della materia prima necessita, altrimenti il pianeta non riuscirà a sostenere ancora per molto, l’infinita fame dell’occidente. “Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, ci accorgeremo che non si potrà mangiare il denaro”. (Toro Seduto)