In ogni reggimento di fanteria italiano, a partire dal giugno 1918, venne organizzato un reparto di arditi, novità introdotta anche per i bersaglieri e gli alpini. I reparti d’assalto vennero denominati, ad esempio, “Fiamme nere”, “Fiamme cremisi”, “Fiamme verdi”, che raggiunsero le trenta unità e costituiranno delle unità a sé a disposizione dell’Alto Comando o del Corpo d’Armata.

Un’altra strategia vincente si rivelerà la creazione di una canzone, diventata famosissima, che venne elogiata da Armando Diaz in persona, suggerendo che al fronte la canzone aveva lo stesso valore di un generale. Giovanni Gaeta, divenuto noto per La leggenda del Piave con il nome di E. A. Mario, infatti, aveva scritto un testo capace di rincuorare gli animi e di spronare alla rivalsa. Il morale alto della truppa fu fondamentale per rovesciare le sorti della guerra e la canzone, che evocava vittorie e successi militari, ebbe in effetti un ottimo stimolo sui nostri soldati.

Sempre agli inizi del ’18, gli austriaci persero il supporto delle divisioni tedesche che torneranno sul fronte francese, e manterranno forti problemi di rifornimento fino a maggio, date le difficoltà di movimento; tuttavia il morale era altrettanto alto e la superiorità di fuoco e numerica era di gran lunga superiore alle forze italiane. La superiorità aumentò ancora tra marzo e aprile, quando vennero richiamate sul fronte francese due divisioni inglesi e quattro francesi, riducendo la possibilità di appoggio agli italiani.

Il sistema difensivo italiano intese mantenere un sistema rigido e uno elastico, occupando ogni possibile anfratto naturale e ogni possibile costruzione umana. Ad esempio, casolari isolati, fienili, muri di cinta, siepi, ponticelli, tutto poteva essere utilizzato per piazzarvi postazioni di artiglieria, adeguatamente rinforzato e armato per fronteggiare il nemico e difendere le posizioni, impedendo che la linea del Piave venisse superata. Tutto era attuato in vista di un’altra imponente offensiva austriaca, costretti com’erano i nemici a sfruttare la superiorità numerica prima dell’arrivo delle divisioni americane che si erano ormai formate sul campo e cominciavano a diventare operative. L’esperienza di Caporetto, in questo caso, venne fatta tesoro.

L’offensiva sarebbe stata denominata la Battaglia del solstizio, con obiettivo la linea dell’Adige e il conseguente crollo militare italiano. Voleva dire, infatti, che altri 150 chilometri di territorio sarebbero tornati nelle mani austriache, con conseguente sbando generale dei soldati italiani. Hindenburg, capo di Stato maggiore tedesco, approvò il piano chiedendo di iniziare l’offensiva il più presto possibile. La manovra di attacco a tenaglia voleva ottenere Vicenza, Treviso, il massiccio del Grappa e l’attacco frontale del Montello. L’offensiva doveva essere preceduta con l’attacco a valanga da parte dell’armata comandata da Conrad, su Edolo, in Valcamonica, punto strategico importantissimo. La data dell’attacco venne conosciuta grazie ai servizi segreti e a disertori austriaci: il 15 giugno.

La battaglia del solstizio

L’operazione su Edolo avrebbe dovuto riscattare sia l’affondamento della corazzata Santo Stefano, avvenuta il 10 giugno ad opera dei MAS italiani, e il fallimento austriaco dell’operazione Lawine, quando nei giorni 13 e 14 giugno la prima e la 22esima divisione austriache avevano letteralmente sbattuto contro gli alpini dell’ottavo e del 16esimo gruppo, sul Tonale, con gravissime perdite. Il riscatto italiano sembrava in corso, ma i comandanti austriaci esortavano i loro soldati, certi del successo.

Il tono degli ordini del giorno era chiaro: l’Italia doveva essere punita perché con il suo tradimento stava prolungando la guerra; sconfiggerla avrebbe significato buoni pasti, buoni bottini e la pace. In effetti il 15 giugno 1918 scattò un’imponente nuova offensiva austriaca. La nona armata di Conrad alla sera era già stata fermata sull’Altipiano dei Sette Comuni e sul Grappa, ma sulla riva del Piave si combatteva ancora tenacemente. Gli austriaci erano in numero superiore, con circa 120mila soldati, molte più mitragliatrici portatili e molti pezzi d’artiglieria, mentre gli italiani erano circa 70mila, con circa 500 pezzi di artiglieria in meno.

Tuttavia, la tattica elastica di combattimento, volta a mettere il nemico in difficoltà più che solo combatterlo, ebbe la meglio, grazie anche alle vie di comunicazione venete in buono stato e all’aviazione; questa, sia italiana che dei suoi alleati, era di gran lunga maggiore di quella nemica e si rivelava preziosa per abbattere i palloni frenanti, controllare la situazione dei ponti di barche sul Piave e correggere i tiri di artiglieria, sorvolando le linee nemiche. La linea di fuoco resse e, quindi, la formidabile spallata austriaca venne fermata, tranne che in alcuni settori, dove il nemico creò teste di ponte o occupò paesi, anche con l’uso di gas. L’indomani la battaglia riprese con enormi sacrifici, ritiro di truppe e invio di altre fresche, anche di battaglioni ciclisti.

Il contrattacco della Brigata Sassari, coadiuvata da altri, ottenne la vittoria su due reggimenti che vennero rimandati indietro rispetto le posizioni acquisite sul Piave: i fanti continuarono ad avanzare e in un’ora ripresero Croce. Anche i nemici ebbero rinforzi e rischiarono l’accerchiamento degli italiani che si erano spinti troppo avanti, ottenendo successi in alcuni settori. Il 19 gli italiani si impegnano per liberare dai nemici il Montello con combattimenti furiosi per contrastare i quali l’Austria impiegò la 91esima Brigata Schützen, mettendo freno ad attacchi di panico da parte dei soldati. Gli uomini su entrambi i fronti erano allo stremo, ma gli austriaci avevano avuto la peggio. Poco dopo le sette di sera del 21, l’imperatore Carlo I emana l’ordine di ritirata. Scriverà Diaz il 21 giugno: “[..] La battaglia per ora sosta, ridotta ad azioni locali [..] La nostra compagine è salda, come sicura è in noi la coscienza del nostro diritto e della santità della causa che difendiamo”, mentre gli austriaci scrivevano che il loro insuccesso era molto simile ad un’autentica sconfitta.