Cosa ci aspettavamo da Expo 2015? Un insieme di mondi e culture diverse espresse attraverso il cibo: un’analisi di una delle più importanti e insostituibili risorse quotidiane mondiali, oggigiorno in via di esaurimento.

Lo slogan “How to feed the Planet?” non lascia alcun dubbio. Se non una vera e propria educazione alimentare volta a tutti i partecipanti e visitatori, ci si aspettava almeno la possibilità di assistere a un grande numero di conferenze, lezioni e interviste che avrebbero potuto spiegare con semplicità, ma non per questo superficialità, i must sul cibo del ventunesimo secolo. Aggiungendo anche la possibilità di carpire rilevanti aspetti del mondo agroalimentare attraverso le visite dei 145 padiglioni dei paesi partecipanti, che avrebbero potuto trasformare il loro spazio in una piccola realtà in scala.

Al contrario delle aspettative più propositive che potevano esserci - non tutte infrante - quasi alla fine della fiera, non possono mancare alcune considerazioni critiche. Il visitatore che oltrepassa per la prima volta i tornelli all'apertura, deve recarsi velocemente ai padiglioni che potrebbero riscontrare maggior interesse. In questo modo, eviterà le ore di punta con conseguenti attese interminabili, per sfruttare il suo tempo prezioso al meglio. Quindi il primo padiglione da visitare è il Padiglione Italia. Arrivato lì, si sarà formata una coda già particolarmente lunga e il visitatore si porrà la fatidica domanda: aspetto pazientemente i 45 minuti previsti o scelgo un altro padiglione? A mio parere, se non vi sentirete troppo in colpa per aver tradito il bel paese, la visita può essere omessa, data l'inutilità delle nozioni contenute al suo interno. I quattro piani dedicati alla cultura gastronomica italiana, vengono rappresentati da un insieme di informazioni di vario genere, che, a parte per un piccolissimo spazio al primo piano, non hanno nulla a che fare con la gastronomia del nostro paese. Tra architetture, pitture, televisioni vecchio stile e qualche pianta in miniatura, di gastronomia si parla ben poco.

Sia che il visitatore abbia scelto di entrare o meno, il passo successivo sarà visitare il secondo padiglione, e, anche in questo caso, dovrà recarsi a quelli più gettonati come Giappone, Emirati Arabi e Paesi Sudamericani. Ognuno da scoprire.

Sicuramente, tra l'innumerevole numero di opzioni e il poco tempo a disposizione, il consiglio è quello di visitare i padiglioni più piccoli, che, nella maggior parte dei casi, offrono grandi sorprese, senza essere troppo affollati. Una particolare attenzione va posta all'Israele, che in maniera semplice e divertente, spiega le particolari doti della grande tecnologia agroalimentare di cui gode. Il Marocco, con una grande diversità di microclimi e varietà di piante da frutto, esemplifica l'ampia biodiversità del paese. La Corea del Sud, che in maniera altamente tecnologica, ha incentrato il suo spazio ponendo l’attenzione vero i tre punti chiave per una sana e ponderata alimentazione. Il resto va scoperto passo passo, evitando pure qualche sfortunato padiglione, come l’Argentina, che da raccontare ha ben poco.

Se poi qualche visitatore esperto o molto interessato ai temi di grande rilevanza del mondo alimentare odierno volesse partecipare a conferenze e meeting informativi e di approfondimento, dovrà cercare con estrema attenzione qualcuno o qualcosa che lo possa informare a riguardo. Le informazioni dettate dal megafono che sono costantemente ripetute, nella maggior parte dei casi non riguardano conferenze e incontri, ma soltanto qualche pubblicità o gentile invito verso punti di ristoro e spettacoli.

A questo punto, all’Esposizione Universale 2015 resta a voi scegliere dove andare, cosa vedere e come mangiare; perché tra il fascino di un padiglione e l'altro e il grande lavoro di camouflage fatto, le opzioni sono innumerevoli e le considerazioni post-visita altrettanto.