È tipico del giustizialismo essere senza giustizia e dell'allarmismo diffondersi in assenza di allarmi; perché non dovremmo avere, allora, un populismo senza popolo? Queste sono le parole di Stefano Bartezzaghi in un recente articolo su Repubblica.

Ma analizziamo il termine "populismo": Movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia tra l’ultimo quarto del sec. XIX e gli inizi del sec. XX; si proponeva di raggiungere, attraverso l’attività di propaganda e proselitismo svolta dagli intellettuali presso il popolo e con una diretta azione rivoluzionaria (culminata nel 1881 con l’uccisione dello zar Alessandro II), un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, specialmente dei contadini e dei servi della gleba, e la realizzazione di una specie di socialismo rurale basato sulla comunità rurale russa, in antitesi alla società industriale occidentale. Più recente: forma di prassi politica, caratterizzata da un rapporto diretto tra un capo carismatico e le masse popolari (Treccani).

In sostanza la partita, come si evince, è giocata su due fronti: il capo carismatico da una parte e il popolo dall'altra. Come si instaura quindi questa interdipendenza dell'uno verso l'altro, come riesce il leader a convincere e a farsi seguire dalla massa popolare? Cosa fa leva nel popolo tanto da consegnare le sue aspettative nelle mani di una persona che lo rappresenti totalmente?

Sigmund Freud pensava che le folle, che noi chiameremo popolo, e quindi le collettività che lo compongono, non sono tenute insieme da un fenomeno di tipo ipnotico di suggestione ma di un investimento libidico nei confronti di una figura amata e temuta quale è il padre come per i bambini piccoli, i quali lo adorano, lo sentono onnipotente, lo temono molto, ma al contempo si sentono protetti. Per amore di questo capo idealizzato i seguaci si amano l'un l'altro ma se perdono la fede in lui cessano di essere una folla e si disgregano. È quindi grazie a questa arrendevolezza consapevole verso una figura che il popolo sente protettore e chiarificatore dei suoi dubbi, oltre che portatore di quella forza combattiva verso le ingiustizie, che la massa si consegna al leader di turno. Quella consegna arrendevole che Calamandrei descrisse come desistenza contrapposta alla resistenza che domina e contraddistingue la scena del populismo.

Calamandrei difatti, disse: “Aver ritrovato dentro noi stessi la dignità dell'uomo. Questo fu il significato morale della Resistenza: questa fu la fiamma miracolosa della Resistenza... si dice che la guerra partigiana si distingue da tutte le altre guerre perché fu una guerra fatta interamente da volontari, ma non si dice tutto. Essa fu qualcosa di più: un'adunata spontanea e collettiva: un movimento di popolo, una iniziativa di popolo”, diremo noi fu la riscoperta della dignità dell'uomo.

Parole quelle del giurista, del 1946, ma valide tuttora perché la dignità e la sua ricerca sono situazioni senza tempo “...sotto la morsa del dolore o sotto lo scudiscio della vergogna, gli immemori, gli indifferenti, i rassegnati hanno ritrovata dentro di sé, insospettata, una lucida chiaroveggenza: si sono accorti della coscienza, si sono ricordati della libertà. Questo improvviso sussulto morale è stato la ribellione di ciascuno contro la propria cieca e dissennata assenza: sete di verità e di presenza, ritorno alla ragione, all’intelligenza, al senso di responsabilità”.

Il pericolo è in noi, adesso potremmo dire che l'oblio di ciò che è stato dettato dalla intransigenza di chi non crede più a quello che i delitti della storia sono stati, a chi invece tra gli intelligenti prova disgusto per questo reiterarsi dell'assenza di coscienza e dalla perdita del significato di resistenza ne trae di conseguenza una sfiducia verso la società e decide di lasciare la politica ai politicanti. “... in questa facilità di oblio, in questo rifiuto di trarre le conseguenze logiche della esperienza sofferta, in questo 'riattaccarsi con pigra nostalgia alle comode e cieche viltà del passato', oppure dall'arrendersi alla possibilità che possa esserci un risveglio della voglia di contribuire ed essere partecipi con coscienza della società, all'essere ingranaggi di un sistema che rimetta in moto gli stessi valori che spinsero volontariamente uomini e donne alla resistenza, da tutto questo nasce la desistenza.

Ed è proprio questa desistenza calamandreiana che spinge le masse a consegnare le proprie doglianze e insofferenze a chi per loro può rappresentarle con forza e determinazione. In tutta questa perdita di interesse alla partecipazione diretta, si demanda alla figura forte, che come abbiamo letto nelle parole di Freud simboleggia inconsciamente il grande padre.

Questa figura che si auto individua per capacità vere o da lui presunte si mette a capo inizialmente di piccoli gruppi di persone che condividono le stesse problematiche e aumenta in modo esponenziale la sua capacità collante di individui. Si nutre di consensi i quali alimentano la sua foga comunicativa, sempre più ampia ed efficace, una forza che alimenta le masse scontente, le aizza contro i vecchi poteri tiranni che le hanno ridotte in quella situazione, e in questi vecchi poteri si riversa la voglia di ribellarsi ad essi, scegliendo la figura che rompe gli schemi negativi, a cui si affida ciecamente il compito di andare e cambiare, ecco che la figura che incarna l'eroe del popolo è matura. Ma qual è la natura di questo eroe?

Così come la scoperta dell'energia nucleare fu una sensazionale opportunità di apportare al mondo vantaggi immensi, ma che nascondeva la più grande minaccia di distruzione umana, così la forza che un popolo scontento e deluso consegna a una persona che investe come suo leader è potenzialmente benefica e distruttiva.

Il populismo nasce da questa radice ma ancora più angosciante è quando invece nasce da un virtuale consenso privo di un reale coinvolgimento delle masse. In sostanza, tornando all'incipit di questa riflessione e cioè allo scritto del prof. Bartezzaghi, il pericolo deriva da un plagio mentale che attraverso i social network può essere esercitato, ossia, il promotore di una idea la lancia in rete e attraverso i “like” annovera consensi, a questo punto egli diventa una forza centripeta di attenzione alle sue concise, brevi ed efficaci parole, messaggi penetranti, idee virali, insomma il mago della comunicazione conosce i modi e i ritmi di innesco dei consensi e in poco tempo diventa un opinion leader capace di muovere masse di persone. Populismi che sono nati o che si sono alimentati dai media ne abbiamo conosciuti tanti. Pertanto attenzione a chi in modo samaritano si accolla il fardello dei nostri problemi sia attraverso il consenso delle piazze che dei social.

In sostanza la storia insegna che mai dovremmo affidare le nostre aspettative e la nostra vita a una persona, ma dovremmo risevgliare quella forza che è innata dentro di noi, la forza di riaffermare la propria dignità, perché ciascuno di noi è “res pubblica” e soltanto in voce corale, attraverso una partecipazione diretta, attiva, volontaria e determinata dovremmo essere resistenza a ciò che riteniamo ingiusto.