Al di là del referendum sulle riforme, la politica italiana sta vivendo una fase di transizione che giungerà al suo termine nel 2017. Nel nuovo anno, infatti si compirà il passaggio indicato dalla legge 13/2014 dal sistema di finanziamento pubblico dei partiti politici di tipo diretto a quello di tipo indiretto, basato su donazioni liberali con un tetto di 100.000 € annui per persone fisiche e giuridiche, agevolazioni fiscali al 26% per importi tra i 30 e 30.000 € annui e 2xmille dell’imposta sul reddito per i soggetti politici registrati nella seconda sezione del Registro Nazionale dei partiti politici.

Sarà un momento storico, per qualche verso anche epocale, considerando come la materia in questione sia stata all’origine delle turbolenze crescenti del nostro Paese, negli anni ’80, scoppiate poi in aperta protesta con Tangentopoli e il cui significato di rifiuto della politica e dei suoi costi, permea ancora la quotidianità tutt’oggi! Per capire che cosa potrà succedere e quali caratteristiche potrebbe avere il nuovo sistema alle prese con la specificità italiana, è stata svolta una ricerca comparativa sul fundraising – ossia la raccolta fondi e i sistemi per attivarla - per la politica tra Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America, giunta peraltro alla sua quinta edizione. L’analisi è stata condotta dal Centro Studi sul No Profit, da Raise The Wind (Servizi per il no profit, formazione e fundraising), da Costruiamo il consenso, in collaborazione con il think tank Competere.

I risultati raccolti permettono di monitorare la risposta dei partiti e dei movimenti italiani di fronte alla sfida della creazione di un sistema di autofinanziamento virtuoso e diffuso e di conseguenza la loro capacità di reimpostare organizzazioni, strategie comunicative e strumenti di marketing politico in funzione di quello che si può definire political fundraising.

Il quadro italiano possibile viene passato al setaccio e comparato agli scenari internazionali della raccolta fondi di tradizione anglosassone. La nuova edizione della ricerca sottolinea in particolare un confronto tra i dati rilevati nel 2013 e quelli registrati nel 2016. Risulta infatti interessante – osserva la relazione introduttiva della ricerca - raffrontare due periodi molto diversi tra loro. La rilevazione dell’ottobre 2013 risentiva già del clima anti-casta, era già legge il taglio del 50% che ridusse a 91 milioni di euro i contributi pubblici ai partiti (Legge 96/2012), ma da soli cinque mesi era iniziato l’iter di discussione in Parlamento del disegno di legge che avrebbe poi abolito il finanziamento diretto della politica. Con la ricerca 2016 siamo invece a due anni dal varo della legge e a poche settimane dallo scoccare del taglio definitivo dei rimborsi elettorali, taglio ad oggi già giunto al 75% dopo le riduzioni a colpi di 25% dei due anni precedenti. Come è cambiato dunque l’approccio dei partiti e movimenti italiani verso le proprie modalità di autofinanziamento? E, soprattutto quale strada hanno scelto, quella del fundraising? Cosa è cambiato rispetto al 2013?

Un primo dato che emerge subito nell’edizione 2016 della ricerca è un leggero miglioramento e un aumento nelle percentuali di utilizzo delle tecniche di raccolta fondi rispetto alle precedenti rilevazioni, anche se resta ferma la scarsa adozione dei veri principi del fundraising. La ricerca, si è conclusa a settembre 2016 e ha monitorato le attività di fundraising e people raising di diciassette partiti/movimenti politici italiani e ha rilevato un incremento della percentuale dei soggetti che adottano almeno una tecnica di fundraising, passata dal 45% del 2013 (anno precedente all’entrata in vigore della legge sull’abolizione del finanziamento pubblico diretto) al 100% del 2016 (ultimo anno prima del taglio definitivo del finanziamento pubblico diretto). Ancora, è pari all’88% la percentuale di partiti e movimenti che quest’anno ha adottato due tecniche di raccolta fondi; al 59% la quota percentuale di chi ne ha utilizzati tre.

Come anticipato, questi dati non garantiscono che il fundraising sia stato realmente utilizzato. Si è trattato principalmente di semplici raccolte fondi che non mirano alla periodicità delle donazioni né a creare un rapporto duraturo con il donatore. Ad ogni modo, seppur con lentezza e senza una programmazione ad ampio raggio, i partiti e i movimenti politici - sottolinea ancora la ricerca - spinti e in qualche modo costretti dai tagli e dalle nuove regole imposte dalla Legge 13/2014, si stanno organizzando (a modo loro a dire il vero) per far fronte alla sfida del fundraising.

