Un mondiale nomadismo sta attraversando deserti e mari e fiumi e paludi e terre. Dall'Africa, dall'Asia, dall'America Latina, quando partono gli ultimi va a capire dove sono finiti i primi. L'Universo guida i loro movimenti e un immenso respiro segna il loro cammino. Dietro ad ognuno migliaia come lui affinché se cade - nelle prigioni o in fondo al mare - sappia che mille sono lì a dargli il cambio.

"...In Libia c'è la guerra, nei centri di detenzione ufficiali e in quelli ufficiosi si consumano abusi e torture su base quotidiana... In uno di questi centri della capitale Tripoli, ...un bombardamento ha colpito una prigione per migranti uccidendone almeno 40, ferendone il doppio... In tutto sono seimila le persone bloccate nelle prigioni libiche, bloccati senza assistenza, senza poter andare indietro. Senza poter lasciare il paese".

Li accompagna il mormorio di secoli e con il solo furore della necessità cercano di conquistare nuovi spazi. Se ne vanno dalle guerre, dalla mancanza di lavoro, dalla fame nera, "da quella morte lenta che è per la stragrande maggioranza di loro, l'esistenza". Non li ferma il sole, la pioggia, il freddo, la notte e i giorni senza nome. È un moto perpetuo e continuerà finché ci sarà la fame degli affamati e la sazietà dei sazi.

"Ci sono voluti anni per certificare ciò che era già chiaro fino dall'inizio della crisi: il cambiamento climatico accelerato, anomalo rispetto al passato e causato dalle attività produttive dei sapiens, ha un impatto sociale e umano devastante, soprattutto sulla parte povera del mondo. Un impatto, che però, si risentirà anche sulla parte più ricca, in termini di migranti e scarsità di risorse:1240 milioni di persone che si metteranno in moto nei prossimi 20 anni saranno migranti climatici. E la gran parte si muoverà attraverso il Mediterraneo..."

(Mario Tozzi, L'Africa paga il prezzo più alto, La Stampa, venerdì 9 agosto 2019).

Molti di loro, qui nel Mediterraneo, vicini alla meta, si trovano nella tempesta aggrappati al niente. Tra il cielo e il mare, il rombo delle acque compone l'urto della loro caduta agli inferi. Riemergono dentro le reti dei pescatori. Ieri 25 luglio 2019, nelle acque della Libia, affondano due barconi. I dispersi sono almeno 116, ma il numero delle vittime potrebbe arrivare a 150 e tra loro molte donne e bambini. La giovinezza piange e con lei dovrebbe piangere il mondo intero. Qual è il senso dell'essere sepolti vivi nelle stive e dell'essere trascinati nelle carceri dei negrieri?

Carne viva da macello, ma "dietro ad ognuno migliaia come lui affinché se cade - nelle prigioni o in fondo al mare - sappia che mille sono lì a dargli il cambio".

È un male difficile da dire. È un male difficile da dire quello di popoli che camminano per branchi spostandosi più in là e più in qua, senza trovare un posto di pace nel mondo. Mi pare che siano arrivati quei tempi in cui "è passata la mezzanotte" e quei pochi che se ne sono accorti hanno messo da parte la rabbia e la paura del diverso e se ne vanno per mare a salvare vite umane. Perché ancora di questo si tratta. I migranti non sono un'entità neutra; sono donne, uomini, bambine, bambini. Esattamente come noi: come le persone che incontriamo quotidianamente. Non spetta a chi soccorre risolvere il problema di un esodo globale. Loro salvano vite umane. Seguono la legge dello Stato di diritto e del sistema democratico. Spetta ai potenti del mondo rimettere ordine e misura su questa terra. Invece, assistiamo ad un percorso dove si arretra a tentoni in reciproche cecità verso quella storia che ha riempito l'Occidente di sangue e di cadaveri. Dovremmo aver capito che la ricchezza di pochi è un danno per tutti. Ma per farlo bisogna avere l'occhio buono; l'occhio buono per guardarsi attorno.

Sarebbe necessario "mettere da parte rabbia e paura del diverso" e di lì partire. Sì partire, salire sulle navi che vanno per mare a salvare naufraghi.

Carola Rackete

A volte – raramente - il capitano di queste navi è una donna.

"Il 12 giugno la Sea-Watch 3, comandata da Carola Rackete, recupera in zona Sar libica 53 migranti a bordo di un gommone. Per 17 giorni di fila le autorità italiane rifiutano di dare alla nave della Ong tedesca l'autorizzazione allo sbarco a Lampedusa. La notte tra il 27 e il 28 giugno Carola, urtando una motovedetta, forza il blocco e approda a Lampedusa. Viene arrestata, poi la gip di Agrigento la libera".

(Fabio Tonacci, mercoledì 24 luglio 2019, La Repubblica)

E Carola, per fortuna come tante altre, è, per tutti i sovranisti del mondo e non solo per quelli, una donna inaffidabile e disubbidiente. E qui le cose, se è possibile, si complicano ulteriormente. Prende forma "la banalità del male" in tutta la sua estensione e la sua dismisura. Le parole dei sovranisti di turno diventano armi affilate che strada facendo si moltiplicano e aumentano in potenza distruttiva. Mettiamo il caso che il capitano della Sea Watch 3 fosse stato un uomo, come è già accaduto per altre navi delle Ong, il nostro ministro dell'Interno, l'avrebbe definito "zecca" oppure avrebbe scritto su Facebook: "Non vedo l'ora di espellere questo viziato comunista tedesco" e ancora "sbrufoncello", "Signorino snob, ricco che va a fare shopping a Portofino"?

