Mentre la foresta amazzonica brucia sono in moto e viaggio attraversando un’Italia patrimonio dell’Unesco, fatta di posti dimenticati dall’uomo, aree protette dalla maggiore biodiversità vegetale in Europa, altopiani, laghi, fiumi, boschi e montagne. Dalla costa adriatica, alta, con costoni a strapiombo sul mare, dopo qualche chilometro, il mio sguardo trova spazio sulla costa bassa con soffici arenili dalle sabbie chiare, per poi erigersi su un profilo frastagliato di speroni e borghi in mirabile posizione panoramica. La base del polmone d’Italia è un parco che intramaglia il respiro di quattro incantevoli regioni: Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio.

Immergendomi in quella vasta gamma di colori ci si sente piccoli come farfalle bramanti gocce di salvaguardia e virtù, lì dove l’atto visivo diviene diverso dal significato dell’atto politico in cui accresciamo il desiderio di recupero di quei posti diroccati, poiché v’è differenza tra il fiorire libero nei secoli della natura selvaggia e lo stato di abbandono in cui l’uomo ha deciso di archiviare quei luoghi.

Mentre spiego le ali tra le paure e le debolezze di un'età zotica mi addentro in quegli 8000 km quadrati colpiti dal terremoto. 138 comuni coinvolti. 22 miliardi di danni. 53mila tonnellate di macerie solo in Arquata del Tronto. La fuga per alcuni è una conseguenza.

Dopo 3 anni dal terremoto continuano a proporre decreti legislativi, indagini e processi per disastro colposo. Eppure nella complessità di un evento di magnitudo 6.5 c'è chi ha scelto di restare, poiché restare è manifestare il proprio dissenso. Restare è la risposta più coraggiosa per provare a scuotere coscienze e sperare in una ricostruzione.

Il secondo libro del De rerum natura di Lucrezio si apre con un proemio, incentrato su un’immagine - quella di una nave in tempesta osservata mentre si è al sicuro a terra - che, nel suo stile alto e sublime, traccia una linea netta di distinzione tra chi in vita è mosso da illusioni inutili e dannose e chi possiede la dottrina dei sapienti, ed abita dunque i “templa serena”. La stessa immagine è descritta dal filosofo tedesco Immanuel Kant nel suo “sublime dinamico” ne La Critica del Giudizio. Il “sublime dinamico” è un sentimento intermediario e dialettico tra estrema bellezza e puro terrore. Quest’ultimo è generato nell’animo umano dalla paura di essere sopraffatto, distrutto, annichilito dalla dinamicità e forza della natura; è il terrore dinnanzi a una tempesta, un incendio, un terremoto. Mentre il piacere è dato dal fatto di contemplare questi eventi da un punto privilegiato, lontano, al riparo – come può essere, appunto, osservando una foto o un quadro. Questo distacco permette quindi di prendere l’oggetto del terrore e osservarlo in tutta la sua grandezza ed è qui che il “sublime dinamico” si palesa in tutta la sua forza, ovvero quando lo spettatore che prima era terrorizzato dall’evento naturale ora può, grazie all’intelletto, “avvolgerlo” e contemplarlo in tutta la sua dinamica, e bellissima, unicità. In questo modo passiamo dal sentirci riparati al sentirci superiori. Siamo fisicamente impotenti contro una tempesta, ma la nostra mente può comprenderla totalmente.

Assorta in un'enorme mole di pensieri, ma pensieri fittissimi come i boschi vetusti del Parco Nazionale del Gran Sasso, sovvengo dalla ponderazione e cerco tra le casette diroccate, quelle in cui attualmente vivono gli sfollati, raggi di sole e graffi all’animo, cercando di capire cosa si voglia fare veramente, un gesto, una marchiatura o un codice umanitario che possa legalmente attualizzare quei luoghi ridonandoli vigorosi alla gente nativa.

L’ermeneutica di quelle immagini non andrebbe racchiusa solamente in concetti, ma concretizzata in opere, poiché il danno ambientale di questi disastri naturali resta mera ipocrisia se questi eventi rappresentano, banalmente, un momento di piena vanagloria, totale egocentrismo e irragionevole autocelebrazione direttamente proporzionale al sabotaggio alle pagine social. Cosa si vuole fare veramente è una scelta che implica l’essere, il responsabilizzarsi e la disposizione dell’animo a seguire la via della virtù.

L’umanità non avrà scampo dall’apocalisse climatica se non sarà in grado di ripensare profondamente modelli, sistemi e paradigmi che l’hanno condotta sul baratro, fra cui l’iniqua distribuzione della ricchezza, il capitalismo razziale, il colonialismo e la governance vigente.

Quello che ci fa decidere di rimanere, che ci fa andare il cuore più veloce, quello che ci spinge a percorrere tornanti, a prenderci pioggia e vento, accuse, ironia gratuita, che ci riempie di energia anche dopo essere rimasti annichiliti è il coraggio di essere umani. Dopo la scossa si aspetta la riscossa, ma, proprio perché umani, tra pecche e misericordia, di strada ce ne ancora tanta da fare.