Nel momento in cui scrivo queste righe è già chiaro che la Commissione Europea non lascerà passare la “manovra italiana” e farà diventare operativa la procedura d’infrazione con tutte le pesanti conseguenze del caso. Lasciamo da parte, per il momento, l’esame delle conseguenze di una tale scelta. Io penso che sia una decisione che contribuirà allo sfascio dell’Europa. L’Italia è un paese troppo importante per poter essere trattato come la Grecia. Le sue dimensioni innanzi tutto, il suo Pil, ma anche la sua storia, di paese fondatore di questa Europa: basterebbe questo per dire che a Bruxelles stanno sbagliando tutto.

Ma, come dovrebbe essere noto, c’è di peggio. L’attuale governo giallo verde continua a mantenere un alto livello di consenso. Cosa senza precedenti. Nonostante tutte le sue debolezze, di cui in questo contesto non intendo occuparmi. Ciò significa che la rottura che si determinerà non sarà tra la Commissione e il governo italiano, ma sarà invece tra la maggioranza degli italiani e le strutture centrali europee. Gli effetti diretti sono imprevedibili, ma una cosa è certa: ci sarà un “effetto contagio”. E molte cose inducono a pensare che un tale effetto sarà molto più rilevante del terremoto provocato da Brexit. Per giunta a un passo dal voto europeo del prossimo maggio.

È possibile che, in prima battuta, l’operazione di Bruxelles abbia successo. Nel senso precipuo di cui si intravvedono i contorni: il governo Conte, temendo ripercussioni di paura, alla creazione delle quali tutto il mainstream unanime è impegnato allo spasimo, dovrà battere in ritirata, “ritoccando” la manovra, correggendo i decimali, rinunciando qua e là a pezzi di programma, privatizzando i gioielli di famiglia per 18 miliardi. Ma non sarà sufficiente. I mercati, “spaventati” da Bruxelles, dalle agenzie di rating, dai cavalli di Troia interni, procederanno nella “vendetta” contro l’insubordinazione italiana.

Staremo a vedere se gli italiani si spaventeranno e ritireranno la fiducia al governo e se Conte (cioè Salvini e Di Maio) farà come Tsipras. Ma, per ragioni diverse, con effetto convergente, è chiaro che sia Salvini (sulla cresta dell’onda) che Di Maio (preoccupato di non esserci mai stato e di non poterci essere) lancino insieme l’accusa a Bruxelles di impedire al governo di realizzare il mandato degli elettori ricevuto il 4 marzo, e insieme decidano di andare a nuove elezioni.

In tal caso le sorprese potrebbero essere molte e catastrofiche: per Bruxelles, per l’euro, per lo stato-neanche-troppo-profondo che è all’opposizione senza se e senza ma contro questo governo. Prima di tutto perché non esiste una vera opposizione in grado di prendere le redini di un governo alternativo. In secondo luogo perché Mattarella, presidente “europeo”, proprio per questo fatto, sarebbe impossibilitato a fare un “proprio” governo — cioè un governo del presidente — e sarebbe costretto a indire nuove elezioni, di cui Salvini certamente e forse anche Di Maio potrebbero avvalersi per confermare quanto dicono i sondaggi: che la stragrande maggioranza è dalla loro parte.

A questo punto la “trattativa” con l’Europa assumerebbe i contorni di una rottura plateale. Il fatto è che le ombre sono state diradate all’improvviso, le nebbie spazzate via, ogni incertezza eliminata da una dichiarazione di Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europa, che, parlando in audizione di fronte alla Commissione Affari Economici e Monetari di Bruxelles, ha spiegato al colto e all’inclita che è lui il deus ex machina che decide. Il resto, le schermaglie verbali, le intenzioni e le promesse sono tutte chiacchiere che lasceranno il tempo che hanno trovato.

L’"indipendenza" della Banca Centrale dai governi dei paesi, e perfino dalla Commissione — dogma assoluto imposto dal neo-liberismo assoluto — è apparsa in tutta la sua fulgente imponenza. Tagliando le ali, in anticipo, prima ancora che prendesse il volo, all’uccello peregrino di una possibile moneta alternativa che potrebbe essere creata dal governo italiano (e magari da altri imitatori) per fronteggiare i suoi impegni di fronte agli elettori, senza aumentare il debito pubblico. Il riferimento indiretto (mai Draghi si abbasserebbe a discutere pubblicamente di tali, infimi dettagli) è stato all’ipotesi di una emissione di “certificati di credito”, con circolazione esclusivamente interna a uno Stato. Ipotesi avanzata da un gruppo di economisti, guidato da Alberto Micalizzi e Stefano Sylos Labini, ma anche altri, e perfino, si dice, da esponenti di spicco del governo italiano.

Parlando ex cathedra, a chi gli chiedeva cosa potrebbe succedere se alcuni Stati decidessero di stampare una moneta propria, Draghi ha risposto con inconsueta durezza: “Altre valute o non sono legali o non solo valute, quindi costituiscono un debito e vanno ad aumentare lo stock complessivo del debito”. Affermazioni che indicano invece una elevata concentrazione di nervosismo. In primo luogo perché non esiste legge, nemmeno europea, che impedisca a uno Stato membro di prendere una tale decisione. In secondo luogo perché, se la BCE è indipendente dai governi, anche gli Stati conservano una propria indipendenza dalla BCE. In terzo luogo perché è tutto di dimostrare che una moneta succedanea creata da uno Stato, per usi interni, costituisca un “debito” dello Stato verso i mercati esterni. Semmai costituirà un debito dello Stato verso i suoi cittadini. Ma che essa contribuisca ad aumentare lo “stock complessivo del debito” è cosa da dimostrare, anche se, prima di tutto, Draghi dovrebbe spiegarci cosa è lo “stock complessivo del debito”.

Infine ci sarebbero diversi paesi membri dell’Unione attuale che avrebbero ragione di essere offesi sentendo dire che “altre valute o non sono legali o non sono valute”. Che ne diranno, per esempio, i polacchi, che comprano, vendono e scambiano gli zloti? Ma il significato è chiaro: non provateci neppure perché ve lo impediremo. Draghi è il nuovo Imperatore, e con l’Imperatore ogni trattativa è impensabile. Dunque la sovranità degli Stati non esiste più. Ma i popoli esistono ancora. Come fare a mettere loro il silenziatore?