Da sempre la filosofia ha avuto il compito di inquadrare le conoscenze particolari in una visione più ampia e questo compito è più che mai urgente oggi nei confronti dell'economia. Prima di tutto perché viviamo un curioso capovolgimento: l'economia da disciplina particolare è divenuta di fatto la disciplina che governa la totalità del mondo. Quando parliamo per esempio di includere l'ecologia nella sfera dell'economia siamo già vittima di questo capovolgimento - come se le leggi che governano il movimento del denaro fossero il generale e quelle che governano la vita su questo pianeta il particolare - il che è un assurdo manifesto. Quindi ristabilire la gerarchia delle conoscenze e dei valori è un compito che spetta alla filosofia oggi.

Un compito ugualmente importante è mettere in evidenza quelle caratteristiche del nostro pensiero e della nostra cultura che si traducono, nella sfera economica, in una fondamentale distorsione di cui le crisi sono semplicemente un sintomo. Mi riferisco in primo luogo al predominio dell'astrazione. Il denaro è la potenza astratta per eccellenza, l'equivalente universale che permette di scambiare qualsiasi cosa: geniale strumento, che ha permesso l'evolversi di una società e di una cultura complessa. Ma da servo prezioso questa invenzione si è tramutata, quasi senza che ce ne accorgessimo, in padrone tiranno. L'astratto prevale sul concreto e lo governa.

Questo è un punto che merita un attimo di riflessione. Il dominio dell'astrazione denaro riflette nella sfera economica il più generale predominio dell'astrazione nel pensiero scientifico contemporaneo. Anche qui abbiamo a che fare con uno strumento in sé altamente utile che ci è sfuggito di mano. La creazione di modelli astratti della realtà è una caratteristica essenziale del pensiero scientifico: è la caratteristica che permette la riproducibilità degli esperimenti, la quale a sua volta è la base per la costruzione di un corpo di conoscenze condiviso da un'intera comunità di ricercatori. La riproducibilità infatti richiede una riduzione della infinita complessità di ogni situazione reale - di per sé unica e irriproducibile - a un insieme limitato di caratteristiche misurabili che possono essere esattamente specificate e riprodotte in quella che, pur essendo un'altra situazione reale, in altro spazio e in altro tempo, viene a essere una duplicazione dello stesso esperimento ideale.

La ripetibilità non è solo condizione necessaria per la creazione di un corpo di conoscenze condiviso: è la base per la creazione di una tecnologia e quindi è fonte di potere e di controllo sulla realtà. Di lì il trionfo del pensiero scientifico, e lì altresì sta il patto con il demonio. Questo patto consiste essenzialmente in un oblio, come direbbe Husserl: ci dimentichiamo che quei modelli astratti sono una nostra creazione e improvvisamente ce li troviamo davanti come realtà, finiscono per apparirci più reali della realtà stessa. Tragico errore: una cultura in cui l'astratto prevale sul concreto e lo governa non può che essere una cultura dis-umana e innaturale, i cui meccanismi assurgono a potenze autonome e stritolano nei loro implacabili ingranaggi l'essere umano e la biosfera.

Compito della filosofia è dunque ritematizzare l'atto creativo dimenticato e reificato in "mondo oggettivo", riportare il modello astratto nell'ambito della totalità della vita di cui è solo uno strumento particolare e non la verità ultima. Accanto a questo, credo che la filosofia abbia anche un compito più specifico riguardo all'economia e cioè quello di mettere in evidenza il disegno globale del movimento del denaro e le sue conseguenze. E, parallelamente, ricordarci che anche questo disegno è una nostra creazione e non c'è nulla di inevitabile in esso. Una diversa regolamentazione dei mezzi finanziari produce un movimento diverso.

Il movimento del denaro prodotto dall'attuale regolamentazione ha conseguenze disastrose per gli esseri umani e per il pianeta. Questi sono alcuni punti chiave:
- implica la ricerca di una crescita illimitata, che è un assurdo palese in un pianeta finito e va dritto verso il disastro ecologico;
- favorisce la concentrazione del capitale e di conseguenza l'amplificazione delle disuguaglianze di potere, con conseguenze nefaste per la democrazia;
- genera un sistema instabile, soggetto a fluttuazioni arbitrarie e di cui le CRISI ricorrenti sono una caratteristica inevitabile.

