La nascita di un figlio disabile pone la famiglia, specialmente la madre, di fronte a un evento drammatico. L’arrivo di un figlio che culturalmente e tradizionalmente è visto come promessa di felicità, diventa un’esperienza sconvolgente e dolorosa. Il bambino può essere più facilmente accolto e riconosciuto come figlio quanto più la sua immagine reale appare coerente con le aspettative dei genitori, che desiderano rispecchiarsi in lui e gioire della corrispondenza fra immaginazione e realtà.

Quando invece si scopre che il figlio fantasticato è disabile si precipita in uno stato di sofferenza, di incertezza, di grande e profonda angoscia. Affrontare questi eventi, dolorosi e stressanti, richiede un continuo adattamento a sé e all’altro; ogni programmazione della vita quotidiana, ogni progetto del nucleo familiare passa attraverso la condizione del bambino/figlio disabile. La figura maggiormente coinvolta nella relazione col figlio è quella della madre, è lei che se ne prende cura, che lo segue nei percorsi riabilitativi, scolastici, nella gestione del quotidiano. Il benessere della madre si riflette sull’equilibrio dei figli e dell’intero nucleo familiare.

Con questo obiettivo di benessere nasce il progetto pedagogico-clinico Donne madri nella disabilità - Il dolore è ancor più dolor se tace (Giovanni Pascoli) che viene realizzato a partire dal 2015 in Toscana, a Montevarchi, con il sostegno della fondazione Niccolò Galli onlus di Firenze, con la collaborazione della cooperativa teatrale Diesis-Teatrango e la partecipazione attiva di otto madri del territorio, coordinato dalle pedagogiste cliniche Rosa Marotta e Barbara Petrucci.

Il percorso educativo di intervento in aiuto alla persona viene svolto in atelier utilizzando tecniche e metodi propri della pedagogia clinica, tra i quali l’Interart®. La persona tramite esperienze espressive di teatro, musica, danza, segno grafico e linguaggio poetico si racconta, lasciando tracce di sé e scoprendo dentro la propria storia nuove risorse e disponibilità. Lo scopo del progetto sostenere le donne che vivono una condizione di conflitto emozionale e sociale a causa della disabilità del proprio figlio, creando uno spazio di condivisione in cui dare corpo, parole, movimento, espressione drammaturgica a quelle voci dentro che fagocitano il senso di leggerezza, piacere, rilassamento, speranza.

Lo scorso anno si è conclusa una prima parte dell’itinerario educativo con la performance teatrale dal titolo L’Onda, che ha debuttato al Teatro Comunale Di Bucine, paese della Val D’Ambra, tra Arezzo e Siena. L’immagine dell’onda, emersa durante le narrazioni in atelier, è stata scelta quale metafora di un evento estremo, drammatico, imprevedibile come la nascita di un figlio disabile. L’onda può distruggere o portare a una trasformazione. Il suono e la violenza tumultuosa dell’acqua ti trascina e risuona come le parole di una diagnosi roboante e incomprensibile, ma l’amore per un figlio, anche se diverso da come lo avevamo immaginato, può determinare un cambiamento, una forza straordinaria.

“Pancia buona, pancia cattiva” sono le parole di partenza della performance, nella quale viene raccontato il carico di colpa che una donna può attribuirsi in un’esperienza così estrema e dolorosa. “Non è questa la vita che volevo” dice Desi nel suo desiderio di una vita diversa. “Bisogna mettersi la mimetica e combattere” grida Lucia dopo anni di fatica e Cinzia che si sente un pilastro dichiara la sua preoccupazione “Che ne sarà di lei… quando io non ci sarò più”.

Tiziana racconta la sua storia di figlia con una madre che non l’ha mai accettata. “Dove eri mamma quando ero triste e combattevo con me stessa perché mi sentivo grassa e inadeguata… ? Dove eri mamma quando ho incontrato l’amore, quello vero… ? Oggi sono nuova, una donna nuova… che ha imparato ad amare di un amore vero, incondizionato… Vorrei gridare al mondo ti odio, ma non è vero, mi sei mancata e mi manchi… ”. Mentre Erika rivela di voler sposare il suo babbo e di quanto per lei sia entusiasmante essere figlia. Tante voci che dichiarano, soffrono e lottano in una quotidiana ricerca di speranza e di amore.

“Mi sono sempre sentita fortunata,
un poco meno quando tu sei nata
i sensi di colpa verso tuo fratello
ti mostravano ai miei occhi
solo come un fardello.
Scusa non si ripeterà più l’errore
Non ti farò più mancare il mio amore”.

Un incontro di frammenti autobiografici in cui donne differenti vivono una condizione che le accomuna intimamente e sperimentano l’ascolto di sé e dell’altro nel dolore e nel piacere. Un percorso di riflessione centrato sulla donna, figlia, compagna e madre. Le esperienze di vita, anche le più dolorose, stimolate e finalizzate alla creazione di una scrittura scenica, svelano alla persona aspetti interiori inesplorati, disponibilità nuove e sconosciute. È un processo maieutico che porta sollievo e suggerisce rinnovate soluzioni esistenziali, sollecitando in ognuno uno stato di attivazione costruttiva e partecipazione verso benessere e pacificazione. Attraverso l’azione teatrale ogni gesto e pensiero può divenire momento catartico, accoglienza dei propri sé. La messa in scena è un gioco, permette di spostare il piano della realtà in uno spazio fantastico, luogo reale d’arte, armonia e bellezza, capace di comunicare.

Le donne/madri giocano insieme sul palcoscenico come bambine, ballano complici e sensuali, rimandando immagini di estrema femminilità. Emergono aspetti umani contraddittori riconoscibili in ognuno di noi, in una dimensione percettiva dove incontrare la sofferenza altrui significa confrontarsi con il proprio dolore, accogliere spazi e momenti di gioia significa ritrovare il proprio desiderio di piacere e serenità. Ogni madre non è più sola con il proprio disagio e le proprie categorie interpretative, ma ne conosce altre e apprende il vantaggio della relativizzazione.

Ri-creare la propria storia personale al riparo dal contesto ordinario è un altro punto di vista da cui osservare, un gioco per esprimere emozioni , sentimenti e desideri. In ogni persona esiste una “ teatralità innata” fonte di espressione e affermazione di identità autentica. Come autentico è l’inno di gioia di Valentina verso la propria famiglia, un'ode alla bellezza della coppia che l’ha generata, “la sua famiglia perfetta”. Le “nostre” madri sono donne prima di madri e ancor prima figlie, in ognuna di loro c’è uno slancio vitale a volte sospeso. Di fronte ai mostri che le hanno atterrite erigono la loro presenza, sensibilità e partecipazione, vogliono giocare e gridare tra la vergogna e il riso senza chiudere le porte alla speranza. “Nel disastro il futuro era sempre lì a sorriderci, prima o poi troverò l’equilibrio per affrontare questo mostro, in qualche modo si farà”.

La performance L’Onda viene presentata in vari spazi e teatri italiani, le loro voci vogliono essere un atto sociale per superare ogni forma di separazione.