La Lega di Matteo Salvini, anche agli occhi del più sprovveduto o distratto degli osservatori, è lontanissima da quella degli esordi, da quel partito che, con Umberto Bossi, seppe muovere i primi passi nella politica italiana, grazie a una ideologia che, seppure non raffinata nei modi, aveva il pregio di avere obiettivi chiari, inequivocabili, delineati anche geograficamente.

Tanto tempo è passato, almeno un paio di ere politiche, e oggi la Lega è totalmente diversa, perdendo innanzitutto quella connotazione territoriale che ne era alla base. Anzi, che ne costituiva l'idea trainante, cioè una forza politica che traeva la sua ragione d'essere nel fatto che una porzione d'Italia non riteneva d'avere riconosciuti i valori morali e culturali di cui era portatrice, pur se la componente economica era forte.

Le rivendicazioni d'un tempo avevano come obiettivo la secessione, anche se questa appariva come un cavallo di battaglia e non invece come un traguardo realmente raggiungibile, nonostante i proclami e le invettive e le bravate di indipendentisti all'acqua di rose. Gli eccessi verbali di Bossi, anche oggi a distanza di qualche decennio, devono essere ricondotti nell'alveo di una strategia politica che era ben più sottile di quanto la greve esposizione per parole scelta dal senatùr lasciavano intendere.

Oggi l'Italia è cambiata, e insieme ad essa lo scenario politico che ha portato al proscenio la nuova Lega plasmata a sua somiglianza da Matteo Salvini (tutta iperboli, appelli a una idea vicina a “Dio, patria e famiglia”, santificazione del doppio ruolo di politico e padre, ultimo e unico baluardo davanti all'immigrazione) che ha perseguito con feroce determinazione la conquista di un posto al tavolo dei forti, grazie soprattutto all'essere riuscito a imporsi come uomo della Provvidenza per chi guarda al proprio orto e alla propria pancia.

Ma Salvini va per la sua strada, lastricata da un polimorfismo che, novello Zelig, gli fa indossare casacche e felpe. Persino, come ha fatto di recente, in campagna elettorale, la felpa candida con il nome di un Paesino della Lucania la cui esistenza gli era forse sconosciuta sino a ieri l'altro.

Il punto che merita d'essere sottolineato è che, se oggi l'idea trainante della Lega è quella di calamitare tutti i voti di una destra malpancista e facile a cadere nei giochi dialettici e gestuali di Salvini tra baci e bacioni - dimenticando, quando li lancia a mo' di minaccia, d'essere un ministro - rosario stretto in pugno durante i comizi, insulti a chi lo contesta e ammonimenti a chi non lo segue, un tempo non era affatto così, tanto da meritare l'attenzione dei politologi e analisti stranieri incuriositi da un partito che voleva essere territoriale a dispetto della Storia.

Oggi questo non c'è più e dall'estero si guarda alla Lega per quello che in fondo è: un partito populista, che raccatta tutto quello che si trova alla destra del centro politico, facendo proprie le battaglie dell'integralismo, quello per il quale l'evoluzione della società italiana è conseguenza del degrado dei costumi e non invece delle mutate condizioni di un Paese che, anzi, per troppo tempo è stato ostaggio dall'immanenza della Chiesa nelle vicende di casa nostra.

La 'prima' Lega non era questa, anche perché Bossi flirtava con Berlusconi, ma facendo da 'ala sinistra' al centrodestra arcoriano. Quella Lega fu studiata e ci fu anche chi sperava di importarne il modello per adattarlo a un Paese lontano, affatto accostabile all'Italia, con cui non condivideva nulla. Negli anni '80, infatti, si cominciò a guardare con simpatia e attenzione alla Lega dal Canada, Paese immenso, amministrativamente e politicamente diviso in Province (che hanno potestà deliberative e caratteristiche di piccoli Stati).

Il perché di quell'attenzione, alla luce di quel che è oggi la Lega, apparirebbe bislacco perché il Canada tutto è fuorché un Paese che possa assorbire, per cultura e composizione (i gruppi etnici rappresentati sono oltre cento e in tempi recenti ha spalancato le sue frontiere a profughi del Medio Oriente così come a disperati in arrivo dal subcontinente americano), i dettami attuali del partito con deriva salviniana.

L'idea di un partito che facesse della territorialità il suo canone politico, sino a indicare la secessione come ultimo passo, incuriosì oltre Oceano, dove pure esisteva (ed esiste ancora oggi) un partito-Provincia, come quello quebecchese, ma che veniva visto solo come una aggregazione locale, non 'esportabile' nelle altre zone del Canada, anche quelle dove si parla il francese.

Questo innamoramento fu solo a livello di interesse per il modello che la Lega propugnava e fu studiato per capire sino a che punto potesse essere traslato in Canada, con degli aggiustamenti che tenessero conto della realtà del Paese.

Negli stessi anni in cui la Lega imponeva il 'modello lombardo' ad altre formazioni autonomiste, attirandole dentro la propria influenza, dal Canada si cercava di studiarne le dinamiche soprattutto in materia di adattamento alle realtà locali di una ideologia che tendeva ad essere egemonizzante.

Una strategia politica che ben difficilmente poteva essere adattata alle dinamiche canadesi, dove l'esercizio dei propri diritti viene sempre mantenuto nei limiti del rispetto verso gli altri. Prova ne è che nacque sì un partito con un programma conservatore, il National Party, ma che non ha mai saputo calamitare l'interesse politico al di là del suo elettorato di riferimento.

''Sosteniamo - dice ancora oggi il CNP - un Canada etnocentrico perché crediamo che ogni posizione politica sia radicata nell'identitarismo. Cioè, il fattore unificante di una nazione è inteso come una tradizione, un lignaggio e un linguaggio comuni. Questo è un movimento basato sui principi delle tradizioni cristiane inerenti alla storia del Canada''.

Tematiche che sembrano orecchiare alla ‘prima’ Lega che, cammin facendo, ha spostato il focus della sua politica, dimenticando, forse per sempre, che quando nacque sognava di realizzare una entità territoriale (la Padania) accreditandola di una inesistente radice culturale o etnica, ma che fece presa su un elettorato di destra che negli anni aveva ripiegato su altre formazioni politiche che però, nazionali, non stuzzicavano il sogno di un nuovo Paese libero, indipendente e, soprattutto, nordista.