Oggi è sempre più evidente che i problemi cruciali della nostra epoca — energia, ambiente, cambiamento climatico, povertà, violenza e guerre — non possono essere compresi separatamente. Sono problemi sistemici, cioè tutti interconnessi e interdipendenti. Come scrive Papa Francesco nella sua Enciclica Laudato Sì:

C’è un grande deterioramento della nostra casa comune… [Si manifesta] tanto in catastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie, dato che i problemi del mondo non si possono analizzare né spiegare in modo isolato… Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso.

Una delle documentazioni più dettagliate dell’interconnessione fondamentale dei nostri problemi globali è il recente libro di Lester Brown, Piano B. Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute e uno dei pensatori più eminenti in ambito ambientale, dimostra con chiarezza impeccabile come il circolo vizioso della pressione demografica e della povertà porti alla diminuzione delle risorse — al crollo delle falde acquifere, alla riduzione delle foreste, alla diminuzione dei banchi dei pesci, all’erosione dei terreni, e così via — e come questo impoverimento delle risorse, esacerbato dal cambiamento climatico, produca Stati falliti in cui i governi non sono più in grado di garantire la sicurezza dei loro cittadini, alcuni dei quali al colmo della disperazione si votano al terrorismo. Per esempio, questa fu la dinamica che fece nascere l’ISIS, oltre all’instabilità politica nel Medio Oriente, causata in gran parte dalla politica estera e dalla politica dell’energia americana. Tutti questi problemi sono strettamente interconnessi.

Dalla crescita quantitativa alla crescita qualitativa

Il dilemma fondamentale alla base di tutti questi problemi sembra essere l'illusione che su un pianeta limitato sia possibile una crescita illimitata. Questa fiducia irrazionale in una perenne crescita economica è indicativa di uno scontro fondamentale fra un pensiero lineare e gli schemi non lineari della nostra biosfera — i sistemi e i cicli ecologici che costituiscono la rete della vita. Questa rete globale altamente non lineare contiene innumerevoli cicli di feedback attraverso i quali il pianeta si regola e trova un suo equilibrio. Il nostro attuale sistema economico, invece, è alimentato da un materialismo e un'avidità che non sembrano riconoscere alcun limite.

La crescita dell'economia e delle aziende sono il motore del capitalismo globale, il sistema economico attualmente dominante. Al centro dell'economia globale vi è una rete di flussi finanziari priva di qualsiasi impostazione etica. Infatti, l'ineguaglianza e l'emarginazione sociale sono caratteristiche insite nella globalizzazione economica, che ampliano il divario fra ricchi e poveri e aumentano la povertà nel mondo. Questo sistema economico persegue implacabilmente una crescita illimitata, promuovendo un consumo eccessivo e un'economia dello spreco basato sull'uso intensivo di energia e di risorse, il che genera rifiuti e inquinamento e dissipa le risorse della Terra. Inoltre, questi problemi ambientali sono aggravati dal cambiamento climatico, causato da tecnologie a uso intensivo d'energia e di combustibili fossili.

Sembra chiaro che la sfida cruciale è come passare da un sistema economico basato sul concetto di crescita illimitata a un sistema che sia ecologicamente sostenibile e socialmente equo. Crescita zero, oppure "decrescita", non è la soluzione. La crescita è una caratteristica centrale della vita. Una società o un'economia che non crescono, prima o poi moriranno. Nella natura, però, la crescita non è lineare e illimitata. Mentre alcune parti degli organismi o degli ecosistemi crescono, altre decadono, liberando e riciclando le proprie componenti che a loro volta diventano risorse per una nuova crescita. Questo tipo di crescita equilibrata e sfaccettata è ben nota ai biologi e agli ecologi. La chiamo "crescita qualitativa" in contrapposizione al concetto economico attuale di crescita quantitativa, misurata con l'indice indifferenziato del prodotto interno lordo (il PIL). Infatti, quello che si chiama "crescita" oggigiorno è più che altro spreco, ciò significa che oggi abbiamo un'economia in gran parte di spreco e distruzione.

Crescita qualitativa, invece, è una crescita che valorizza la qualità della vita attraverso la generazione e la rigenerazione. Nelle società, negli ecosistemi e negli organismi viventi, la crescita qualitativa include un aumento della complessità, della raffinatezza e della maturità. L'attenzione alla crescita qualitativa è in armonia con la nuova concezione scientifica della vita, che è il soggetto del libro Vita e natura. La nuova scienza della vita, essenzialmente, è una scienza delle qualità. Le qualità di un sistema complesso nascono da processi e schemi relazionali fra le parti. Per esempio, la mia salute non è la somma della salute delle mie gambe, del mio fegato, delle denti, eccetera. La salute è uno stato globale di benessere che nasce dalle relazioni fra queste parti.

