L’attenzione dell’opinione pubblica è quotidianamente deviata sui veri o presunti inadempimenti contrattuali dei due partiti di governo, ma il contratto rimane ancora valido solo ai limitati fini di proseguire più a lungo possibile la spartizione degli incarichi e il raggiungimento di effimeri traguardi normativi, tutti finalizzati alla acquisizione di ‘punteggi’ da spendere nella incessante e ossessiva campagna elettorale che caratterizza la presente, infelice, stagione politica. Intanto, nella disattenzione quasi generale, prosegue il progetto di realizzazione a breve termine della cosiddetta ‘autonomia differenziata’ delle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, progetto assai caro alla Lega e non da ora. Gli osservatori più attenti, i costituzionalisti e gli storici, tuttavia, guardano con preoccupazione a un progetto che rischia di introdurre una forma di ‘secessione silenziosa’ delle regioni settentrionali più ricche in danno del resto d’Italia.

Si parla apertamente di un rischio concreto di fine dell’unità nazionale, dello Stato così come lo abbiamo vissuto e conosciuto sino ad oggi, e forse anche, della stessa idea di nazione italiana, nella sua identità unitaria, di lingua, di cultura, di condivisione del patrimonio comune, quanto meno formale, di diritti da parte di tutti i cittadini, a prescindere dai territori in cui nascono e vivono e delle differenze economiche e sociali, che li contraddistinguono. La prestigiosa rivista di geopolitica Limes, nel suo ultimo numero monografico Una strategia per l’Italia, ha raccolto queste preoccupazioni, ha individuato pericoli e rischi, sia nell’editoriale del suo direttore, sia in una serie di articoli che affrontano il problema sotto diverse angolazioni, con ricchezza di dati e argomentazioni.

Prima di soffermarci, sia pure nella difficoltà di avere un quadro di conoscenza compiuto sui contenuti della riforma, quadro complicato dalla divergenza di richieste avanzate da ciascuna delle tre regioni, (spinte al massimo quelle del Veneto, ancora generiche quelle della Lombardia, moderate quelle dell’Emilia-Romagna), e sulla sua compatibilità costituzionale con l’art. 5 della Costituzione che definisce la Repubblica “una e indivisibile”, sarà utile tentare, sia pure in sintesi, di rinvenire i precedenti storici e politici dei progetti separatisti che hanno percorso il nostro paese, dei quali protagonista assoluta è stata la Liga Veneta prima (definita “la madre di tutte le Leghe”) e subito dopo la Lega Lombarda.

Entrambe nascono tra la fine degli anni ‘80 e i primi degli anni ‘90 del secolo scorso, ma la loro presenza sulla scena politica nazionale si impone in coincidenza con la stagione di Mani Pulite e la fine della Prima Repubblica. Il progetto separatista diviene la loro ragion d’essere, l’ideologia dominante, perseguita con accenti che irridono con disprezzo all’unità nazionale, alla bandiera tricolore, a Roma ladrona, ai meridionali. L’ideologo di riferimento fu il professore Gianfranco Miglio, politologo e giurista, che prefigurava per l’Italia la divisione in tre grandi macro aree, il Nord (la Padania), il Centro (Etruria) e il Sud (Mediterraneo). Solo la prima avrebbe avuto i requisiti per stare dentro l’Europa unita, le altre due sarebbero state abbandonate al proprio destino di inefficienza, di ritardo economico e culturale. Per il Sud, Miglio pensava a una integrazione con i paesi della sponda sud del Mediterraneo e in particolare con la Libia. Quale dovesse essere l’assetto costituzionale del Sud, Miglio ebbe l’onestà intellettuale di rivelarlo con franchezza in una intervista rilasciata nel 1999 a Il Giornale. In quella intervista egli affermò di essere: “Per il mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”. Fu nel corso di quella stessa intervista che ebbe a dichiarare: “Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica”. Non poteva essere più chiaro.

Quei progetti furono accolti con entusiasmo da ben altri poteri illegali, che per motivi in parte diversi, ma per altri coincidenti, avevano di mira progetti eversivi che puntavano alla distruzione della Repubblica democratica e la creazione di propri stati. Stiamo parlando di Cosa Nostra, in testa al fronte mafioso, e della destra eversiva di Avanguardia Nazionale e delle forze ad essa collegate che avevano avuto un ruolo di primo piano nella strategia della tensione degli anni ’70 e nelle stragi che caratterizzarono gli anni di piombo della nostra Repubblica. Sia l’una che l’altra non potevano proporsi come soggetti politici e ravvisarono nella formazione di Leghe sul modello padano la possibilità di partecipare e rafforzare il progetto di Miglio e Bossi. Nacquero, in tutte le regioni d’Italia, negli anni tra il 1991 e il 1994, circa settanta formazioni politiche con il nome di Lega seguito da quello del territorio; altri presero il nome di singole regioni seguite dall’aggettivo Libera (Calabria Libera, Sicilia Libera, Campania libera ecc.). Altre Leghe raggruppavano ambiti territoriali più vasti (Lega Centro, Lega Sud, Lega Mediterranea).