Ciascuno di questi punti richiederebbe un ampio commento. Queste sono solo poche idee chiave. Cominciando dall'ultimo punto, che è evocato dal nostro titolo, alcune cifre. Il movimento del denaro oggi su scala mondiale (fatta esclusione per i cosiddetti "derivati") è quantificabile in quattro trilioni di dollari al giorno. Il 2% di questi scambi corrisponde al commercio di beni e servizi. Questo significa che il 98% è di natura speculativa. Si ritiene inoltre che il volume degli scambi di derivati ammonti a varie decine o centinaia di volte il movimento del denaro. Non occorre essere esperti di teoria dei sistemi per capire che ci troviamo di fronte a un sistema altamente instabile. Le sue BOLLE e le sue CRISI hanno poco a che fare con "l'economia reale".

La concentrazione del capitale: il denaro tende ad andare dove già ce n'è. Questo per varie ragioni, di cui l'interesse sugli investimenti è solo la più elementare. Su larga scala a questo va aggiunta la possibilità di influire sul quadro normativo, sul processo democratico (dove esso esiste) e sulle decisioni di governo tramite il lobbying, la corruzione e il controllo dei mezzi di comunicazione. La concentrazione del denaro a sua volta è solo un aspetto di una generale tendenza alla semplificazione, all'omogeneità, alla riduzione della complessità all'interno del sistema economico che produce il massimo di entropia (cioè disordine) al suo esterno (nella società e nell'ambiente).

Infine, il discorso dei limiti della crescita è talmente ovvio che quasi non varrebbe la pena di parlarne - se non fosse forse il più importante. È un discorso traumatico per una generazione cullata dal dogma della crescita illimitata. Ma decrescita, o limiti della crescita, non vuole dire sofferenza, contrazione esistenziale: vuol dire ricerca della qualità anziché della quantità, della ricchezza dell'interazione umana anziché del possesso di oggetti. È creazione di un'altra cultura e un altro stile di vita.

Come si crea un'altra cultura e un altro stile di vita? Credo che la risposta possa solo essere su vari livelli, che vanno tutti affrontati simultaneamente. Uno di questi è la trasformazione del pensiero. Personalmente sono convinto che i dilemmi filosofici della fisica quantistica siano un invito a una rivoluzione concettuale di questo genere: si tratta di andare oltre l'eredità cartesiana della separazione del reale in mente e materia. Ma questo sarebbe un lungo discorso.

I segnali di un processo di trasformazione del pensiero, di un risveglio delle coscienze dal sonno dell'astrazione globalizzante, sono già visibili. Corrispondentemente emergono nuove pratiche, pratiche su piccola scala, pratiche di "economia come se le persone contassero" (E.F. Schumacher, Piccolo è bello, 1973). Una di queste la creazione di valute alternative: città, regioni, comunità possono decidere di stampare una propria moneta con caratteristiche tali da servire scopi comunitari. Per esempio essa può favorire i commerci locali, scoraggiando l'importazione di beni prodotti all'altro capo del pianeta con un impatto ambientale e sociale disastroso e mantenedo le risorse in seno alla comunità. Oppure può essere dotata di un "interesse negativo": la moneta perde valore se sta ferma nelle tasche di qualcuno, il che ne favorisce l'uso come mezzo di scambio e non di accumulazione. Altrettanto interessante è il fiorire di associazioni che connettono direttamente la produzione al consumo, specialmente in campo alimentare, mettendo i consumatori in contatto con produttori locali, specialmente contadini che applicano metodi biologici o di agricoltura tradizionale.

Ma mentre la coscienza e il pensiero evolvono e le pratiche alternative si diffondono è importante adottare misure concrete che contengano le conseguenze disastrose del sistema attuale per la natura e per la società. Quella di tassare le transazioni finanziarie è un'idea talmente ovvia che ci si può solo domandare come mai non sia realizzata. La risposta è anch'essa ovvia: può solo essere realizzata su scala globale. Se viene attuata solo in uno stato o in pochi stati, il capitale fugge altrove, verso i suoi paradisi fiscali. È sempre più chiaro che i governi nazionali sono impotenti a fronteggiare il potere della finanza internazionale. E purtroppo siamo ancora ben lontani dal poter pensare a un'azione politica concertata su scala globale. All'impotenza di un'organizzazione politica globale come l'Organizzazione delle Nazioni Unite si contrappone la strapotenza di organismi che sono espressione della finanza internazionale come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale. La grande sfida del nostro tempo è dunque quella di agire simultaneamente nel piccolo, su scala locale, e nel grande, su scala sovranazionale.

(Relazione tenuta all'incontro celebrativo del dodicesimo anniversario di Filosofia sui Navigli sul tema La crisi: il contributo della filosofia per uscire dalla crisi). Milano, 7 ottobre 2012