In primo luogo, va segnalato che rispetto al 2013 è aumentata la percentuale di partiti/movimenti politici che raccoglie i dati dei propri donatori passando dal 25 al 94%. La raccolta dati è infatti fondamentale per fidelizzare i donatori e trasformarli da occasionali a regolari. Un buon segnale verso un adeguato utilizzo delle tecniche di fundraising. In secondo luogo, negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un alto grado di aggiornamento dei siti web dei soggetti politici analizzati, siti che hanno migliorato o accolto nuove sezioni dedicate alla trasparenza, al 2xmille, al fundraising e al people raising.

Per quanto riguarda gli strumenti scelti per ricevere donazioni da parte dei sostenitori - aspetto questo interessante ai fini della comparazione con la realtà anglosassone - il bonifico bancario (88%) e la carta di credito, prevalentemente su circuito paypal (82%) sono le modalità di pagamento più diffuse. La proposta di donazione attraverso bollettino di conto corrente postale si attesta invece sul 47%, dato in controtendenza rispetto ai sistemi di raccolta fondi tradizionali. In un solo caso si evidenzia anche la modalità di donazione attraverso SMS con numero dedicato. Notevole è stato l’incremento della donazione suggerita attraverso un apposito form che si attesta al 59%.

Riscuotono invece poco successo tra i partiti le tecniche di fundraising di stampo tipicamente anglosassone come la vendita di gadget e lo shop online utilizzati soltanto dal 12% dei partiti/movimenti presi in esame. Il 24% dei partiti presi in esame offre la possibilità di svolgere attività di volontariato organizzato: in lieve aumento rispetto al 2013 quando erano solo il 5%. Nota dolente è la gestione dei sostenitori e gli strumenti di comunicazione utilizzati, la vera chiave di volta alla base del fundraising. Focalizzandosi sull’online, la ricerca osserva che nel 100% dei casi sono i social network (principalmente Facebook e Twitter) il mezzo più utilizzato dai partiti e dai movimenti politici analizzati per comunicare con i propri sostenitori. Questo indica “una generale assenza di personalizzazione nelle singole comunicazioni. Solo il 35% del campione dispone di intranet, strumenti di comunicazione interna e community ufficiali. Sui siti web dei soggetti politici analizzati solo il 47% offre la possibilità di iscriversi alla newsletter di partito e solo il 12% dispone di form in home page per l’iscrizione”.

Naturalmente, viene sottolineato che il fundraising online ha potenzialità illimitate, ma il suo uso deve essere adattato alla realtà. È giusto che venga usato come strumento addizionale ai classici, in quanto permette di migliorare le capacità in termini di raccolta fondi, ma di certo non sostituirà le altre strategie standard, riconosciute e collaudate nel fundraising offline. Per quanto riguarda il crowdfunding, ad esempio, si tratta di uno strumento che ha senso se inserito in un programma completo di fundraising. Non basta come singola tecnica per fidelizzare i donatori, o meglio, per raggiungere tutti i donatori. Nonostante le buone dichiarazioni di intenti, solo il 7% dei partiti e movimenti analizzati fa ricorso propriamente al crowdfunding per il finanziamento di progetti e attività. Attualmente rimane una tecnica di fundraising utilizzata sporadicamente solo da alcuni movimenti o da politici a livello individuale.

Quando si parla di fundraising - precisa la ricerca 2016 - non si possono trascurare i principi di trasparenza e rendicontazione. Il donatore quando dona una somma per sostenere un progetto elettorale, dovrebbe poterne seguire l’andamento e controllare le spese, l’uso che è stato fatto di quella donazione. Il 94% dei partiti analizzati pubblica online il proprio bilancio (in crescita dal 40% del 2013). Il 100% del campione se si fa riferimento ai partiti iscritti nel registro nazionale. Il 47% del campione colloca in home page la sezione “trasparenza” all’interno della quale consultare i documenti di rendiconto. Solo il 6% consente di autorizzare la pubblicazione di nome, cognome e contributo del donatore. L’obbligo di pubblicazione del bilancio online ha spinto in questi anni molti partiti - alcuni solo negli ultimi mesi - a rendere trasparenti i propri rendiconti.

