La nave Ivy, dal 2017 rinominata Ivy1 (IMO: 8504284, MMSI: 374911000) è una nave General Cargo costruita nel 1985 che naviga attualmente sotto la bandiera di Panama.

Cinque anni fa, ossia nel luglio del 2015, Ivy si trovava nelle acque del Golfo di Follonica con un carico di circa 250 tonnellate di combustibile solido secondario (CSS) sotto forma di materiali plastici eterogenei compressi in ecoballe. Per non mai precisati motivi (peraltro il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione del caso) circa un quarto dell’incoerente carico, 63 tonnellate costituite da 56 ecoballe, finirono nelle acque calme di mare al largo dell’isolotto di Cerboli, nel cuore di quello che viene considerato il sancta sanctorum della tutela ecologica del mar Mediterraneo. Infatti, proprio qua convergono la zona A di protezione integrale del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, la zona di protezione speciale (ZPS), la zona speciale di conservazione (ZSC) nonché il Santuario Internazionale dei Mammiferi Marini Pelagos.

L’incidente rimase nascosto per circa tre anni quando, sulla base di una serie di segnalazioni e dell’attività di monitoraggio dell’ARPA Toscana sulla quantità anomala di rifiuti marini, si riuscì a risalire all’episodio. Ma della gravità ecologica di quello che era accaduto se ne accorse il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare soltanto nel gennaio 2019. Infatti, è con questa data che la nota del capo di gabinetto riferisce delle indagini svolte con il supporto dell’Agenzia regionale per l’ambiente della Toscana (ARPAT) in cui si afferma che le analisi “hanno fatto emergere che gli imballaggi stanno progressivamente trasformandosi in spazzatura marina con conseguente alterazione degli equilibri dell’ecosistema mare”.

Per mettere mano alla necessità urgente del recupero delle ecoballe pertanto verrà nominato con decreto del Presidente della Repubblica del 25 giugno 2019 il commissario straordinario, nella persona del contrammiraglio Caligiore, in quanto capo del Reparto ambientale marino delle Capitanerie di porto e purtroppo per questo finito nel mirino della autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) per presunto conflitto d’interessi. L’apertura del procedimento ha bloccato l’iter che avrebbe portato all’operazione di recupero peraltro già definita ed economicamente quantificata dal protocollo esecutivo elaborato, che prevedeva la localizzazione del materiale, il recupero e lo smaltimento secondo legge.

Del fatto che non si conoscesse quanto accaduto sulla motonave Ivy e che soltanto nel 2019 si fosse palesata la questione ce ne dà nota il dirigente del servizio demanio e ambiente del comune di Piombino che in una intervista del 14 agosto 2018 a seguito delle complesse operazioni di ripescaggio di una ecoballa afferma: “Nei prossimi giorni le autorità di controllo svolgeranno anche delle analisi sull’ecoballa, raccogliendo tutti gli elementi di indagine necessari ad individuare tutte le responsabilità. Dall’esito di questi accertamenti potremo risalire ai responsabili dell’accaduto, ai quali saranno rimessi i costi dell’intervento in emergenza sostenuti dall’amministrazione comunale”. Nell’articolo si evidenzia che probabilmente il materiale era stato perso da una nave di passaggio e non si menziona affatto l’incidente della Ivy.

Il Consiglio nazionale delle ricerche di Lerici (ISMAR-CNR), in collaborazione con le Università di Ancona, del Salento e Algalita Foundation (California) hanno condotto uno studio sul pericolo delle microplastiche nel Mediterraneo che ha condotto ad una pubblicazione su Nature dal titolo “The Mediterranean plastic soup: synthetic polymers in Mediterranean”.

In questa analisi emerge che l'area a Nord-Ovest dell’Elba, nel bel mezzo del Santuario internazionale dei mammiferi marini Pelagos, è quella con la massima concentrazione di microplastiche del Mediterraneo occidentale, sebbene tali dati si riferiscano al 2013 e quindi anteriori al danno causato dalla dispersione in mare delle 63 tonnellate di plastiche della Ivy; Goletta Verde nell’estate del 2016 ha riscontrato la massima concentrazione di plastiche nella tratta da Marciana Marina a Portoferraio, con 211 rifiuti ogni km2.

