Succede che parlando di droghe leggere si rischi di entrare nel solito circolo di chiacchiere vomitate all’unisono. Allora, in conseguenza di questa ripetizione circa soprattutto la politica/ideologia, sarebbe opportuno – nonché molto più semplice – per esprimere qualcosa di “nuovo e accettabile”, denudarsi completamente e ripartire da zero, liberarsi da ogni tipo di contaminazione deleteria e sconclusionata, affidarsi per forza di cose alle tanto amate quanto odiate statistiche.

Dati alla mano, infatti, il Proibizionismo, che è da anni “il cibo sulla bocca degli stolti”, ha fallito – senza esclusione di colpi – presentando al momento giusto tutti i suoi effetti più amari in salse perlopiù differenti. Ha fallito, infatti, perché l’Italia è il paese dove il numero di drogati leggeri (drogati, contro la definizione convenzionale del termine, dando un’occhiata in giro, significa tutto e significa niente), col tempo non ha fatto che aumentare a dismisura, incrementando quel consumo entrato nel quotidiano anche di chi non avremmo mai pensato che potesse fare una cosa del genere.

Parallelamente, nei canali (illegali) dell’uso e del guadagno, è cresciuta anche l’entrata di sostanze stupefacenti di bassa qualità o di qualità-zero, sottodroghe derivate logicamente da un sottocosto frutto di tagli e sostituzioni mirate (quindi più accessibili economicamente per chi compra e poi rivende), dove le proprietà prima della sostanza finisce per diventare così la protagonista seconda di uno “Stupefacente Geneticamente Modificato”. Numeri che, oltre a vederci tra le prime posizioni a livello mondiale e tra le primissime a livello europeo, generano un contrasto quotidiano fra la domanda incosciente del compratore (scommettiamo che più della metà sono consumatori ingenui) e quello che è poi il conseguente e reale effetto della merce venduta (da “ipoteticamente benefico/malevolo” a “del tutto squilibrante e corrotto”), rappresentando quindi una discriminazione verso chi, con legittima volontà, seppur in torto col proprio corpo, si veste della sacrosanta libertà (?) di procurarsi piacere come meglio crede.

E, soprattutto, come meglio Sceglie, dove erroneamente per Scelta si sta a intendere sempre il semplice travalicamento di ciò che è permesso o non – tralasciando il profondo –, quando per Scelta si dovrebbe intendere anche quel circuito di flessioni che portano al superamento della restrizione a prescindere da chi/da cosa. Dimostrazione questa che, trattasi di una realtà non sconfiggibile quanto piuttosto solamente ordinabile, la droga viene invece aprioristicamente respinta come “un’azione del diavolo” e conseguentemente/stupidamente sottovalutata: è nello stesso ipotetico male, infatti, che si risolvono le prediche del bene, non è predicando il bene che si risolvono le fattezze del male.

Insomma, una legge (quella legge tanto discussa che conosciamo tutti) che diventa anti-legge fino a sentirsi nauseata dai suoi stessi divieti, che non regola altro che un pensiero andato e andante in un viaggio senza meta e che, paradossalmente, viola l’individuo molto più di quanto si prefigge di proteggerlo. Di fronte a tutto questo non resta che quel vizio tutto italiano di guardare al problema come una nonna impaurita dalle sue paranoie, senza vedute né coraggio, demonizzandolo, appiattendolo così tanto da renderlo solamente più scivoloso. Fra morale e scherzo, abbindolamenti puerili e opinioni invecchiate nella maniera sbagliata, a spuntarla è un surplus di risultati pessimi, estranianti, cronicamente/socialmente fallimentari e puntuali come un orologio svizzero.

Dall’Alto della sua ipocrisia di carta, chi non permetterà di cambiare pagina – ma imperterrito continuerà a disegnare scarabocchi – metterà sulla propria coscienza una mano mal-piegata e una verità scomoda in tasca: un drogato, leggero che sia, si vede offuscato anche il diritto di essere tale.