Durante la “battaglia del solstizio”, morì un eroe italiano della prima guerra mondiale, Francesco Baracca. Classe 1888, apparteneva all’Arma di Cavalleria del Regio Esercito, per la quale frequentò vari corsi di specializzazione fino a quando, nel 1912, non andò alla scuola francese di pilotaggio a Bétheny, conseguendo il brevetto di pilota n. 1037 nel mese di luglio. All’entrata in guerra dell’Italia, nel luglio del 1915 venne inviato all’ottava Squadriglia da ricognizione e combattimento per effettuare voli di pattugliamento; passò poi alla 70esima Squadriglia caccia per la quale svolse varie azioni, ma sarà solo nell’aprile del 1916 che riuscirà a fare atterrare un ricognitore austriaco che aveva a lungo ingaggiato.

L’azione fu tale che Baracca ricevette la medaglia d’argento al valor militare, avendo realizzato la prima vittoria aereonautica italiana. Ben presto le vittorie cominciarono a piovere, sia individuali che di squadra, e ricevette altre due medaglie al valor militare. Riconosciuto come “asso” dell’aviazione, entrò nel 1917 in un’altra Squadriglia che di assi ne vantava molti: Piccio, Ruffo di Calabria, Aliperta, Costantini, Keller, Sabelli, Perreri, Ranza. Sarà in quel gruppo che iniziò a dipingere sul suo aereo un cavallino rampante, in onore dell’Arma di appartenenza. La madre di Francesco donerà il simbolo a Enzo Ferrari perché portasse fortuna alle auto da corsa dell’ingegnere. Promosso maggiore, aveva all’attivo il maggior numero di vittorie in assoluto, che diverranno in totale 34, ottenute in 63 combattimenti aerei.

Francesco Baracca venne abbattuto da un biplano austriaco che forse aveva avvistato troppo tardi per difendersene, dopo essere partito dal campo di Quinto di Treviso il 19 giugno 1918, volando sul suo aereo di riserva, essendo danneggiato il proprio, per un’operazione di mitragliamento a volo radente sul Montello. Verrà ritrovato il 23 giugno, dal compagno di squadra e dell’ultimo volo Osnago, in località “Busa delle rane”. Il corpo presentava una ferita alla tempia destra. Il funerale ebbe luogo il 26 giugno a Quinto di Treviso; l’elogio funebre venne pronunciato da Gabriele D’Annunzio. Baracca venne sepolto nella sua città natale ravennate, Lugo.

Sono state avanzate delle ipotesi sull’eventualità che Baracca, ormai con l’aereo in avaria, non fosse morto per i proiettili di sharpnel, ma si fosse suicidato con la sua pistola per non cadere in mani nemiche. Il corpo aveva anche ferite al petto, segni di bruciature dovute all’incendio del velivolo che era stato colpito poco dopo il decollo con parecchio carburante nel serbatoio, la pistola fuori dalla fondina. Malgrado l’imperversare della battaglia a terra, la notizia dell’abbattimento fu data dagli austriaci, che pensavano il pilota si potesse essere salvato, ferito, nella selva di alberi dov’era precipitato. Lo stesso re Vittorio Emanuele III pensò ci fossero speranze di ritrovarlo in vita, ma non volle dare risalto, poi, al successo austriaco per motivi propagandistici.