La moneta, ora cito Aristotele, non deriva dalla natura ma dalla consuetudine.

(Ezra Pound, Radiomessaggio The Fallen Gentlemen, 1942)

Ezra Pound: un nome da profeta biblico e un cognome che rinvia al peso monetario, alla sterlina. Nel suo nome già contenuto un destino di grande intellettuale, il cui pensiero sociale e spirituale nel contempo si rivela oggi di un’attualità sorprendente. Nomen, omen. I temi culturali e politici che attualmente appaiono centrali: la sovranità, la finanza, il debito, sono stati per cinquantanni argomento di libera e approfondita meditazione e riflessione da parte del poeta americano. Per questo va considerato un profetico filosofo del valore, della genesi del valore, specificamente monetario, ma all’interno di un pensiero sulla vita di estrema libertà e appassionata sincerità.

Perché fu quasi ossessionato dal fantasma della moneta? Un po’ per la genialità intuitiva della sua intelligenza, un po’ per le vicende della sua vita giovanile. Nacque e visse i primi anni a Hailey, nel cuore dell’Idaho, tra grandi praterie e immense foreste attraversate dalle Montagne Rocciose. Un ambiente da far west affascinante. E visse questi anni giovanili nella memoria del nonno, che conobbe, uno degli eroici pionieri di quelle terre sperdute. Il nonno che costruì un tratto di ferrovia americana unendo le forze con un centinaio di boscaioli e inventandosi una loro moneta convertibile in merce (legno, carbone, derrate alimentari): la moneta della Union Lumbering Co. di Chippewa Falls.

Crescendo dovette seguire il padre a Philadelphia, e un giorno andando con lui alla zecca, dove lavorava, vide spalare mucchi di monete fior di conio, come fossero immondizia. Lo stacco dalla natura gli fece scoprire nel modo più alienato l’artificiosità del denaro moderno. Ezra non nascose mai chi influenzò il suo pensiero “economico” (nel senso del oikos nomìa: la Legge della Casa), anzi ricordò spesso nei suoi scritti l’importanza dei contributi di creativi di due economisti alternativi: il maggiore inglese Clifford Douglas e “l’anarchico” tedesco Silvio Gesel.

Il primo elaborò la cosiddetta “teoria del Credito Sociale”, incentrata sul rapporto fra sistema dei prezzi e potere d’acquisto. Da questo pensiero deriva l’idea di un “reddito di cittadinanza” quale “dividendo nazionale”, diritto del cittadino in quanto tale, al fine di sostenere un potere d’acquisto visto come tendenzialmente sempre inferiore al crescere dei prezzi in una società capitalistica da correggere. Un pensiero che ebbe un certo successo politico in Australia, Nuova Zelanda e Canada. Gesel invece si concentrò sul tema degli interessi monetari. Rifiutando l’impostazione marxista provò a pensare un sistema di limitazione della tendenza speculativa e ipertrofica propria del capitale moderno basato sull’invenzione di una moneta complementare “a tempo”, tassata mensilmente con un meccanismo di marca da bollo, in modo da evitare eccessive concentrazioni monetarie e creando una moneta che facilitasse gli scambi, “circolativa”.

Intuizione formidabile, quella di “naturalizzare” e “umanizzare” il denaro rendendolo una merce deperibile e non più la “merce delle merci”. Alcuni comuni tirolesi iniziarono a mettere in prativa le idee di Gesel ma furono ben presto fermati dalla Banca Centrale austriaca. Resta la bellezza dell’Ideale: un denaro di servizio e non più egemonico. Entrambi questi pensatori, apprezzati da Pound, ci fanno capire quale fosse la vitalità culturale e creativa dell’Europa di inizio Novecento. Possiamo considerate Douglas e Gesel esponenti di un socialismo patriottico, corporativo, nazionale. Un pensiero sociale che voleva andare oltre il marxismo di cui si criticava l’utopismo, l’astrattismo e la sostanziale non alternatività reale al capitalismo estremo ed elitario.

Lo stesso Pound conosceva il pensiero di Marx ma lo riteneva limitato solo a un certo tipo di produzione e non decisivo nella riforma sociale in quanto generico ed evanescente in tema di politica monetaria. In pratica il poeta americano ci aiuta ancora oggi a capire perché Marx sia superato, in quanto pretese di eliminare la proprietà per correggere le storture degli eccessi elitari del capitale, mentre Pound scelse di andare alla radice del problema del fallimentare modello liberista (che arricchisce solo gli oligopolisti e impoverisce le masse) occupandosi del problema della moneta.

