Durante il periodo del cosiddetto Alto Medioevo, che convenzionalmente ricopre l’arco temporale compreso tra il V° e l’XI° secolo d.C., l’attività bancaria subisce un sensibile arresto nell’Europa continentale, in seguito alla caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476 d.C., data della deposizione di Romolo Augustolo da parte di Odoacre, re degli Eruli.

La progressiva dissoluzione dell’Impero romano d’Occidente fu accompagnata dalle ricorrenti invasioni delle orde barbariche provenienti dal Nord e dall’Est, e da una profonda crisi demografica causata da epidemie e pestilenze, con conseguente riduzione della popolazione, contrazione dei traffici commerciali e depressione economica diffusa nei regni dell’Europa altomedievale. Le attività economiche, compresa l’attività bancaria, erano invece molto più fiorenti e sviluppate in Oriente, in particolare nell’Impero bizantino, nel mondo islamico e nell’impero cinese.

Nel mondo bizantino continuarono ad operare e a rivestire notevole rilevanza le banche private e pubbliche, già introdotte e diffuse dai Romani. Nel mondo islamico, le banche erano molto diffuse e in alcune città di maggiori dimensioni, come Baghdad, alcune strade erano interamente occupate dai banchieri. Gli Arabi utilizzavano una circolazione monetaria bimetallica, basata sul “dinar” d’oro e il “dirham” d’argento, monete che venivano coniate nelle cosiddette “case delle monete”, in arabo “dar al-sikka” (da cui deriva il termine zecca). Essi conoscevano alcuni sistemi di regolamento degli scambi commerciali, come il mandato a riscuotere un credito, denominato “hawala” (da cui il termine avallo), la promessa di futuro pagamento, denominata “sakk” (da cui il moderno chèque), la lettera di credito, denominata “suftagia”, consistente in un ordine di pagamento a distanza che consentiva il trasferimento dei fondi da una località a un’altra tramite due banche corrispondenti, senza pertanto l’uso del contante, che rimaneva depositato presso la banca ordinante. Quest’ultima tecnica di pagamento veniva tuttavia criticata dalle scuole di diritto musulmano, che intravedevano nella suftagia una forma dissimulata di prestito ad interesse, ritenuto illecito dalla dottrina religiosa.

Nell’Impero cinese, fin dal II° millennio a.C. si fece ricorso con funzione monetaria a piccole conchiglie note come “cauri”, e dal V° secolo a.C. vennero introdotte le prime monete di bronzo, a forma di coltello o di vanga, con una lunghezza variabile tra cinque e venti centimetri. Successivamente, furono coniate le famose monete di rame con forma rotonda e un foro quadrato nel mezzo per poterle legare insieme, utilizzate fino al XX° secolo e chiamate dagli Europei “caixas” o “cash” oppure “sapeche”. Più rare furono invece le monete d’oro e d’argento, metalli che venivano utilizzati soprattutto a peso (in pani o verghe) per le transazioni più rilevanti. Per quanto riguarda l’attività creditizia, dal V° secolo d.C. i monasteri buddisti avviarono le “botteghe dei pegni” per la concessione di piccoli prestiti su pegno con le offerte dei fedeli.

Successivamente, nei secoli VII°- IX° d.C. nacquero anche le “botteghe di deposito”, che accettavano i depositi di monete e di metalli preziosi e gestivano il trasferimento di somme a distanza, rilasciando ai depositanti ricevute che cominciarono a circolare come mezzi di pagamento e rappresentarono una prima esperienza di moneta cartacea, nella forma di biglietti che incuriosirono molto i primi viaggiatori europei del Medioevo (e di cui parla anche Marco Polo). L’emissione di tale nuova forma di pagamento dal 1023 fu curata e controllata direttamente dal governo imperiale che, sotto la dinastia mongola degli Yuan (1279 – 1368), ne dichiarò il corso legale alla luce della ormai generalizzata diffusione.