È pensabile un ribaltamento del genere? Degli altri capitani non si conosce neppure il nome. E mentre il ministro dell'Interno più mediatico della storia si intratteneva in selfie e dirette social con queste amenità sessiste, alcuni Stati europei si sono resi disponibili a ospitare tutti i naufraghi e nello stesso tempo ogni giorno arrivavano e arrivano tutt'ora gommoni che scaricano decine di immigrati.

Allora perché tanto accanimento? Perché...

"...Un uomo viene attaccato in quanto, forse, ladro, bugiardo, imbroglione, sfruttatore, persino assassino: ma le eventuali ladre, bugiarde, imbroglione, le colpevoli di qualunque errore, ma soprattutto di essere donne, sono puttane, vacche, eccetera, la catena degli insulti che riguardano il non essere uomo è lunghissima, ma anche vecchie, grasse, brutte, laide, quindi, escluse dal consorzio umano che è quello formato da uomini. ...Ad esempio, è sufficiente che il vicepremier, braccio alzato come un grande direttore d'orchestra agiti l'esperta bacchetta del comando, per dare il via ai suoi adepti, che con i loro sempre più veloci ticchettii si affannano felici ad augurare ogni umiliazione sessuale a donne, che come Carola, si permettono, di agire con fermezza, intelligenza e umanità contro i capricci di chi ha fatalmente in mano i destini degli italiani. Forse quel fastidio per le donne - inaffidabili e disubbidenti - quel bisogno di umiliarle nel corpo, che da sempre spinge il maschio diseducato persino ad eliminarle, è uscito dal privato, si è allargato a tutto il genere femminile (tranne la mamma, ovvio): con il sostegno non previsto del nostro massimo leader. Non è un buon momento se sei femmina".

(Natalia Aspesi, Il bisogno di umiliarci, La Repubblica, giovedì 11 luglio 2019)

"...Le parole possono costruire mondi. ...Ciò che è detto risulta automaticamente, e perciò stesso, dicibile. Ogni espettorazione verbale fa essere qualcosa nel mondo e non si torna indietro. Ciò che è rifiutato (mi fa schifo!) è azzerato dall'orizzonte del reale. Ciò che è posto (criminale!) non ha bisogno di ulteriori verifiche. ...Parole che costruiscono mentalità, senso comune, persino mode: è un dato dell'epoca la voluttà con cui le ingiurie sessistoidi e razzistoidi dei leader vengono confezionate, acuite, amplificate, moltiplicate nel numero e nella gravità, dai seguaci..."

(Stefano Bartezzaghi, Quanto odio dietro le parole, La Repubblica, mercoledì 10 luglio 2019)

"L'odio corre veloce. Al post di Salvini in pochi minuti hanno risposto in migliaia, indirizzando a Carola, offese sessiste, commenti volgari. Promettendole schiaffi, qualcuno invocando la pena di morte. Paradosso di una nazione che poco dopo aver approvato il Codice rosso per difendere le donne dalla violenza maschile, sfoga sul web l'odio di genere. ...Tra insulti, minacce fisiche e offerte di cittadinanza onoraria di un paese diviso tra rabbia e solidarietà, Carola Rackete ha lasciato la Sicilia diretta in Germania..."

(Caterina Pasolini, La Capitana Carola lascia l'Italia, la Repubblica)

"...Il ministro degli Interni usando la campagna dei porti chiusi ai migranti è applaudito dai tifosi della ‘cattiveria necessaria’. Per non deludere il suo pubblico ha perfino rinforzato il sistematico ricorso al turpiloquio genitale contro ogni genere di avversario. Così abbiamo assistito al fiorire dei suoi ‘mi sono rotto le palle’, apprezzati come fossero certificati di genuinità popolare. Fino al più recente oltraggio rivolto ai parlamentari in ferie: ‘Deputati e senatori alzino il culo!’..."

(Gad Lerner, Quando i muscoli di Salvini si sgonfiano, La Repubblica, sabato 17 agosto 2019)

"La comandante Rackete ha trasgredito a una regola del decreto sicurezza, ma ha fatto il suo dovere perché ha ubbidito al diritto marittimo internazionale che impone il salvataggio dei naufraghi e il loro attracco in un porto sicuro. ...Sulle sue spalle si è addossato un peso enorme, quello di portare in salvo le persone che le erano state affidate perché in stato di pericolo. È una ragazza del nuovo secolo immersa nella tragedia del nostro tempo: la vita e la morte, i migranti e i muri, le fortezze e la spinta a migliorare anche di pochissimo la propria esistenza che spinge a spostarsi ogni anno sessanta milioni di donne e uomini in tutte le regioni del mondo. E Carola Rackete non è un'eroina. Ma in quella parola antica, il dovere, c'è qualcosa di trascendente che supera anche le leggi dell'uomo, imparziali o addirittura ingiuste. Il dovere, oggi, di salvare vite umane, anche a costo dell'impopolarità. Dovere è parola che i populisti scansano come una brutta malattia. Conoscono solo i diritti, purché, sia chiaro, non comportino nessuna responsabilità verso il resto della comunità, verso gli altri..."

(Marco Damilano, Il dovere di tenere la rotta, L'Espresso, 7 luglio 2019)