C’era il tempo dei grandi politici che attraverso il grigio televisivo di una tribuna politica ingrigiva noi ragazzini che a tavola con i genitori dovevamo sorbirci i dibattiti di questi signori rigorosi e seri che compostamente si aizzavano su finanza, esteri e questioni interne. La politica che ascoltavamo era discussa con parole difficili, era talvolta incomprensibile per noi ascoltatori, era quasi un linguaggio per forbiti uomini di una élite da guardare da lontano.

Adesso invece, guardando con occhi moderni, ci accorgiamo che quel tempo in cui la politica era fatta da persone colte, professionisti della mediazione e ragionevolezza era il tempo in cui quegli uomini consentivano alla nostra nazione di stare bene.

Certamente in ogni cesto di mele qualcuna un po’ avariata ci sta ma l’Italia marciava fiera e dignitosa e le classi sociali erano comunque rappresentate e tutelate.

Il parlamento era rappresentativo della sua funzione, ed i partiti strutturati in gerarchia prendevano decisioni dopo accese discussioni interne nelle quali ciascun rappresentante aveva comunque la propria voce ed il proprio ascolto.

La 18ma legislatura inaugura invece il modo di far politica in maniera delocalizzata e virtuale, gli uffici sono un optional per alcuni che preferiscono invece vivere la loro attività “on the road” in una eterna campagna elettorale, volta ad una continua ricerca di consensi popolari e per questo affidata al mezzo oggi più popolare che ci sia, il social network.

Attraverso i tweet, ed i post, trasformano così ciò che un tempo questo saltuario spazio rappresentativo che era il comizio tra la gente, nella quotidianità di Internet.

Sui social siamo “amici” e questo dà la sensazione alla persone comuni di poter essere in confidenza con il politico, situazione altrimenti improbabile, questo modo di agire attraverso il social, dà la percezione di essere ascoltati in modo preferenziale, in virtù della “amicizia” e quindi di esserne con coscienza rappresentati.

Il politico si mette sullo stesso piano del comune cittadino, racconta cosa ha mangiato, invita a fare giochini a quiz, pubblica foto, cavalca le stesse paure, i timori, esulta per le medesime cause, inveisce sulle stesse problematiche, insomma tasta il polso del malessere del momento e lo fa suo condividendolo pubblicamente, facendosi portavoce risolutore e incassando ovviamente una marea di like e dal like al voto il passo è breve.

Ma a che serve oggi la nostra bellissima costituzionale struttura governativa se poi i ministri non lavorano nei ministeri, se c’è chi vuole una democrazia diretta nella quale via Internet la popolazione si fa governo, se nel parlamento i deputati ed i senatori sono obbligati a esprimersi come vuole la forza politica di appartenenza?

Che fine ha fatto il diritto dato al parlamentare dagli articoli 67 e 68 della Costituzione e più semplicemente della propria morale nel momento del voto di decreti legge così eterogenei dove al loro interno si vota dall’ago al pagliaio?

Dov’è finito lo Stato di diritto che contraddistingue la nostra Repubblica parlamentare?

Dove è stata archiviata la distinzione dei poteri?

Non tutto è così ma assistiamo però a situazioni che ci pongono in questi dilemmi. Perché alcuni ministri anziché studiare al tavolo i rimedi ai problemi del nostro paese, fanno invece i tecnici in giro per l’Italia? Perché intrattengono chat sui canali di comunicazione in rete con gli italiani come se fossero seduti al bar? Certo, la politica si è avvicinata agli italiani, li rende in un certo qual modo partecipi, con le piattaforme, il cittadino è attivo e collabora alla realizzazione di provvedimenti utili per se stesso e teoricamente è un bene. Ma la politica è cosa seria, e come ogni lavoro ha bisogno del suo professionista e ciascuno deve ricoprire il proprio ruolo.

Anche la gestione dell’informazione avviene molte volte in via diretta. perché sempre più spesso la notizia non viene data attraverso comunicati stampa ma è il politico stesso che la lancia in proprio sul social?

L’organo della Stampa, il quarto potere dello Stato, viene a trovarsi sempre più spesso privato del suo essere. La notizia deve essere saputa trasmettere al fruitore.

Il giornalista con la sua professionalità quando deve fornire la notizia, la rende come tale, pulita da connotazioni di parte, la divulga così com’è, nella sua integrità.

Il politico no, da una notizia soggettiva, non scevra da ideologie e quindi viziata se non nel contenuto, nella forma.

Per questo non è corretto lasciare che i tweet ed i post siano i portatori diretti della voce e del pensiero dei politici. Ogni informazione è portatrice di una verità e ciascuna verità ha sempre più facce di interpretazione, è essenziale che quindi sia espressa senza connotazioni di parte, lasciamo che sia la persona che legge o ascolta a crearsi la sua verità sulla base di un dato certo e non contraffatto.

Un tempo eravamo protetti dalla nostra Costituzione che garantiva lo Stato di diritto ed i portatori del potere legislativo ed esecutivo rispettavano ciascuno i propri doveri ed ambiti. Era il tempo degli uomini in grigio, era il tempo in cui la politica era distante dal cittadino comune, era il tempo della fiducia in un futuro che sarebbe stato senz’altro migliore, ma soprattutto era il tempo del rispetto e della dignità.