Ecco che inaspettata a inizio dell’estate quando ancora i grappoli sono allo stadio di grano di pepe, dicono in gergo i vignaioli, una notizia clamorosa arriva come una sorpresa su tutti i giornali. il caso Colline del Prosecco Conegliano Valdobbiadene è stato definito ai primi di luglio 2019 a Baku nell’Azerbaijan, da parte del World Heritage Committee, composto da rappresentanze di Stati scelti dall’UNESCO, col compito di iscrivere o bocciare definitivamente, o rinviare, la candidatura dei siti in gioco, valutati in precedenza dalla commissione “tecnica” ICOMOS, ovvero il Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti organo consultivo dell’UNESCO stessa. Per saperne di più cerchiamo intanto di capire cosa fa questa commissione. Secondo la Convenzione UNESCO del 1972 - Convention Concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage - adottata dalla Conferenza Generale nella sedicesima sessione a Parigi il 16 novembre 1972, ICOMOS è una delle tre organizzazioni non governative o intergovernative internazionali nominata di consigliare il Comitato UNESCO nelle sue deliberazioni. ICOMOS è il consulente professionale e scientifico alla Commissione UNESCO per tutti gli aspetti che riguardano il patrimonio culturale e la sua conservazione. Inoltre, è responsabile della valutazione di tutte le nomine nella World Heritage List di beni culturali e misti, nei confronti del criterio fondamentale di "eccezionale valore universale" e gli altri criteri, come specificato nella convenzione.

Ebbene arriviamo alla notizia sorprendente facendo un po’ chiarezza sul sito di interesse ovvero quelle Colline del Prosecco Conegliano Valdobbiadene oggetto di richiesta di riconoscimento come Patrimonio dell’UNESCO. Al pari del Grand Canyon, del Taj Mahal, del Monte Fuji, della grande barriera corallina australiana, della piana della Piramidi, dal 7 luglio scorso una superficie di 9.197,45 ettari, sulle aree dorsali dei vigneti di Conegliano Valdobbiadene, "paesaggio maggiormente in grado di soddisfare le esigenze di autenticità" è diventata patrimonio europeo con il plauso della Regione Veneto e il grande disappunto di ben 39 organizzazioni a salvaguardia dell’ambiente tra cui PAN Italia, il WWF locale, Legambiente, Comitato marcia Stop Pesticidi, Colli Puri, etc., che si sono ora schierate formalmente contro la certificazione delle Colline del Prosecco. Purtroppo al contrario di quanto si aspettavano le popolazioni di quei territori, da anni in fermento contro queste coltivazioni intensive che danneggiano fortemente lo stato dell’ambiente con trattamenti a base di fitofarmaci ormai riconosciuti altamente dannosi per la salute umana, è stato concesso un riconoscimento in barba alle rivendicazioni portate avanti in questo ultimo anno da comitati costituitisi appositamente per evitare tale affronto alla comunità locale e al paesaggio rurale.

Mentre l’anno scorso le Colline del Prosecco Conegliano Valdobbiadene avevano ricevuto una valutazione negativa, quest’anno la valutazione ICOMOS è stata positiva, presentando 15 raccomandazioni (più che altro ammonizioni) molto pesanti, da risolvere dopo l’eventuale promozione del World Heritage Committee. Come bene afferma Gianluigi Salvador, instancabile referente a livello nazionale per la lotta ambientalista contro l’uso dei pesticidi ormai riconosciuti anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità gravemente dannosi per l’uomo: “Sono completamente assenti dal documento ICOMOS le parole “pesticide” e “pollution”, come se certificare “culturalmente” il sito con la fotografia del paesaggio e qualche accenno frammentario alla storia recente della monocoltura viticola, ormai “industrializzata”, eliminasse i forti disagi della popolazione residente ed i pericolosi inquinamenti della chimica di sintesi, che investe tutti i beni ambientali, nell’interesse lucrativo di una piccola minoranza della popolazione.”