Dunque, se cerchiamo di descrivere in termini puramente quantitativi sistemi complessi come gli organismi, gli ecosistemi, le società e le economie, non potremo comprendere la loro natura. Le quantità possono essere misurate, le qualità richiedono una mappatura. Quindi, per valutare la salute di un'economia abbiamo bisogno di indicatori qualitativi di povertà, salute, educazione, inclusione sociale, ambiente, ecc., nessuno dei quali può essere ridotto a coefficienti monetari o aggregato agli altri per formare una semplice cifra. Infatti alcuni indicatori economici di questo genere sono stati proposti recentemente, potete trovare informazioni dettagliate sul sito dell’organizzazione inglese Beyond GDP.

Invece di valutare lo stato dell’economia in base al grezzo valore quantitativo del PIL, dobbiamo qualificare la crescita, cioè dobbiamo distinguere fra crescita "buona" e crescita "cattiva," e poi potenziare la prima a scapito della seconda. Da un punto di vista ecologico, questa distinzione è ovvia. La crescita cattiva è una crescita di servizi e di processi produttivi che sono basati sui combustibili fossili, che hanno a che fare con sostanze tossiche, esauriscono le nostre risorse naturali e degradano gli ecosistemi del pianeta. La crescita buona, invece, è una crescita di servizi e di processi di produzione più efficienti, che comprendono energie rinnovabili, emissioni zero, riciclo continuo delle risorse naturali e risanamento degli ecosistemi della Terra.

Agricoltura industriale

Vorrei illustrare questo cambiamento prendendo come esempio l'agricoltura e le sue relazioni causali con il cambiamento climatico. Il legame tra agricoltura industriale e cambiamenti climatici è duplice. Da un lato, l'agricoltura industriale contribuisce in maniera significativa all'emissione di gas serra responsabili del cambiamento climatico, in particolare per la dipendenza dai combustibili fossili e dall'elevato consumo energetico. Dall'altro lato, le piante coltivate nelle monocolture geneticamente omogenee, tipiche dell'agricoltura chimica, sono vulnerabili agli eventi climatici estremi che stanno diventando sempre più frequenti e violenti a causa del riscaldamento globale.

L’agricoltura industriale, nota anche come la “Rivoluzione Verde”, è stata lanciata sulla base dell’assunto che sarebbero sempre state disponibili acqua in dosi abbondanti ed energia a basso prezzo derivante dai combustibili fossili, e che, inoltre, il clima sarebbe stato stabile. Oggi, nessuno di questi assunti è valido. Gli ingredienti chiave dell’agricoltura industriale, i prodotti chimici, così come la meccanizzazione e l’irrigazione, sono interamente dipendenti dai combustibili fossili che saranno sempre più costosi; il livello delle falde acquifere sta crollando, e le sempre più frequenti e violente catastrofi climatiche creano veri e propri disastri alle monoculture geneticamente identiche che oggi coprono l’80 % delle terre coltivabili del nostro pianeta. Inoltre, le pratiche dell’agricoltura industriale contribuiscono dal 25 al 30 % all’emissione dei gas serra, cosa che accelera ulteriormente il cambiamento climatico. Da un punto di vista sistemico, appare evidente che un sistema alimentare altamente centralizzato, a uso intensivo di energia, è dipendente da combustibili fossili; per di più, un sistema che produce gravi rischi per la salute dei lavoratori agricoli e consumatori, e non è in grado di far fronte ai disastri climatici in aumento, non è sostenibile nel lungo termine.

Agroecologia: un’alternativa sostenibile

Fortunatamente esiste un'alternativa praticabile e sostenibile all'agricoltura industriale: una serie di tecniche agricole, spesso basate su pratiche tradizionali, che incarnando princìpi ecologici sono state adottate in tutto il mondo, in particolare negli ultimi venti anni. Grazie a queste tecniche, è possibile coltivare cibi sani in modo sostenibile e decentralizzato e nel rispetto della biodiversità, delle comunità e dell'efficienza energetica. Questo approccio innovativo è noto come “agricoltura biologica” o “biodinamica”, oppure come “permacultura”. Negli ultimi anni, il termine "agroecologia" viene utilizzato sempre più spesso come concetto unificante che fa riferimento sia alla base scientifica che alla pratica di un'agricoltura fondata su princìpi ecologici.

L'agroecologia è sostenibile perché incarna i princìpi ecologici che sono stati provati dall’evoluzione durante miliardi di anni. Gli agricoltori biologici sanno che ogni centimetro cubo di terreno fertile contiene miliardi di organismi viventi essenziali per la salute del suolo. Sanno che il terreno è un ecosistema in cui le sostanze essenziali per la vita si muovono ciclicamente dalle piante agli animali, al letame e ai batteri del suolo, per poi tornare alle piante. L'energia solare è il combustibile naturale che spinge questi cicli ecologici, ma sono necessari organismi viventi di tutte le dimensioni per sostenere l'intero sistema e mantenerlo in equilibrio.

