Su Le Courrier International del 22 gennaio di quest’anno è stato pubblicato un articolo dal titolo La Germania, paradiso del riciclaggio del denaro. Nel sottotitolo si riporta un dato allarmante secondo cui sarebbe di cento miliardi di euro all’anno l’ammontare del denaro riciclato nella più ricca economia europea. “Il riciclaggio di denaro – così prosegue l’articolo – è una gigantesca industria che permette a profitti provenienti da ogni genere di traffici illeciti –droga, tratta di esseri umani, corruzione, estorsioni, ricatti, di penetrare, attraverso vari passaggi, nell’economia legale. È il meccanismo attraverso il quale il denaro sporco diventa pulito”.

Vengono citate a questo proposito le stime dell’UNODOC (l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine organizzato), secondo le quali una percentuale tra il 2% e il 5% del PIL mondiale proverrebbe, ogni anno, dal riciclaggio, ossia una somma tra i seicento ei quattromila miliardi di dollari. Cita ancora uno studio del Ministero delle Finanze tedesco, secondo il quale sarebbe appunto di cento miliardi di euro all’anno la quota di riciclaggio riguardante la Germania, più o meno equivalente al giro d’affari di una casa automobilistica come la BMW. Tutto questo ha indotto, nel novembre dello scorso anno, il Parlamento della Germania a ratificare una nuova direttiva europea sul riciclaggio e a rafforzare i controlli fiscali nel settore immobiliare e ad ampliare le competenze degli organi di finanza doganale, così come il controllo sulle operazioni finanziarie sospette e su quelle eseguite tramite criptovalute.

Le indagini condotte da polizia giudiziaria e magistratura hanno consentito di accertare che nella stragrande maggioranza dei casi di riciclaggio accertato, vengono utilizzati intermediari, per lo più piccoli imprenditori, che consentono di far transitare il denaro sporco sui loro conti correnti, dietro una commissione del 5%. Nei casi di importi di maggiore rilievo, si utilizzano imprese tedesche con filiali nei paradisi fiscali, in Europa o, preferibilmente, a Panama. Basta un clic sul computer e le somme spariscono per poi ritornare da dove erano provenuti, ma perfettamente ripulite. Non è detto che si tratti necessariamente di denaro proveniente da attività illecite compiute all’interno, ché anzi la facilità di procedure di riciclaggio in un determinato Paese, attrae capitali illeciti da altri Paesi e nel caso della Germania si tratta molto spesso di Paesi dell’Est europeo, ove sono presenti gruppi criminali organizzati ma anche fenomeni corruttivi traffici di armi, di bovini, che coinvolgono i gruppi dirigenti. La maggior parte del denaro di provenienza illecita proviene dal traffico di droga, che, si sa, consente di realizzare enormi profitti. Accanto a questi vi sono i quelli provenienti da delitti di minore gravità, che vengono riciclati o con l’acquisto di autovetture di grossa cilindrata o di immobili. Le automobili vengono imbarcate con destinazione nei Paesi africani, ma anche in Albania e altri Paesi dell’Est, dove vengono rivendute.

Al fine di non lasciare tracce, le modalità di pagamento avvengono in denaro contante, che rende impossibile la tracciabilità della provenienza del denaro. La più usata è la banconota da 500 euro, e il motivo è evidente se si pensa che nell’involucro di un pacchetto di sigarette possono essere contenute cinquanta banconote per un totale di venticinquemila euro, e in una valigetta 24 ore, ventimila banconote per un totale di 10 milioni di euro! Ma, mentre in molti Paesi europei, come Italia, Francia, Portogallo e Spagna vi sono dei limiti alla possibilità di pagamento in contante (in Italia sino all’anno scorso era di tremila euro, dal primo luglio di quest’anno duemila e, da gennaio 2022, mille), nessun limite è previsto in Germania, con ciò rendendo molto più convenienti le attività di riciclaggio e molto più difficili le attività di indagine sul fenomeno. Gli stessi responsabili tedeschi riconoscono la modestia dei risultati conseguiti nella lotta al riciclaggio, nonostante sia ormai diffusa la consapevolezza del problema, reso più favorito dalla ricchezza dell’economia tedesca.