La fonte giudiziaria alla quale si attingerà al fine di dare conforto sicuro alla presente ricostruzione, è costituita da un documento di straordinario interesse, quale la richiesta di archiviazione formulata in data 21 marzo 2001, dal Procuratore della Repubblica di Palermo, nel processo ‘Sistemi criminali contro Licio Gelli+13’.

Si apprende così che il progetto separatista aveva centrali occulte come la CIA, la Massoneria di Licio Gelli, interessi di organizzazioni criminali internazionali, grandi trafficanti di stupefacenti, imprenditori, politici. Il progetto venne esposto con chiarezza dal collaboratore di giustizia, il siciliano Leonardo Messina, nel corso dell’audizione resa in data 4 dicembre 1992 davanti alla Commissione parlamentare antimafia, all’epoca presieduta da Luciano Violante. Troppo lungo sarebbe riferire i contenuti di quelle dichiarazioni, di grande interesse investigativo e storico, peraltro accessibili negli atti della Commissione, basterà ricordare che Messina riferì che con le stragi Cosa Nostra aveva perseguito il progetto di farsi Stato essa stessa, essendo stanca di servire lo Stato, e i suoi alterni atteggiamenti nei suoi confronti. Il progetto faceva capo alla Massoneria e a centrali politiche e imprenditoriali non solo italiane. Dichiarazioni che confermavano quelle rese, a febbraio 1992, da Elio Ciolini al giudice istruttore di Bologna, con le quali preannunciava l’inizio della stagione delle stragi, sulla base di decisioni assunte all’estero dagli stessi poteri occulti menzionati da Messina.

Da non trascurare il ruolo della destra eversiva nel progetto separatista delle Leghe e delle mafie italiane. D’altra parte, come ho documentato nel saggio ‘Ndrangheta e destra eversiva, sin dalla rivolta per Reggio capoluogo del 1970, la ‘ndrangheta reggina si unì ad Avanguardia Nazionale di Stefano delle Chiaie e a Ordine Nuovo di Pino Rauti, rapporto mai interrotto (un episodio illuminante fu l’ospitalità offerta nel 1979 dalla ‘ndrangheta reggina al noto terrorista Franco Freda, favorendone poi l’espatrio verso il Costarica, ove poi venne arrestato. Ed è proprio nei primi anni ‘90 che quel rapporto venne arricchito con la partecipazione diretta dell’eversione di destra ai progetti leghisti.

Quando ancora le stragi del ’92-’93 erano lontane (19 settembre 1991), si costituiva il movimento, di stampo leghista, Calabria Libera. La data è significativa perché precede quella della riunione o delle riunioni tenute tra la fine del 1991 e febbraio 1992, nelle campagne di Enna, nel corso delle quali era stata messa a punto sia la strategia stragista, sia l’adesione al progetto separatista. E ancora prima (1990) era stata costituita a Reggio Calabria la Lega Sud Italia, di cui era presidente Giuseppe Schirinzi (anch’egli in passato militante di Avanguardia Nazionale). Al fine di sostenere il progetto politico della Lega Sud, venne creata un’emittente televisiva nuova di zecca, Tele Radio Gamma srl, registrata presso il Tribunale di Vibo Valentia in data 23 marzo 1991, con sede in locali già sede di una scuola professionale, e concessi, non si sa se in locazione o a titolo gratuito, dal Comune di quella città. Editore e proprietario era Giancarlo Marasco, in stretti rapporti di amicizia con Stefano Delle Chiaie, mentre direttore responsabile era Mario Tilgher, di Ordine Nuovo, padre di Adriano Tilgher, di Avanguardia Nazionale.

Seguì, a distanza di circa due anni, l’8 ottobre 1993, la costituzione a Palermo del movimento Sicilia Libera su input diretto di Leoluca Bagarella, componente della Cupola di Cosa Nostra. Un rapporto, quello tra destra estrema ed esponenti della Lega, fatto da innumerevoli episodi, che da soli occuperebbero un intero volume e non solo un articolo. Da citare, a titolo esemplificativo, l’appello rivolto dall’esponente leghista Mario Borghezio a Stefano delle Chiaie, in occasione della due giorni organizzata per ricordare l’anniversario della fondazione di Avanguardia Nazionale, a unirsi alla Lega per guidare la “rivoluzione nazionale” avviata dalla Lega Nord. Quanto al presente, il recente libro dei giornalisti Tizian e Vergine di Repubblica Il libro nero della Lega documenta i rapporti economici e politici che intercorrono tuttora tra la Lega di Salvini e Casa Pound.