In Europa, Carlo Magno (747-814 d.C.), nel tentativo di restaurare l’antico Impero romano d’Occidente, adottò tra il 780 e il 790 d.C. un sistema monetario unico, fondato sul “denaro” d’argento (coniato già da tempo) che venne dichiarato l’unica moneta avente corso legale. Tale regime (monometallismo argenteo) prevedeva che le zecche, per ogni libbra d’argento ricevuta (pari a circa 410 grammi), dovessero consegnare 240 denari, ciascuno di 1,7 grammi di peso (di cui 1,6 d’argento fino). Non si prevedeva invece la coniazione di multipli o sottomultipli del denaro e, pertanto, per il regolamento delle transazioni si faceva riferimento, nell’uso quotidiano, ad alcune unità di conto, quali il “soldo”, pari a 12 denari, e la “lira”, pari a 240 denari ovvero a 1 libbra d’argento (in peso). Tale sistema di conteggio della moneta, basato sulla moneta coniata (denaro) e sulla moneta non coniata (lire, soldi), rimase in vigore nel Continente europeo fino alla Rivoluzione francese.

Addirittura, in Inghilterra un sistema analogo è durato ancora più a lungo, fino al 1971, a partire dal secolo VIII° d.C. allorquando, nella Zecca di Canterbury, si cominciò a battere il “penny” d’argento (equivalente del denaro) in misura pari a 240 pezzi per libbra, con la suddivisione nelle unità di conto (20 scellini e 240 pence). La sistemazione monetaria effettuata durante il Sacro Romano Impero contrassegnò il mondo occidentale, tramandando nei secoli, fino ad oggi, i termini invalsi nell’uso quotidiano: la lira italiana, la livre francese, il pound inglese.

Con la dissoluzione e frammentazione dell’Impero carolingio, nei secoli IX° e X° d.C., il diritto di zecca, ossia il diritto di battere moneta che fino ad allora era stato prerogativa esclusiva delle officine monetarie imperiali, cominciò ad essere esercitato da diversi soggetti, in particolare dai principi e signori feudali e dai monasteri e vescovi, che si appropriarono della facoltà di coniazione quale principale espressione della propria sovranità. Il denaro d’argento, pur mantenendo la denominazione originaria, venne spesso alterato nel peso e nel titolo (quantità di metallo puro rispetto al peso), con conseguente svalutazione monetaria, e si diffusero nelle transazioni quotidiane le cosiddette monete di “biglione”, caratterizzate da una bassa percentuale di metallo fino.

Nei regni europei dell’Alto Medioevo, l’attività bancaria venne esercitata soprattutto dai monasteri e da alcuni mercanti più intraprendenti, tra i quali si affermarono in particolare i mercanti di origine ebraica. I monasteri gestivano le attività creditizie soprattutto nelle zone rurali, dove venivano finanziati sia i semplici agricoltori delle campagne sia i grandi proprietari fondiari, utilizzando le disponibilità rivenienti dalle continue offerte dei fedeli e convertendo in moneta i vari pezzi di argento presenti sotto forma di calici, ostensori, candelieri e reliquari. Nei centri cittadini, invece, operavano soprattutto i mercanti ebrei che concedevano prestiti ad interesse, generalmente con la garanzia di oggetti dati in pegno, che potevano essere di qualunque tipologia (gioielli, tessuti preziosi, mobili, attrezzi da lavoro, derrate alimentari). I finanziamenti venivano concessi generalmente a breve termine e, alla scadenza, i pegni non ritirati venivano messi in vendita. I prestiti venivano erogati a un tasso di interesse di solito abbastanza elevato, che poteva essere applicato dai banchieri ebrei in quanto il divieto ecclesiastico del prestito ad interesse e la conseguente condanna dell’usura da parte della Chiesa riguardavano all’epoca soltanto i banchieri cristiani.

Dall’anno Mille in avanti, data che convenzionalmente segna la fine dell’Alto Medioevo e l’inizio del periodo del cosiddetto Basso Medioevo, si registra in Europa una progressiva ripresa economica, della quale - come si vedrà nel prossimo studio - furono protagoniste le città italiane che, con i loro traffici commerciali, contribuirono a ridare impulso all’attività bancaria, cosicché la Banca medievale, dotata di una nuova organizzazione e di nuovi strumenti di credito, divenne la vera progenitrice della Banca moderna.