Quale moneta? Chi decide l’emissione e il valore? Chi ne controlla la circolazione? Ecco i fondamentali della sovranità politica-spirituale di un popolo. Cosa importa se i mezzi di produzione sono privati o controllati collettivamente se la politica monetaria resta elitaria e non vitale? Marx non capì che il plusvalore non deriva solo dall’accaparramento lucrativo della forza lavoro, ma anche e soprattutto dalla potenzialità speculativa e bancocratica della moneta stessa. Eppure anche Marx, come Pound, avevano individuato il “peccato originale della modernità” nella fondazione della prima Banca Centrale: quella inglese, nel 1695.

Il tumore delle Banche Centrali, da cui fu libera l’America fino al 1913; tumore perché il moderno sistema bancario unisce produzione privata del denaro con pubblico indebitamento, sia degli Stati che dei cittadini. Unici creditori eterni: le banche private! Ma Marx peccò di ingenuità e pensava che il potere bancario, pur così pericolo se non controllato dallo Stato, non sarebbe andato oltre le esigenze della produzione industriale. Povero illuso: oggi la Finanza fa a meno del lavoro, precarizzandolo, delocalizzandolo, mercificandolo, e, tra poco del tutto: sostituendolo con un’automazione ipertecnologica estrema, come profetizzò Silvano Agosti nel suo film: N.P: il segreto (1972). Non a caso le nazioni che accettarono il modello comunista divennero forme di “capitalismo di Stato”, sfruttatrici quando le elites bancarie liberiste.

Il tema cruciale e fatale lo capì il nostro ed era il controllo della moneta, non dei mezzi di produzione! Ezra Pound lo possiamo considerare a ragione un profeta e un filosofo di una moneta sovrana, libera, nazionale e democratica, cioè una moneta controllata del potere politico e vista quale strumento collettivo al servizio del bene comune. Una moneta riportata alla realtà ma anche alla sua dimensione di realtà spirituale, sociale e umana. Una moneta de-mitizzata, destituita dal suo status pericoloso di idolo che si autolegittima per asservire ogni altra realtà. Una moneta la cui quantità-circolazione doveva essere equilibrata in rapporto alla crescita reale della produzione e del risparmio. Una moneta-merce, una moneta-lavoro.

Al contrario il dollaro e le principali monete del suo (e nostro) tempo, venivano considerate da Pound quali monete false, pericolose, meramente bancarie, fittizie, e pericolosamente aliene dall’economia reale. Monete quali armi di una guerra infinita. Emesse sempre a debito per i popoli e a credito per i suoi anonimi monopolisti. Andrebbe invertita questa inversione! Non a caso il poeta americano capì tra pochissimi lo stretto legale che sussiste da circa due secoli tra guerre finanziarie e guerre militari in un circolo diabolico tra debito e guerra, come sa chi analizza oggettivamente i due dopoguerra del Novecento. Moneta di popolo contro moneta bancaria, moneta con beni pubblici di riserva contro un’apparente moneta priva di fondamenti che in realtà nella sostanza è solo una falsa cambiale bancaria, strumento e vittima di cicliche operazioni di sfruttamento globale date dall’alternanza artificiosa di abbondanza e scarsità di liquidità.

Non dimentichiamo cosa accadde negli Usa nell’autunno del 1929: il tragico fallimento del sistema liberal-capitalistico quale modello ideologico di deregulation totale. Ancora oggi si aggira lo spettro del 1929. Ancora oggi seguiamo il medesimo fallimentare modello globale, nonostante il recente crollo del 2008: il fallimento di una delle più grandi banche mondiali e nel contempo il crollo del sistema americano di mutui immobiliari regalati in modo incontrollato. Ti ingrasso e poi ti macello! Eccesso di prestiti a cui segue ritiro della liquidità! “Il 99% non sa che la deflazione, la contrazione di valuta, è pianificata” (Radiomessaggio Fetish, 1943).

Simile, anzi assai peggiore, la situazione attuale rispetto al 1929, tra crisi di liquidità e crescita patologica di una “bolla finanziaria” che eccede in modo stratosferico la differente e scarsa crescita dell’economia reale, nonostante lo sfruttamento lavorativo di massa in mezzo mondo e le tecniche di falsificazione dei dati e del mercato nell’altra metà del mondo (metà di mondo ahimè sempre più simili patologicamente). Per tali ragioni il pensiero poundiano appare di vitale preziosità e di massima utilità. Il poeta americano si rifà al sano pensiero di Jefferson, John Adams, Martin Van Buren, fino a Lincoln: il meglio dell’America patriottica e costituzionale, per la quale la moneta è del popolo e non delle banche. L’America della Pensylsania del 1750 che iniziò a battere una sua moneta collegata alle riserve d’argento, poi messa al bando dall’Impero finanziario britannico. Pound è diretto erede dei primi americani, che erano convinti che battere moneta fosse un diritto del popolo americano e anche delle sue comunità locali e territoriali. Una moneta che avesse una garanzia in beni naturali, pubblici. Anzi un sistema a più monete, connesse con le riserve auree e argentifere collettive. “Il valore deriva dal lavoro e dall’abbondanza dei beni naturali” (Dal naufragio di Europa, Neri Pozza).