Di alcuni mesi fa anche lo studio pubblicato su Science e curato dall’Università di Manchester, Durham e Brema in collaborazione con il National Oceanography Centre (NOC) e l’Istituto francese di ricerca per lo sfruttamento del mare (IFREMER) che ha evidenziato come i fondali del Mar Tirreno siano tra i più interessati da microplastiche al mondo.

Nel 2018 l’UNEP (il Programma Ambiente delle Nazioni Unite) ha collocato le plastiche in mare tra le emergenze ambientali più gravi, insieme al cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani e la perdita di biodiversità.

Non soltanto sono le macroplastiche ad essere pericolose, ma ad essere le più insidiose sono le microplastiche, scambiabili dagli animali marini come plancton.

Le plastiche oltre a costituire un materiale inerte che l’animale accumula fino ad ucciderlo, hanno una capacità di assorbenza delle sostanze inquinanti presenti in mare (ftalati, pesticidi, PCB per dirne solo alcuni) quasi dell’80%, fino a concentrarne una quantità che è un milione di volte superiore a quella presente nell’acqua. Il loro rilascio poi nell’organismo che se ne ciba accidentalmente costituisce una bomba tossica con conseguenti danni epatici oltre che su altri distretti corporei, inducendo mutazioni e differenziazioni cellulari tumorali.

Non riconoscere che il problema delle ecoballe disperse in mare dal 2015 costituisca un’emergenza nazionale, dato che la corrosione delle reggette metalliche e degli involucri sta per liberare nel cuore del santuario dei cetacei Pelagos nella parte nord occidentale del Mediterraneo 63 tonnellate di plastiche che già sciamano in frammenti col sedimento, è irresponsabile e criminoso.

Per questo molti si sono mossi per chiedere a gran voce l’emergenza nazionale sia per il danno ambientale che per quello sanitario che ne deriverebbe dal persistere della situazione attuale.

È recente l’interrogazione parlamentare del senatore Gregorio de Falco (Atto n. 3-01627 con carattere d'urgenza, Pubblicato il 27 maggio 2020, nella seduta n. 222) dove si chiede al Presidente del Consiglio ed ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle infrastrutture e dei trasporti, di sapere se e quali iniziative di propria competenza si intenda intraprendere per evitare che, perdurando l'attuale situazione di stallo, si verifichi un danno grave all'ambiente marino e costiero.

La dichiarazione di emergenza nazionale consentirebbe al commissario delegato di intervenire con strumenti straordinari, anche con assegnazione diretta dell’incarico di rimozione delle ecoballe da parte della ditta specializzata, anziché attendere i tempi inaccettabili per questa situazione del percorso necessario per un bando di appalto pubblico europeo.

Come sarebbe opportuno chiarire perché la motonave Ivy si sia trovata a perdere quel carico di spazzatura in un’area dove non avrebbe dovuto transitare, come recita l’articolo 1 della legge Clini-Passera: “Nella fascia di mare che si estende per due miglia marine dai perimetri esterni dei parchi e delle aree protette nazionali, marini e costieri, istituiti ai sensi delle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6 dicembre 1991, n. 394, e all’interno dei medesimi perimetri sono vietati la navigazione, l’ancoraggio e la sosta delle navi mercantili adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori alle 500 tonnellate di stazza lorda”.

Dove oltretutto per Cerboli quella fascia di rispetto è stata ridotta a circa 700 metri perché ci si è successivamente avvalsi della seconda parte dell’articolo 1 della medesima, dove si legge: “In relazione alla tipologia dei traffici che ordinariamente interessano le fasce di mare individuate dal presente comma o alle caratteristiche morfologiche del territorio, l’Autorità marittima competente può disporre, per la fascia esterna ai predetti perimetri, limiti di distanza differenti allo scopo di garantire la sicurezza anche ambientale della navigazione e per l’accesso e l’uscita dai porti”.

Sarebbe lecito inoltre capire perché fino al 2018 nessuno abbia parlato dell’incidente della Ivy e delle sue 63 tonnellate di rifiuti plastici mai arrivati al porto di Varna, nel mar Nero dov’era diretto il carico.

Alla luce di tutto questo, troppo sbrigativamente è stata chiesta l’archiviazione del fatto, così come troppo tardivamente verrà approntata la macchina del recupero. Incongrui comportamenti verso un incidente che causa uno dei problemi più drammatici all’ambiente ed all’uomo dei nostri tempi.