In Mali, Amadou Koufa, leader Fulani della coalizione del gruppo jihadista GSIM (Gruppo di Supporto per Islam e Musulmani), all’inizio di ottobre 2019 ha aperto ad un accordo trasmettendo su WhatsApp un nuovo messaggio vocale in cui evoca per la prima volta un possibile cessate il fuoco tra la sua milizia e quella di Dogon Dan Na Ambassagou.

Per diversi anni, i combattimenti tra le comunità Peul e Dogon hanno sconvolto le località del Mali centrale, nel paese Dogon. Le discussioni per trovare un'uscita di pace sembrano essere iniziate ora. Ma questa apertura è stata totalmente respinta dall'ala militare dei Dogon “Dan Na Ambassagou”. Il loro leader Youssouf Toloba non ha accettato le condizioni dei jihadisti. Ciò ha provocato divisioni e migrazioni interne. Gli sfollati si rifugiano nelle città sorte lungo il Niger: Sevarè, Mopti, Segou, Bamako favorendo la concentrazione etnica, mentre i rifugiati nei Paesi confinanti, Niger, Burkina Faso e Mauritania come monitorato dallo IOM (Organizzazione Internazionale Migrazioni).

Ad oggi se un Peul entra in territorio Dogon viene ucciso all'istante dai cacciatori Dogon e viceversa. L'insicurezza aumenta con il venir meno della luce del sole e, quindi, è vietato spostarsi di sera, di notte e al mattino presto. In pieno giorno ci si può muovere solo concordando preventivamente il proprio passaggio con le diverse milizie.

Eppure nel Paese è presente da un lato una forza ONU come la Minusma composta da 57 Paesi che hanno il compito di difendere alcune città tra le quali Kidal e poi Gao, Timbuktu e Mopti e dall’altra la Francia “liberatrice”, guarda caso presente a Kidal.

Ma cosa c'è a Kidal di tanto interessante?

Difficile saperlo visto che vengono sequestrati gli smartphone per coloro – tecnici e militari – ai quali è dato il permesso di entrare. Una cosa è certa: ai maliani non è permesso di entrare. Non è loro permesso di abitare una terra generosissima: si tratta, infatti, del quindicesimo Paese produttore di oro; importanti sono anche le miniere di bauxite, manganese, zinco, litio e rame, uranio e diamanti. Insomma, a detta degli stessi maliani, la Francia sembra più preoccupata delle risorse del sottosuolo nel Nord del Paese che del conflitto etnico innestato a Sud del fiume Niger.

Tant'è che la popolazione è disperata. Non confidano sulle Nazioni Unite, né tantomeno sulla Francia. Alcuni implorano l'intervento della Russia, la quale non è mai stata favorevole alla presenza francese nella forza ONU. Anzi. Insomma la gente implora qualcuno che possa fermare il conflitto etnico che sta dilagando in questi bellissimi paesi Dogon mietendo vittime innocenti ai piedi della falesia di Bandiagara. Come affermano i Padri Bianchi attraverso a loro rivista Africa non vi sono solo spoliazioni del sottosuolo ma anche traffici: di sigarette, droga ed essere umani. E i Dogon rischiano il genocidio.