Moby Prince, Moby Prince, Mayday!-Mayday! siamo in collisione, prendiamo fuoco...

Il segnale flebile della radio di bordo lancia questo messaggio sul canale 16, un segnale debole e sporco d'interferenze che non viene ascoltato. Sono le 22:25 e da questo momento inizia l'inferno per le 140 persone a bordo del traghetto Navarma che da Livorno porta a Olbia quel 10 di aprile del 1991. Cosa accadde?

Il Moby Prince era da poco uscito dal porto di Livorno e il cielo ero chiaro, stava per iniziare la finale di Coppa delle coppe tra il Barcellona e la Juventus, il pilota degli ormeggiatori aveva lasciato il traghetto ormai libero dalle movimentazioni dell'area di manovra ma qualcosa accade. Nell'area che riteneva fuori da ostruzioni, il traghetto sperona l'Agip Abruzzo, una nave mercantile con 82.000 tonnellate di petrolio a bordo che era all'ancora. Immediatamente le due imbarcazioni s'incendiano l'una per il contenuto che trasportava, l'altra per l'onda di greggio che gli si riversa sul ponte a prua e lungo le murate. Dalla petroliera parte l'allarme forte e chiaro e i soccorsi si concentrano tutti su di essa, ma cosa accade al Moby Prince? Il traghetto è in fiamme a poche miglia dalla costa, inizia a girare su se stesso in una traiettoria circolare a retromarcia, grazie all'intuito e alla perizia del comandante che così evita che le fiamme si dirigano sul corpo della nave. Le 140 persone a bordo attendono i soccorsi, radunate nel salone De Lux costruito per resistere alcune ore al fuoco, attendono, attendono e attendono.

Un ultimo tragico messaggio parte dal Moby Prince da un trasmettitore a onde medie, sono le ore 22,56 circa, sono passati 31 minuti dal terribile scontro tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo. “Stiamo aspettando qui... stiamo aspettando qui ma nessuno viene ad aiutarci” “...qui non ci sente nessuno!”. Ma cosa accade nella torre dei Piloti e nella stazione radio della Capitaneria di Porto?

Niente, è silenzio, la Capitaneria non risponde al Mayday, e quando una pilotina degli ormeggiatori finalmente, dopo 1 ora e un quarto, si accorge per prima che l'altra unità protagonista dell'impatto è il traghetto e corre a posizionarsi sottobordo mentre il Moby è in fiamme, grida alla radio “È la Moby Prince! C'è un sacco di gente a bordo!”. “CP punta sulla nave per favore!”. CP mi stai ascoltando? Avvisatore! Avvisatore! Compamare, Compamare (Guardia Costiera) qualcuno mi deve rispondere, o cosa è successo?”, nessuno risponde. Nel frattempo riescono a trarre a bordo dell'unità di soccorso, il mozzo, unico superstite della nave il quale sotto choc grida che ci sono altre persone da salvare, ma lo stesso dopo un po' di tempo affermerà, e sono altri ormeggiatori e CP 232 a riferirlo, che sono tutti morti.

Qual è il quadro a tre ore dall'incidente? La situazione è che l'Agip Abruzzo è in sicurezza,(anche se l'incendio prosegue per una settimana circa) e l'equipaggio è in salvo, mentre sul Moby Prince che ancora segue la sua surreale rotta circolare all'infinito, 140 persone sono morte o stanno morendo, in attesa di soccorsi mai arrivati, e nessuno via radio di quelli che dovrebbero coordinare i soccorsi, dà indicazioni ai rimorchiatori che stanno fermi sottobordo in attesa di ordini. Il comandante della Capitaneria di porto di Livorno affermò che tanto erano già tutti deceduti dopo pochi minuti e che quindi sarebbe stato inutile mandare soccorsi, ma le analisi eseguite successivamente quando il Moby fu riportato a banchina riveleranno che nel sangue delle vittime erano presenti valori di carbossiemoglobina elevatissimi ciò significa che per ore i passeggeri hanno respirato fumo; riveleranno che nel garage sono state trovate impronte di mani sulla fuliggine che copriva le automobili, che sul ponte di poppa una persona aveva l'orologio fermo alle 6 della mattina successiva e che non era bruciato la sera precedente, che gli sprinkles del sistema antincendio contenenti la fiala di alcool che a 70°C esplode innescando il sistema di sicurezza erano intatti, che alcune cabine erano indenni dal fuoco, che le sedute del water in plastica non erano deformate dal calore, che nel magazzino dietro al bar gli scatoloni di cartone erano indenni. Tutte situazioni che fanno pensare al fatto che margini di sopravvivenza sulla nave ci potevano essere e quindi perché affermare con sicurezza che dopo pochi minuti, erano già tutti morti? Il comandante della Capitaneria si seppe che uscì subito in mare con un mezzo in dotazione e che stette fuori tre ore, cosa fece in quelle ore, con chi era?

Quella notte nella rada del porto di Livorno c'erano molte navi, alcune erano navi militarizzate sottratte ai normali controlli doganali di Polizia, sotto il diretto controllo del Governo degli USA, con a bordo pezzi militari per la base Nato di Camp Darby, tra esse la Therese, non registrata, ma che lasciò un messaggio radio indicante che usciva dal porto di Livorno. C'erano bettoline, a una delle quali fu attribuita la causa dell'impatto con la petroliera, ma il comandante dell'Agip Abruzzo nel primo messaggio parla di “una nave che ci è venuta addosso” e come è comprensibile c'è una netta differenza nelle dimensioni tra una nave e una bettolina, vista poi anche l'altezza sul livello del mare dello squarcio provocato dall'impatto con l'altra imbarcazione che non poteva essere certo una bettolina. Come mai nessuno si è accorto del traghetto in fiamme?

Fortunatamente le registrazioni esistono ancora e sono reperibili sul web, ciò ci aiuta a ricostruire in parte i fatti ma il chiarimento di tutto ciò forse potrà arrivare dalla commissione parlamentare d'inchiesta aperta il 22 luglio 2015 dal Senato della Repubblica su sollecitazione dei parenti delle vittime che chiedono giustizia e verità. La commissione sta lavorando da quasi due anni ai dati reperiti, inoltre si avvale delle testimonianze di esperti e tecnici tra cui il comandante Gregorio de Falco che ha analizzato la questione più cruciale, quella dei soccorsi: egli afferma in modo inequivocabile che “non c’è mai stata l’assunzione del comando della pubblica autorità” e forse a ottobre 2017 si dovrebbero conoscerne gli esiti. Nel frattempo, in questi anni si sono costituite due associazioni: a Livorno si è creato il comitato “Io sono 141” fondato da Loris Rispoli fratello di una delle vittime, la seconda associazione, quella più recente, denominata "10 aprile" è presieduta da Angelo Chessa, figlio del comandante del Moby Prince, il Com.te Ugo Chessa deceduto nell'incendio, che non si danno pace e lavorano per sensibilizzare e manifestare per la ricerca di una verità che per il momento, da 26 anni, è ancora nascosta.