Ecco uno dei caposaldi del suo pensiero classico e aristotelico, confuciano e francescano, rinascimentale ed enciclopedico. Pound amava molto il carteggio fra Jefferson e Adams, da lui ritenuto un bene culturale, un monumento nazionale. In questo carteggio la preoccupazione di Jefferson era quella di ridurre al massimo le tasse, di spostare il peso fiscale dalla produzione e dalla proprietà, sacre, al denaro stesso. Tassare il denaro! Geniale intuizione! Creare un circolo virtuoso fra emissione pubblica del denaro e tasse quali pegni per una programmazione di pochi anni entro cui il debito andava saldato. Mai debiti oltre 19 anni! L’unico “debito” ammissibile doveva essere espressione di un’alleanza collaborativa tra Stato e suo Popolo. In questa logica il denaro appariva “titolo e misura”, simbolo di una collaborazione fra comunità e cittadini, segno di un “credito misurato”, “promessa di un pagamento”, strumento come il sangue: di circolazione, non di accaparramento e sfruttamento. Il denaro quale “misura del prezzo” e “certificato di un lavoro eseguito”(Lavoro e Usura. Tre saggi, All’insegna del Pesce d’oro, 1953).

A un controllo pubblico e politico dell’emissione e della circolazione (oggi monopolio dell’idolo crudele dei “Mercati” e dell’elites bancocratica) doveva corrispondere un controllo pubblico dei prezzi delle merci fondamentali. Per Pound la terribile crisi del 1929, peggiorata dai debiti di guerra, fu una crisi di liquidità e non di sovrapproduzione. Una crisi di eccesso di finanza finta in rapporto a salari eccessivamente bassi e prezzi in crescita. Per Pound è lo Stato che deve prestare, essere garante e creditore non un sistema bancario lucrativo (per se stesso) e incontrollato che indebita Stati e cittadini!

L’idea fu già di Mazzini nei Doveri degli Italiani, quando teorizzò pubbliche riserve di beni (grano, legno, sementi, ecc.) quale garanzia reale per monete temporanee popolari. Pound non fa solo un ardente patriota americano, amante di Jefferson e di Lincoln ma anche un grande studioso universale. Studiò con passione e senso del reale tutta la storia che poteva essere utile per pensare un mondo differente, una società nuova: il Quattrocento italiano con le sue nuove banche e i Monti di Pietà, la Cina Imperiale, che inventò la cartamoneta prima di tutti e controllava il mercato privato dell’oro e delle pietre preziose, la discussione politica dei primi decenni degli Stati Uniti d’America, quando non c’erano debiti né banche centrali monopoliste, il pensiero cattolico medioevale contro l’usura e sul tema del giusto prezzo (Riccardo di San Vittore, San Bonaventura, Sant’Ambrogio, San Bernardino da Siena, l’arcivescovo giurista Antonino Pierrozzi).

Ma le radici più antiche del suo logos sono etiche e le troviamo in Aristotele e in Confucio, pensatori che Pound sente eticamente vicini tra di loro e con se stesso per i loro valori di equilibrio, di socialità, di servizio e di “giusto mezzo”. Lo Stato quale cuore del “corpo sociale”. Come cuore il regola e mantiene la circolazione, così una nuova etica pubblica dovrebbe equilibrare produzione e prezzi, moneta e credito. Se filosofo significa avere una “visione d’insieme”, un pensiero che accoglie la complessità indirizzandola verso un’idea di unità e di totalità, che oggi abbiamo perso, Pound è uno dei maggiori filosofi del Novecento, il secolo che più soffrì la perdita di una visione d’insieme. Il suo pensiero appare oggi ancora più di allora un potente antidoto naturale contro ogni deviazione ideologica, per una cultura viva, organica, spirituale quanto sociale. Profeta nel ritenere possibile una giornata lavorativa di 5 ore (già cento anni fa), un reddito di cittadinanza (all’interno di una moneta nazionale, sovrana e democratica) che sorreggesse il potere d’acquisto e la domanda, e profeta nel prevedere la crescita globale delle civiltà dell’estremo oriente, grazie alle energie spirituali del linguaggio ideogrammatico da lui amato e studiato.

L’attuale Presidente del Consiglio, il prof. Giuseppe Conte, nel suo discorso per la fiducia alla Camera dei Deputati ha accennato coraggiosamente all’esigenza di “ripensare il Capitalismo”. Ebbene questo ripensamento, necessario, è possibile e utile solo recuperando e valorizzando il pensiero vitale e creativo di Ezra Pound, ancora oggi decisivo.