Ci chiediamo tutti oggi come sia possibile che proprio un organo predisposto alla tutela e al mantenimento dell’integrità del patrimonio naturale, culturale e paesaggistico possa aver omesso l’ultima raccomandazione tra le 15 originarie per l’ammissione a sito delle colline. E cioè: “Garantire che tutti i principali progetti che potrebbero avere un impatto sulla proprietà sia comunicata al patrimonio mondiale WH Centre in linea con l'articolo 172 delle Linee Guida Operative per l'implementazione della Convenzione World Heritage UNESCO”.

In tal modo ribadiscono le associazioni ed i comitati, che comprendono la voce delle popolazioni locali spaventate da questo ulteriore smacco, iscrivere un sito prima che i suoi problemi fondamentali siano risolti, crea una cattiva immagine e fa perdere credibilità all’UNESCO”. La Commissione ICOMOS UNESCO, ha la notevole responsabilità di aver ignorato i gravi disagi dei residenti e la scarsa tutela della salute e della biodiversità. I cittadini, che nel corso degli ultimi anni hanno più volte manifestato con assemblee pubbliche, sit-in - l’ultimo anche a Venezia presso la sede dell’UNESCO - marce e cortei contro l’uso dei pesticidi di sintesi, sono stati completamente esclusi dal dibattito.

Purtroppo, vorrei chiudere questo mio doveroso intervento come cultrice del paesaggio italiano e appassionata di ambienti aperti come gli ambiti agricoli, le foreste, i boschi e la grande biodiversità che connota tutto il bacino del Mediterraneo, con un richiamo a quanti luoghi oggi in Italia meriterebbero veramente, non solo di essere annoverati come Aree Protette o Siti di Interesse Comunitario, bensì come veri e propri patrimoni perché depositari di caratteri ben più consoni. Un esempio di luogo notevole, tra molti possibili, lo rammento dopo la lettura di un libro molto piacevole, recentemente pubblicato da Arkadia Editore di un amico giornalista e scrittore fiorentino, Paolo Ciampi. Il titolo è già molto coinvolgente L’ambasciatore delle foreste. Racconta la storia davvero romanzesca di un personaggio, un protezionista ante litteram sconosciuto ai più, George Perkins Marsh, che dalle foreste del New England arriva come primo ambasciatore in Italia ai tempi di Abramo Lincoln e si entusiasma, fino a rimanervi per sempre, degli appennini toscani nel casentino. Marsh in America è considerato il padre dei parchi come il primo di Yellowstone, al pari di un Thoreau o di un Miur, i giganti dell’ambientalismo americano, mentre in Italia oggi a Vallombrosa pochi lo ricordano quando per lui quei boschi furono un secondo Vermont. Insomma, una storia stravagante che fa conoscere con uno stile narrativo divertente e curioso quale è quello di Paolo Ciampi, questa foresta casentinese, un cuore verde pulsante nel centro Italia, che da luogo di studio forestale di metà Ottocento divenne meta dei più noti ricercatori e naturalisti proprio per la sua bellezza e il suo valore naturalistico. “L’autore ci regala un viaggio insolito e ci racconta come la sua opera più famosa, Man and Nature, pubblicata nel 1864, ha costituito uno dei primi libri a mettere in guardia sugli impatti distruttivi che gli esseri umani hanno sull’ambiente. Marsh fu la prima persona a suggerire che gli umani fossero pericolosi per l’ambiente stesso, e descrisse l’interdipendenza della società e dell’ambiente, un’idea rivoluzionaria in un’epoca in cui la parola “ecologia” non era ancora stata inventata” recensisce la blogger Cinzia Orabona.

Allora torniamo al nostro territorio italiano più intatto, ad una foresta come questa che si estende su una superficie di circa 1300 ettari ad altitudini comprese tra i 450 e i 1450 metri, ad una delle aree verdi più famose d’Italia, composta da un’infinità di specie arboree tra le quali spiccano per quantità abeti, castagni e faggi. Protetta fin dai tempi dei monaci benedettini dell’abbazia omonima di Vallombrosa, poi dallo Stato italiano che l’ha nominata Riserva Naturale Biogenetica, è un luogo insolito dove rifugiarsi per una vacanza itinerante e appassionarsi ad una storia dimenticata tra le tante che invece fecero del nostro paese un attrattiva internazionale anche per il lontano Nuovo Mondo.