Rara è invece la pubblicazione di rendiconti parziali o a consuntivo delle raccolte fondi organizzate nell’ambito delle campagne elettorali. Un discorso a parte merita infine lo strumento del 2xmille, uno strumento di finanziamento pubblico indiretto sottoposto alla scelta e alla volontà dei cittadini, al quale possono accedere solo i partiti che rientrano nelle regole di iscrizione al registro nazionale. Quindi - aggiunge la ricerca - prima di tutto non è un’opportunità di cui tutti possono usufruire. In secondo luogo, e questo vale per i partiti iscritti nel registro, vanno studiate campagne di comunicazione specifiche di informazione e di comunicazione non solo per il livello nazionale ma soprattutto per i livelli locali, le vere “armi” da impiegare per ottenere un risultato capillare.

Nel 2016 sono 21 i partiti che hanno avuto accesso allo strumento del 2xmille. Secondo la nostra indagine, il 94% ha attivato almeno un’iniziativa di comunicazione online o offline per informare e incoraggiare la destinazione del 2xmille a proprio favore, ma solo nel 41% dei casi è stato pubblicizzato in maniera efficace. L’81% dei soggetti politici aventi diritto ha dedicato al 2xmille uno spazio in evidenza sull’home page del proprio sito web, il 71% ha dedicato una sezione ad hoc interna al sito dove vengono specificate le modalità di destinazione del 2xmille. Le modalità sono state diverse: non solo l’immagine del 730 precompilato con il codice di riferimento ma anche faq, video tutorial, possibilità di ricevere informazioni via email, via sms. Nel confronto con Regno Unito e Stati Uniti d’America l’Italia appare ancora indietro. In questi Paesi le tecniche di fundraising e people raising sono ormai consolidate da decenni e mantengono un trend in crescita, anche se lento. Il ricorso a più tecniche per organizzare raccolte di fondi è la prassi e il livello di risposta dei donatori è altissimo.

Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti sono l’esempio di quanto sia importante il fundraising. Va però detto che, nei paesi anglosassoni, cultura e attitudine alla raccolta fondi sono molto diverse dall’Italia e quindi la comparazione non deve tener conto solo del grado d’uso delle tecniche. Da noi puntare sul fundraising politico vuol dire dover scardinare le resistenze che gli Italiani nutrono verso il rapporto tra politica e denaro. Resistenze in gran parte dovute - osservano i ricercatori - alle distorsioni del nostro sistema politico, agli scandali e alla poca trasparenza dei processi di finanziamento dei partiti. Ma anche di resistenze culturali. Non siamo un Paese di cultura anglosassone, luterana. Consideriamo il denaro sempre come qualcosa di sordido o volgare. E perciò non viene riconosciuta la legittimità del connubio tra politica e denaro, che però è di fatto necessario e indissolubile.

Il contesto in cui i partiti italiani si muovono è dunque più complesso. Inoltre, le ingenti contribuzioni di denaro pubblico finora ricevute hanno rappresentato una entrata tale per i partiti che non hanno ancora sentito l’esigenza di impegnarsi in veri e propri progetti di fundraising. Non vi è infatti una cultura adeguata del fundraising politico. In realtà si parla principalmente di raccolta fondi e i principi del fundraising sono raramente adottati in maniera corretta, efficace e professionale. Questo sta avvenendo a livello nazionale ma anche a livello regionale e locale. Sono pochi gli esempi di chi ha istituito o già aveva al suo interno un ufficio fundraising. Eppure gli strumenti da poter mettere in campo ci sono e potenzialmente sono validissimi. Va poi ribadito, conclude la relazione introduttiva alla ricerca che non bastano il fundraising online, le iniziative di crowdfunding, non basta l’organizzazione di una cena oppure qualche evento di raccolta saltuario e non inserito in una strategia di comunicazione politica più ampia. Il fundraising per la politica è una strada da percorrere per accrescere il capitale di risorse e di consenso di un soggetto politico in un’ottica integrata, relazionale e secondo opportune strategie di comunicazione politica. In questo senso, trasparenza, coerenza, accountability rappresentano i pilastri necessari di una comunicazione politica orientata al fundraising, intesa come formula di mobilitazione ri-costruttrice di fiducia. La politica in Italia dovrebbe quindi avvicinarsi sempre di più al fundraising, perché il suo fine non è ottenere la singola donazione, ma costruire il rapporto che nascerà con il sostenitore proprio dopo la prima donazione.

Questo l’auspicio della ricerca. Saranno ora i fatti futuri, la nuova dimensione in assenza di finanziamento pubblico, i comportamenti di politici, amministratori e dirigenti dei partiti e la risposta dei cittadini ad una nuova cultura in questa materia così delicata e così poco considerata, a dare la risposta. Una risposta che può significare una nuova stagione per la politica italiana, o un nuovo passaggio senza costrutto e foriero di ulteriori storture.