Si trascura tuttavia un dato, che appare invece decisivo per comprendere la vastità e la gravità del problema del riciclaggio in quel Paese. Nonostante che le autorità tedesche si sforzino di negare la presenza di associazioni mafiose, è vero il contrario. È accertata ormai da un ventennio la presenza delle mafie italiane, in particolare la ‘ndrangheta. Numerose operazioni giudiziarie condotte dalla magistratura italiana hanno consentito di accertare la presenza non di singoli appartenenti alle cosche calabresi, ma di sodalizi organizzati sul modello dei loro Paesi d’origine. La strage di Duisburg avvenne alle ore 2.24 della notte di Ferragosto del 2007, all’uscita delle vittime dalla pizzeria “Bruno” dove si era festeggiato il diciottesimo compleanno di una delle vittime. Quell’episodio si inseriva all’interno di una lunga e feroce faida tra le famiglie di ‘ndrangheta Nirta-Strangio da una parte e Pelle-Vottari dall’altra, entrambe originarie del comune di San Luca, noto per il santuario della Madonna di Polsi. Per l’opinione pubblica tedesca rappresentò un brusco richiamo alla realtà e, in qualche modo, la fine dell’innocenza. In una riunione tra inquirenti e magistrati italiani e quelli tedeschi, tenuta a Wiesbaden sede della BKA (la polizia federale tedesca), si apprese che quell’importante organismo investigativo (paragonabile alla nostra DIA – direzione investigativa antimafia) aveva avuto una sezione specializzata al contrasto del crimine organizzato di matrice mafiosa italiana, che aveva dato buoni risultati, ma dopo l’attentato alle torri gemelle del 2001, quella sezione era stata destinata al contrasto del terrorismo islamico di Osama Bin Laden. Della mafia non si interessò più nessuno. Nel frattempo, la ‘ndrangheta aveva aperto decine di ristoranti e pizzerie, utilizzando i proventi dei sequestri di persona degli anni ’70 e, successivamente, del traffico di droga. Anche la distribuzione della droga era appannaggio della ‘ndrangheta che la riceveva dai porti di Rotterdam ed Anversa, sempre ad opera di trafficanti italiani. Una coraggiosa giornalista tedesca, Petra Reski, oggi residente in Italia, scrisse vari reportage e pubblicò libri sui fatti di Duisburg, sulle cosche di San Luca, sulla penetrazione della ‘ndrangheta nelle città tedesche di Francoforte, Monaco, Duisburg e soprattutto Erfurt. Fece i nomi di soggetti indagati dall’autorità giudiziaria italiana e dalla polizia federale tedesca (l’autorità giudiziaria tedesca, dopo la tempesta della strage di Duisburg, ricadde nella sostanziale indifferenza manifestata in precedenza), e per effetto delle denunce dei personaggi citati fu condannata per diffamazione e al risarcimento danni in favore di quei soggetti. Il libro venne censurato e numerose strisce nere ricoprirono le righe ritenute offensive.

A più di venti anni di distanza dalla strage di Duisburg, si scopre adesso che il volume del riciclaggio si aggira sui cento miliardi di euro all’anno, e che l’economia più forte del nostro continente è gravemente inquinata dal denaro sporco riversato dalle organizzazioni mafiose.

Per l’Italia, però, non è vero che “aver compagni al duol scema la pena”. Altro è infatti il vulnus di legalità riguardante un singolo Paese dell’Unione Europea, altro è sapere che è tutto il continente europeo, sia pure con diversa intensità, a conoscere presenze ed effetti della presenza di fenomeni di criminalità organizzata, composta non solo dalle mafie italiane, ma anche di quelle di provenienza russa, cinese, albanese e non mancano quelle autoctone che, col tempo, hanno assunto anch’esse caratteri di mafiosità, e tutte accomunate dal traffico di sostanze stupefacenti.

Sarebbe utile a questo punto che l’Unione Europea assumesse urgentemente iniziative di effettivo e determinato contrasto. Prima tra tutte la riforma che metta fine ai paradisi fiscali ancora esistenti, al dumping fiscale adottato da alcuni Paesi per attirare investitori e depositi. In seguito, l’abolizione della banconota da 500 euro (di fatto usata ormai solo per pagamenti in nero o di attività illecite), l’introduzione obbligatoria di rigorosi limiti all’uso del denaro contante; la tracciabilità dei pagamenti nel settore immobiliare, nelle aste, nella vendita di gioielli, opere d’arte, autovetture, natanti, aeromobili. Controlli rigorosissimi delle criptovalute (sono già in circolo sette miliardi e mezzo di coronaCoin, monete virtuali che speculano sull’epidemia del virus omonimo!), incentivi per incrementare l’uso di pagamenti con moneta elettronica, (assegni bancari, postali o circolari non trasferibili, bonifici, carte di credito e carte di debito, ecc.), rafforzamento delle unità finanziarie per la segnalazione delle operazioni sospette e la conseguente repressione di quelle accertate come strumenti di riciclaggio e di evasione fiscale.

Resta infine il problema, anch’esso da affrontare a livello dell’Unione, della necessità di rivedere la strategia del proibizionismo, che, come è noto, è divenuta sinonimo di fallimento totale rispetto ai risultati che avrebbe dovuto conseguire. Le politiche repressive non sono servite né a tutelare la salute dei cittadini, né a contrastare la criminalità organizzata. Il numero dei consumatori è aumentato dopo anno e coinvolge purtroppo fasce crescente di minori, sin dall’età di dodici anni, mentre la criminalità organizzata è stata beneficiata del monopolio del traffico della sostanza più commercializzata al mondo (superiore persino al commercio dei prodotti petroliferi). La persistenza di inamovibili tabù sull’argomento impedisce che il problema divenga almeno oggetto di discussione e di confronto tra costi e benefici. Il risultato è quello enunciato dal Courrier d’Information. 100 miliardi di euro entrano, anno dopo anno, nell’economia legale della Germania, oltre metà di quella cifra è l’ammontare del riciclaggio in Italia. Accanto all’economia legale, si dovrà d’ora in poi valutare l’economia del riciclaggio e la progressiva appropriazione di ampi settori dell’economia legale nelle mani delle mafie. Sarebbe meglio pensarci subito.