Per Salvatore De Maria, sottotenente dell’85° Reggimento di Fanteria, fu il momento nel quale gli eventi lo posero davanti alla scelta indifferibile.

Credo doveroso, in occasione del primo centenario, tornare con il ricordo al periodo luttuoso per l’intera Europa, inteso come Primo Conflitto Mondiale: 1915 – 2015. Almeno seicentocinquantuno mila mamme o mogli o fidanzate italiane piansero i loro uomini, sacrificati sull’ara degli egoismi, dettati da una fatalità politica nella quale si dibatteva l’intero vecchio continente europeo. Sino dai primi mesi, successivi alla dichiarazione dello stato di guerra, si capì che i piani di attacco che avrebbero dovuto consentire alle armate italiane di varcare i confini dell’Austria nell’arco di pochi mesi erano state fantasie di generali, configurate solo a tavolino.

Denunciata dall’Italia il 3 maggio la Triplice Alleanza, alla quale apparteneva, la guerra all’Austria fu dichiarata il 24 maggio 1915. Questa però aveva predisposto un solido schieramento difensivo sulle posizioni di confine lungo l’Isonzo e le alture del Carso, mentre i mezzi offensivi dell’esercito italiano erano scarsi. La guerra assunse così, sino dall’inizio, carattere di logoramento: 3 offensive sull’Isonzo nel 1915, finalizzate alla conquista delle Cime del S. Michele (23 giugno-7 luglio; 18 luglio-3 agosto; 21 ottobre-4 novembre 1915:), non consentirono alle truppe italiane di conseguire la vittoria.

Nell’ottobre del 1915, nel corso di quella che fu chiamata la 3a battaglia dell’Isonzo, - tra i giorni 21 e il 22 – l’85° Reggimento di Fanteria trovò una resistenza inaspettata e solo atti di autentico eroismo dopo le prime due battaglie, “riprendendo tenacemente la lotta per la conquista del monte, poterono giungere fino a serrare molto da presso la vetta, tra le cime 3 e 4”. Fu nel corso di questa azione che Salvatore De Maria mise in evidenza la sua caparbia volontà di vittoria, conquistandosi il primo riconoscimento ufficiale: fu promosso sul campo da sergente maggiore a sottotenente. Tuttavia le cime del San Michele, anche se serrate da presso, rimasero ancora saldamente in mano ai reparti ungheresi e, per la conquista definitiva, l’esercito italiano dovette combattere altre tre battaglie cruente.

Nel 1916 il primo vero pericolo di dissoluzione, dell’ancora non consolidato Risorgimento della nazione *Italia [1], fu scongiurato sulle balze del Monte Pasubio. Scrisse il Di Bin [2]:

Ben a ragione nel 1922 una legge di Stato elevava anche il conteso monte Pasubio alla dignità di monumento nazionale, assieme al San Michele, al Sabotino e al Grappa, capisaldi sacri all’epica lotta, capaci di riassumere e di simboleggiare in sé la visione genuina della guerra, di compendiarne le fattezze eroiche, di incarnarne il tormento, il sacrificio e l’apoteosi. La relazione che accompagnava la proposta di legge infatti diceva:« Il Pasubio impersona la strenua difesa del fronte tridentino».

Alla non estesa letteratura relativa agli avvenimenti bellici sul Pasubio, quasi tutta di fonte italiana, si aggiunse, solo dopo un ventennio, un eccellente volume di fonte austriaca [3]. Quest’opera merita ancora attenzione in quanto fu la prima pubblicazione organica di parte austriaca a trattare la difficile operazione bellica, conclusa con la vittoria delle armi italiane; fino ad allora la guerra del settore pasubiano costituì solo un elemento dell’intero fronte della storia generale del conflitto, oppure fu trattata parzialmente in alcuni diari di ufficiali, reduci dai reparti combattenti della zona. Commentando l’opera del generale Schemfil, ancora scrisse il Di Bin [4]:

