Il 23 marzo 1919, nei locali presi in affitto al Circolo dell’Alleanza Industriale in Piazza Sansepolcro a Milano, nascono ufficialmente i Fasci Italiani di Combattimento, ad opera di Benito Mussolini. Questa la ricostruzione storica che viene ritenuta più accettabile. Tra i simboli, il fascio littorio che si rifaceva alla storia dell’antica Roma; gli stessi membri del neonato gruppo politico erano riconoscibili per una fascia gialla e rossa, come i colori di Roma, mentre gli appartenenti semplici, che ben presto vennero chiamati squadristi, erano individuabili per una striscia rossa al polsino della camicia.

Il gruppo ebbe ben presto molti aderenti, tra i quali soprattutto reduci di guerra, con l’apertura di varie sedi in tutta Italia. Il Manifesto politico venne elaborato nei mesi successivi e aveva tra le sue righe ideali di riforme politiche e sociali, soprattutto l’agognata riforma agraria che era alla base delle promesse fatte per il patto di unità nazionale che aveva portato alla vittoria di Vittorio Veneto, ma che erano state disattese per l’impraticabilità di realizzazione. Tra gli scopi principali si riconosceva poi la necessità di fermare l’avanzata del bolscevismo, visto come spauracchio agitato a seconda delle esigenze, soprattutto dinanzi agli scioperi, agli scontri e alle agitazioni che animeranno quello che verrà chiamato ‘biennio rosso’.

Le proteste per il carovita, la necessaria faticosa ricostruzione, la mancanza di lavoro originata dalla perdita del potere d’acquisto, la disoccupazione conseguente alla riconversione industriale postbellica, avevano reso, infatti, la situazione italiana complicata ed esplosiva. La situazione economica, dunque, era gravissima, con un deficit passato da 214 milioni a 23.345 milioni, mentre la mancanza del controllo internazionale sui cambi, concordato tra gli alleati, aveva mandato la lira a tracollo irrimediabilmente.

Si guardava al bisogno di una realtà politica che rappresentasse la classe moderata, mettendo ordine dove sembrava non essercene. E il timore di avere anche in Italia la scomparsa della monarchia su chiave russa, annientata dalle proteste popolari (ricordiamo che in Russia la famiglia imperiale era stata assassinata) e, soprattutto, la sparizione della proprietà privata, impensierivano non poco sia i proprietari terrieri e industriali, che la piccola media borghesia.

Gli scontri tra gli adepti dei Fasci di combattimento e i membri del Partito Socialista si ripeterono e l’attività antisocialista si delineò chiaramente quando venne incendiata la sede del giornale socialista Avanti!, che era stato diretto dallo stesso Mussolini. I Fasci convogliavano quello spirito nazionalistico che era diventato imperante dopo Caporetto e che non accennava a disperdersi, anzi, fungeva da collante per molti, nel tentativo di fare qualcosa ancora per il Paese.

I Fasci rispondevano forse al meglio alle ambizioni di Mussolini, come venivano delineate dall’ispettore generale di Pubblica Sicurezza Giovanni Gasti, in un lungo rapporto inviato a Giovanni Giolitti. Scriveva Gasti che Mussolini era animato dalla convinzione di rappresentare una notevole forza nei destini d’Italia, forte dell’esperienza avuta proprio alla direzione del giornale socialista dove, come affermavano in tanti, nessuno meglio di lui era stato capace di comprendere e interpretare l’anima del proletariato. La fondazione dei Fasci sembrò dare al suo fondatore un nuovo punto fermo, dal momento che la vittoria italiana e la conseguente fine del conflitto lo trovarono assolutamente impreparato, essendo convinto che alcuni mesi di guerra sarebbero stati necessari ancora.