La ricostruzione che precede, oltre a offrire un modesto quanto sintetico contributo di conoscenza sulla recente storia politica del nostro Paese, indica al contempo su quali fondamenta si inserisce l’attuale versione soft del progetto separatista della Lega. Un progetto che da solo mostra l’ambiguità del programma di questo partito e del suo attuale leader. Egli, da una parte, afferma di volere superare la dimensione territoriale della obsoleta Lega Nord per fondare un partito nazionale in grado di rivolgersi agli elettori dell’intero Paese, per rappresentarne non solo le esigenze di sicurezza, ma anche quelle di sviluppo economico e sociale, e contemporaneamente porta a compimento l’antico e mai sopito progetto separatista delle regioni ricche a danno di quelle del Sud, condannate a subire una ancora più accentuata differenziazione rispetto a quelle del Nord. Si può capire, con molta difficoltà, la servitù volontaria per esigenze di sicurezza, ma sino a un certo punto, altrimenti siamo al suicidio.

E non è solo, si badi, una differenziazione di tipo economico, ma, peggio, della possibilità di godimento di diritti inviolabili di ogni cittadino, tra i quali quello al lavoro, alla salute, all’istruzione. Nascere al Sud, adesso, ma ancora più in futuro, costituisce, solo per questo, una deminutio di diritti civili, di dignità, di partecipazione, tale da renderli “diversamente cittadini”. Un tradimento dell’impegno che la Costituzione, all’art. 3 ha assegnato alla Repubblica di rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale alla “effettiva” e non solo formale eguaglianza di tutti i cittadini. Non va dimenticato poi che allo sviluppo del Nord, il Sud ha contribuito in maniera determinante in molti modi: “Il risparmio meridionale è impiegato dal sistema delle grandi banche (ormai tutte del Nord) per finanziare investimenti più sicuri e più redditizi” e per converso, nel solo 2017, la “domanda meridionale” di beni di consumo e di investimento prodotti nel Centro-Nord ammonta a 186 miliardi di euro, circa il 14% del PIL nazionale (Limes 2/2019).

E fosse solo questo. Il Nord si arricchisce da plurimi fenomeni migratori provenienti dalle regioni del Sud. Le migrazioni “sanitarie”, dettate dalle necessità di ricoveri in ospedali delle regioni settentrionali, per le quali la Regione Calabria versa alla sanità lombarda oltre trecento milioni di euro all’anno; le migrazioni giovanili verso le Università (quelle milanesi in particolare), con il carico di spese per tasse scolastiche, affitti di alloggi, mantenimento in generale, a tutto beneficio dell’economia di quella città; le migrazioni economiche per la ricerca di lavoro nelle fabbriche, nelle attività commerciali, ma anche negli studi professionali, negli ospedali, nelle aziende, tutte strutture che vengono a usufruire gratuitamente dei costi di formazione rimasti a carico delle famiglie del Meridione. Chiunque abbia un minimo di esperienza, sa bene come i migliori professionisti, sanitari, ingegneri, tecnici, sono, guarda caso, di origine meridionale, soprattutto calabrese, per non parlare delle amministrazioni statali e degli uffici giudiziari. Nell’arco di circa un decennio la popolazione calabrese si è ridotta da due milioni abitanti a un milione e seicentomila e lo spopolamento continua anno dopo anno. Tutte risorse sottratte alle regioni più povere, per sovvenzionare quelle più ricche.

Il miracolo economico del dopoguerra ha toccato anche il Meridione solo perché il regime di economia mista, assicurato dalla Cassa per gli interventi straordinari per il Mezzogiorno, l’IRI e le imprese a partecipazione statale, assicuravano investimenti pubblici, per non parlare delle opere infrastrutturali, come l’Autostrada Salerno-Reggio Calabria. L’introduzione della riforma regionale del 1970 ha provocato una prima forte differenziazione, essendo venuta a mancare la gestione unitaria delle amministrazioni statali che assicurava standard di intervento omogenei, per poi subire una forte accelerazione dopo la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, con particolare riguardo alla spesa e alla gestione della sanità.

Chiudiamo con le parole dello storico delle mafie e meridionalista Isaia Sales (Limes 2/2019): “Una nazione è tale se permette a tutti i suoi cittadini di cambiare le condizioni sfavorevoli in cui sono nati e vissuti. Non lo è più quella che rende eterne le condizioni di partenza. Per questi motivi l’autonomia differenziata si qualifica come vero e proprio razzismo territoriale. Il nazionalismo territorializzato è il vero e originale contributo dell’Italia a questi tempi bui”.