Gli studiosi della guerra dovranno leggerla e specialmente coloro i quali si interessano alla lotta sulla storica vetta dove gli avversari si accanirono in un corpo a corpo mortale.Perché il Pasubio costituiva veramente la chiave del fronte tridentino, a tal punto che la sua perdita avrebbe fatto crollare tutto il nostro sistema difensivo dall’Adamello al Piave. Ma esso era pure considerato, dal comando austriaco, un pilastro della linea avanzata per le posizioni raggiunte nel maggio del 1916, anche dopo l’offensiva di Conrad, la controffensiva italiana e le conseguenti fluttuazioni. Il piano del comando austriaco, durante la calata del maggio del 1916, di conquistare il Pasubio con l’acrocoro circostante al monte, e la decisa volontà del nostro Comando Supremo di perseverare in una difesa attiva estendendo l’occupazione del terreno sino al Colsanto per dare respiro e sicurezza a tale difesa, fecero sì che sul Pasubio si svolgessero delle lotte tra le più disperate di tutto il fronte e culminate nell’autunno del 1916; lotte le quali causarono d’ambo le parti crudelissime perdite e diedero luogo ad atti di eroismo e di abnegazione, singoli e collettivi, degni di canti da leggenda.

Di quella “strenua lotta” ne riporto lo scritto di Salvatore De Maria [5]:

Il 2 luglio 1916, gli austriaci, preceduti da un massiccio e prolungato bombardamento di artiglieria di grosso calibro, che frantumò i nostri apprestamenti difensivi sul Monte Pasubio, sferravano un’offensiva che avrebbe dovuto travolgere la difesa di quel settore [6]. Il fronte, nel tratto di massima pressione del nemico, era presidiato dall’85° Reggimento di Fanteria che, sul fianco sinistro, aveva disposto una Sezione Mitragliatrici Fiat da me comandata. Vestivo allora il grado di Sottotenente. Cessato il fuoco di artiglieria durato dalle ore del mattino fino alla sera, il nemico, convinto di avere sterminato il Reggimento, iniziava l’attacco da un’unica gola montana sulla quale, in previsione di tale minaccia, avevo le mie armi. Mi ero reso perfettamente conto che con una serie continua di raffiche avrei potuto sbarrare l’avanzata avversaria, infliggendo gravissime perdite agli attaccanti e proteggendo nel contempo il ripiegamento dei reparti avanzati [italiani, n.d.A.] su posizioni retrostanti. In tale pericolosa situazione il fuoco delle mie armi era di efficacia preminente e perciò ritenni di rimanere sulle posizioni, sparando fino all’ultima cartuccia, malgrado mi fosse giunto alle ore 20 dal Comando della Divisione l’ordine di ripiegare sulle retrostanti linee, con il resto del Reggimento [7]. Mentre il nemico cominciava ad affluire in piano, “fucile a spalla”, io aprivo il fuoco delle mie armi, accompagnandolo con il grido: Da qui non si passa. Inflissi all’avversario perdite sanguinosissime ma, purtroppo, dovetti subirne anch’io molto gravi. Infatti dei miei 29 serventi della Sezione, 25 caddero eroicamente sulle trincee contese, compiendo fin all’ultimo il proprio dovere, come gli altri Fanti del Reggimento. Le mie mitragliatrici non cessarono di mietere tra i reparti nemici in avanzata tanto che tutta la zona fu in breve coperta di cadaveri, specie in corrispondenza della su accennata gola montana (passo obbligato), ostruito dal cumulo di morti. Gli austriaci furono così costretti a fermarsi. La sera era già scesa. Nella penombra il quadro tragico della lotta e un immenso silenzio, nella solitudine infinita, era pauroso. Le mie armi, ancora semi arroventate, tacevano dopo avere assolto valorosamente il proprio compito. I quattro serventi superstiti erano sfiniti più che stanchi. Le munizioni esaurite. Prima di lasciare il “muretto” di cui mi ero servito quale scudo e prezioso appoggio, e dopo avere liberato la zona, fiero dell’opera svolta per il bene delle truppe del mio Reggimento, mi voltai verso la linea nemica e ho gridato: «Ho mantenuto la promessa. Non vi ho fatto passare». Iniziato il ripiegamento, uno dei quattro serventi superstiti fu ferito. Caricai sulle mie spalle la sua arma, portandola in salvo.