Un principio chiave dell'agroecologia è la diversificazione dei sistemi agricoli. Si ottengono mix di colture per consociazione (cioè, coltivazione di due o più varietà in prossimità), agroforestazione (ossia, combinazione di alberi e arbusti con le colture) e altre tecniche. Il bestiame spesso viene integrato in modo da supportare gli ecosistemi in superficie e nel suolo. Tutte queste pratiche richiedono un uso intensivo di manodopera e sono rivolte alle comunità, così permettono di ridurre la povertà e l'esclusione sociale. L'agroecologia, quindi, può far aumentare la produttività agricola in modo economico, nel rispetto dell'ambiente e con effetti positivi a livello sociale.

Per il futuro dell'agricoltura è fondamentale riconoscere che la resilienza agli eventi climatici estremi è strettamente collegata alla biodiversità agricola, che è una caratteristica chiave dell'agroecologia. Negli ultimi anni, diverse inchieste condotte in seguito a gravi disastri climatici (ad esempio l'uragano Mitch in America Centrale nel 1998 e Ike a Cuba nel 2008) hanno dimostrato che le aziende agricole che avevano adottato pratiche agroecologiche avevano subìto meno danni rispetto alle vicine monocolture coltivate in maniera convenzionale. Inoltre, quando la terra viene coltivata secondo princìpi biologici, il contenuto di carbonio aumenta e, in questo modo, l'agricoltura biologica può contribuire a ridurre la concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell'atmosfera.

Nei test sul campo, il Rodale Institute ha dimostrato che 27 anni di pratiche biologiche avevano fatto aumentare i livelli di carbonio nel suolo del 30 % circa, mentre i sistemi basati sui combustibili fossili non avevano prodotto, nello stesso periodo, nessun incremento significativo. Gli studi Rodale preventivano che globalmente l’agroecologia potrebbe ridurre di quasi il 40 % le emissioni di CO2 attuali. In altre parole, l'agroecologia non solo è più resistente al riscaldamento globale, rispetto all'agricoltura industriale, ma contribuisce anche a stabilizzare il clima, mentre l'agricoltura industriale contribuisce a peggiorarlo. Negli ultimi anni, è stato ampiamente dimostrato che l’agroecologia è una valida alternativa ecologica alle tecnologie chimiche e genetiche dell’agricoltura industriale. Secondo due importanti rapporti internazionali, per poter sfamare 9 miliardi di persone nel 2050 dobbiamo adottare quanto prima sistemi agricoli più efficienti e ricorrere all’agroecologia per raggiungere una produzione alimentare adeguata.

Conclusione

Dal punto di vista sistemico, è evidente che l’agroecologia rappresenta la soluzione sistemica per eccellenza. Se trasformassimo la nostra agricoltura industriale, chimica e su larga scala in agricoltura biologica, sostenibile e orientata alle comunità, potremmo contribuire in modo significativo a risolvere tre dei problemi più urgenti per il mondo intero. Potremmo ridurre di gran parte la nostra dipendenza energetica, considerando che al momento impieghiamo quasi un terzo dei combustibili fossili per il settore alimentare. Il cibo sano e biologico avrebbe un enorme effetto positivo sulla salute pubblica in quanto molte malattie croniche, come quelle cardiovascolari, ictus, diabete e tante altre, sono legate all'alimentazione. Infine, l’agroecologia contribuirebbe alla lotta al cambiamento climatico riducendo le emissioni di gas serra legate ai sistemi alimentari, catturando l’anidride carbonica presente nell’atmosfera e imprigionandola nella materia organica.

Negli ultimi anni, varie organizzazioni agroecologiche hanno preparato migliaia di agricoltori all’approccio agroecologico, dimostrando che il passaggio dall’agricoltura industriale alle pratiche agroecologiche non è solo estremamente necessario, ma anche pratico, e può essere realizzato senza ricorrere a nuove tecnologie o a costosi investimenti. In questo momento, servono volontà politica e una leadership visionaria globale. Una tale leadership deve essere sviluppata nei tre settori della società più importanti: il governo, le aziende e la società civile. È necessaria una collaborazione sistematica fra questi tre settori per creare un futuro sostenibile. È un’iniziativa che trascende tutte le differenze nazionali, sociali, e culturali. La Terra è la nostra casa comune, e creare un futuro sostenibile per i nostri figli e figlie, e per le generazioni del futuro, è il nostro compito comune.

Fritjof Capra, PhD, fisico e teorico dei sistemi, ha fondato il Center for Ecoliteracy di cui è direttore.
È autore di diversi bestseller internazionali, tra cui Il Tao della fisica, La rete della vita* e L’anima di Leonardo.
Insieme a Pier Luigi Luisi è co-autore del testo multidisciplinare Vita e natura: una visione sistemica (Aboca Edizioni, 2014)