Il 21 novembre 1916, l’Impero Austro-Ungarico impegnato nella Prima guerra mondiale aveva perduto il proprio imperatore. Francesco Giuseppe, salito al trono nel 1848 durante il periodo di guerre d’indipendenza che lo vedranno impegnato soprattutto in Italia, aveva regnato a lungo, accompagnato dall’imperatrice Sissi fino al 1898.

Amato e odiato, appellato “Cecco Patata” nei territori veneti ancora dominati dell’Austria, lasciava il regno al pronipote Carlo I d’Austria, re di Ungheria e Boemia e monarca della casa d’Asburgo-Lorena e Austria-Este, figlio dell’arciduca Ottone d’Austria e di Maria Giuseppina di Sassonia. Sposò nel 1911 la diciassettesima figlia dell’ultimo duca di Parma, Zita di Borbone-Parma, dalla quale ebbe otto figli. Proprio il fratello di Zita, Sisto, iniziò in gran segreto, nella primavera del 1917, le trattative con Francia e Gran Bretagna per concludere la guerra, mentre l’Italia si opponeva perché, ovviamente, affatto interessata a riportare la situazione allo stato prebellico che avrebbe significato non ottenere ancora le terre irredente.

La Germania, alleata di Carlo I, era diffidente nei suoi riguardi e cercava di sminuirne la personalità, sia perché guardava con sospetto ai tentativi di pace separata di Carlo che non auspicava, come i tedeschi, una vittoria, sia perché l’Asburgo era contrario all’utilizzo di nuove e sempre più terribili armi. Anche internamente il sovrano era osteggiato, perché gli ungheresi non volevano concedere autonomia a serbi e rumeni. La sua azione di governo allarmò anche i poteri massonici che gli offriranno di tornare a regnare, una volta scelta la strada dell’esilio, in cambio dell’appoggio alla loggia. Carlo I capì subito che diventare imperatore era una nuova strada per servire Cristo.

Cattolicissimo, dalle parole del papa Benedetto XV, con la famosa frase “inutile strage” coniata per la guerra in corso, trasse che lui poteva cambiare gli eventi. Volle la pace e condusse una esemplare vita coniugale e paterna, rinunciando agli sfarzi di corte, ad esempio riservando il pane bianco ai feriti dal fronte e mangiando lui stesso il pane nero. Si avvicinò alla Santa Comunione quotidianamente e metteva in pratica le sue molte virtù, tra cui la mancanza di presunzione, la naturalezza, la semplicità e la sempre crescente umiltà. Era generoso e voleva rendere felici le persone, pronto al sacrificio se necessario. Spiccato il senso del dovere che lo porterà a governare con saggezza, affrontando l’onta della pubblicazione degli accordi segreti con la Francia, al fine di fermare la guerra, messa in atto dal suo ministro degli Esteri Czernin desideroso che la guerra continuasse.

Carlo I sapeva guardare oltre e auspicare la pace per l’Europa. Era fermamente convinto che le vie del Signore fossero molte più di quelle umane e affrontò con questo animo l’esilio a Madeira; lì la sua fede divenne ancora più salda, sempre più era immerso in Dio, accanto alla moglie che lo seguiva in questa profonda fede. Morì, non ancora trentacinquenne, per una polmonite, in assoluta povertà, affermando di aver vissuto per conoscere sempre più e meglio la volontà di Dio. Venne beatificato da Giovanni Paolo II nel 2004, ma già Benedetto XV, in vita, lo definiva un santo, così come il Nunzio Apostolico in Germania Pacelli, poi papa, lo definì una grande anima. La moglie gli sopravvisse 67 anni e anch’ella venne nominata Serva di Dio per le sue doti di fede.