Questo racconto, angosciante nella sua crudezza, vuol portare a ricercare i presupposti che hanno potuto condurre a tanta efferatezza. Le potenze europee, intorno al 1910, si dibattevano in una contrapposizione già quasi di aperta ostilità: erano le potenze che sarebbero scese in conflitto nel 1914. La Germania ormai assisteva al fallimento della sua politica delle “mani libere”; l’Italia però, in caso di guerra, sicuramente non si sarebbe schierata contro l’Inghilterra. Ne risultava quindi che l’equilibrio europeo si era spostato in favore dell’Intesa [8], e quindi antitedesca. L’Intesa per le questioni aperte e dirimenti dell’Alsazia-Lorena, del Marocco, del vicino Oriente, ma soprattutto della competizione del dominio navale, era in opposizione irrimediabile con la Germania, alleata dell’Austria-Ungheria.

Fu in questo contesto bellicoso che il 12 novembre 1909 iniziò la carriera militare di Salvatore De Maria, “soldato volontario nel 76° Reggimento Fanteria, ascritto alla Ia Categoria della classe 1889”. Il I dicembre 1912 acquisì il grado di Sergente maggiore [9], nel momento nel quale la nazione era impegnata nella campagna libica della guerra italo-turca. Il 14 marzo 1913 la copia dello stato di servizio lo disse “partito per la Libia e imbarcato a Napoli” ma, cosa insolita per il tipo di documento, non ne riportò la data e il porto di sbarco: infatti non sbarcò. Mentre scrivo questo articolo (2015), è ancora vivente la figlia Elena che così racconta l’incredibile storia:
Raramente noi figli riuscivamo a fargli raccontare quell’episodio della sua vita militare, forse perché preferiva sprofondarlo nel subconscio. Solo con la nostra insistenza di figli riuscivamo a farci raccontare quel momento nel quale si giocò la partita della sua sopravvivenza. Lontani ancora alcune ore di navigazione dallo sbarco, la nave fu colpita a morte; egli ebbe subito la percezione che la nave fosse perduta, si lanciò subito in mare e cominciò a nuotare a grandi bracciate, prima che fosse insorto il fenomeno del risucchio. La calma del mare gli consentì di raggiungere a nuoto la spiaggia libica, completamente denudato dei vistiti, dopo molte ore. Trovato da pescatori sfinito, fu avvolto con una coperta e consegnato al comando italiano.

La copia dello stato di servizio, su tutto questo è muta. Riprende il 21 maggio del 1913, ove riporta: Concessagli l’indennità di Lire 500 (Disposizione ministeriale n. 34438 del 12 marzo 1913). L’11 settembre 1914 riferisce poi: Rientrato in Italia per rimpatrio definitivo e sbarcato a Siracusa.

Il percorso militare del De Maria proseguì sino a raggiungere il grado di colonnello [10]; la frequentazione con la casa reale, cimentata sulle trincee di quella guerra, durò per l’intera sua vita; fu spesso ospite nei cenacoli reali; fu compagno nel corso di scherma presso Agesilao Greco con Umberto di Savoia, il futuro “Re di Maggio”. Non fu promosso, a fine carriera, al grado di generale perché non volle tradire questo passato e non volle pronunziare il giuramento di fedeltà al nuovo ordine repubblicano [11].

