L’occupazione militare della città di Fiume, prima di pertinenza ungherese e ora in balia dei trattati di pace, da parte di D’Annunzio e i suoi seguaci, venne chiamata l’impresa di Fiume, o fiumana. Il Poeta venne seguito da alcuni reparti del Regio Esercito, soprattutto fanti, artiglieri e bersaglieri, circa 2500 persone, detti legionari.

L’occupazione durò quasi un anno e mezzo e vide anche la nascita della Reggenza italiana del Carnaro. Circa metà della popolazione cittadina era di nazionalità e lingua italiane e alla fine del conflitto si era già costituito un Consiglio nazionale che voleva l’annessione all’Italia, in realtà non prevista dal Patto di Londra, ma vigente in nome del diritto dei popoli all’autodeterminazione; all’Italia, infatti, era stata promessa la Dalmazia.

Volontari a difesa della città si erano organizzati già nell’aprile 1919, creando una Legione fiumana contro i francesi che erano filo iugoslavi. Infatti, in giugno ci furono degli scontri con i militari francesi che, in spregio, avevano strappato la coccarda italiana che le donne di Fiume si erano appuntate all’abito, generando quelli che vennero nominati i Vespri fiumani, con morti e feriti.

La conferenza di Parigi sciolse il Consiglio Nazionale Fiumano e chiese il ritiro dei soldati italiani, creduti colpevoli degli episodi, ingiustamente. Una delegazione di fiumani incontrò D’Annunzio chiedendogli di assumere la reggenza della città, mentre i Granatieri di Sardegna vennero allontanati perché ritenuti troppi indisciplinati; questi si acquartierarono a Ronchi dei Legionari. Saranno loro, con a capo D’Annunzio e assieme ad altri volontari, a marciare su Fiume, che il Vate dichiarò annessa all’Italia, il 12 settembre.

I soldati inglesi e francesi non intervennero per evitare lo scontro aperto, mentre i marinai della nave regia, ex incrociatore Marco Polo, che arrivò a Fiume il 22 settembre si unirono ai legionari.

Il governo italiano prese immediatamente le distanze dall’azione dannunziana, nominando commissario straordinario Pietro Badoglio che, da Trieste, minacciava di considerare disertori i militi in appoggio all’impresa, ma non ottenne alcun risultato, tanto che Francesco Saverio Nitti, capo del governo, ordinò l’assedio della città per lasciarla senza viveri.

Il 20 settembre venne pubblicata su Il Popolo d’Italia, il giornale diretto da Mussolini, la lettera che questi ricevette da D’Annunzio, in cui gli si rimproverava scarso impegno politico nella vicenda, motivo poi dei dissapori mai risolti tra i due. Infatti, sul giornale la lettera risultò mancante delle frasi più polemiche e ingiuriose contro il nuovo capo dei Fasci. Mussolini avviò una sottoscrizione pubblica che portò all’invio di varie trance di soldi a sostegno dell’impresa.

Il governo cercò, inutilmente, la soluzione diplomatica, mentre D’Annunzio continuava ad avere sempre più seguito. Si arrivò al plebiscito di annessione, ma anche a continue accese diatribe, fino allo stallo. Il 12 agosto 1920, D’Annunzio annunciò la Reggenza Italiana del Carnaro: “Fondiamo in Fiume d’Italia, nella Marca Orientale d’Italia, lo Stato Libero del Carnaro”.

L’impresa di Fiume si innestava nella bufera sociale e politica italiana, nota come biennio rosso, tra tumulti, scioperi, occupazioni delle fabbriche. Da Fiume c’era il rischio che seguissero l’esempio altre persone, intenzionate a fare cadere il governo, al quale, intanto, si erano alternati vari esponenti, tra una dimissione e l’altra, mentre Fiume si organizzava nella vita quotidiana, stampando francobolli e denaro.