Note:
[1] La I Guerra Mondiale da alcuni storici italiani viene considerata come la IV Guerra d’Indipendenza.
[2] Umberto Di Bin, La guerra sul Pasubio, “Le Forze Armate”, 31 marzo 1937, a. XV, n. 1209. In testa all’articolo ritagliato, dal quale riporto queste notizie, trovo scritto di pugno del De Maria: Vi rimasi in guerra dal maggio al luglio del 1916: a seguito della infernale battaglia del 2.7.1916 mi fu conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
[3] Victor Schemfil, Die Pasubio-Kämpfe 1916-1918, Ediz.: I. N. Teusch-Bregenz, 1937.
[4] L’articolo citato in nota 2 è di difficile reperimento. Per tale motivo faccio questa lunga citazione.
[5] Salvatore De Maria, Alcara li Fusi, 28.11.1890 – Mentana, 02.02.1973. Del De Maria conservo in archivio personale, per successione ereditaria, tutti gli scritti inediti.
[6] Nel maggio del 1916 la valanga della Strafe-Expedition mirava a dilagare dai monti ormai violati sino all’intera pianura vicentina: nei piani austriaci doveva accadere sul Pasubio il disastro delle armate italiane ottenuto con un anno di ritardo a Caporetto.
[7] Dell’invio dell’ordine di ritirata se ne ha conferma a posteriori. Mi scrive il dott. Angelo Maria Romano, pronipote del Nostro: “Caro Pino, Ti chiedo scusa per il notevole ritardo nella risposta, ma sono stato in attesa della testimonianza scritta da parte del dott. Santoro, nipote del testimone oculare, che dopo ripetute sollecitazioni, non ho ancora ricevuto; per cui Ti riferisco ciò che ho appreso da lui, in tal modo potrai cominciare a predisporre il tuo elaborato. Nel mese di Novembre 2014, presso la Chiesa Madre di Alcara Li Fusi, si è celebrata una giornata di commemorazione per l’anniversario della Prima guerra mondiale, nel corso della quale, oltre a documenti scritti e filmati, sono state ascoltate molte testimonianze orali riferite dai familiari dei reduci. Anche io ho portato la testimonianza che riguardava lo zio Salvatore De Maria, che avevo appreso da Te, riferita all’episodio avvenuto sul Pasubio. Alla fine della manifestazione è venuto a salutarmi il dott. Nicolò Santoro, medico di base ad Alcara li Fusi, che oltre a complimentarsi per la testimonianza da me portata, mi ha riferito quanto segue: L’episodio che hai riferito ha acceso in me un vecchio ricordo. Mio nonno paterno, di cui porto il cognome ed il nome, era solito raccontarmi momenti della sua vita militare, e tra i tanti ricordo perfettamente quello da te esposto: mentre si trovava sul Pasubio, subito dopo la ritirata, a valle sentivano ancora sparare. Un ufficiale ha chiesto alla truppa chi fosse quel folle che invece di rientrare, stesse ancora sparando, ed ha chiesto proprio al Santoro di tornare indietro e riferire a chi sparava ancora, di ritirarsi. Il Santoro, giunto nei pressi della postazione che ancora resisteva, riconobbe il De Maria, poiché erano compaesani , e gli esclamò: «Ah!, tu eri, torna indietro che ci stiamo ritirando». Ma il De Maria gli rispose che non intendeva lasciare la postazione poiché non voleva che il nemico si impadronisse delle preziose armi. Questa è una sintesi del dialogo intercorso tra me e il dott. Santoro. Un affettuoso saluto, e resto in attesa di leggere il Tuo elaborato, che, sono sicuro, arricchirà di nuova luce la tragica esperienza della guerra, e sottolineerà valori di coerenza ed umanità che ai nostri giorni sembrano quasi scomparsi. L’insieme è fatto di molti particolari ed ognuno di essi è determinante per la visione totale. Un abbraccio, Angelo. S. Agata di Militello 24-03-2015.
[8] La Triplice Alleanza comprendeva l'Italia, l'Impero Germanico e l'Impero Austriaco, contrapposta alla Triplice Intesa formata dalle due democrazie europee, Inghilterra e Francia, con l’Impero russo. [9] Incorporato nell’85° Reggimento di Fanteria.
[10] Salvatore G. Vicario, Un fecondo ceppo nebroideo: Salvatore De Maria, “Il Nastro Azzurro”, a. XLVII, n. 4, lug.-ago. 2008, pp. 24-25.
[11] Eleonora Vicario, Salvatore G. Vicario, Oltre la quinta, Arti Grafiche Zuccarello, S. Agata Militello, 2013, pp. 92-93.